Calogero Mannino è stato assolto.
Ho qualche difficoltà a dire da quale reato, perché l’art. 338 c.p. tirato in ballo per qualificare (!!??!!) (squalificandolo) il cosiddetto processo per la “trattativa Stato-Mafia” c’entra come i cavoli a merenda e con la “trattativa”, e con quanto a lui addebitato (si fa per dire!!!), così come con tutto il Codice Penale.
Ero ancora deputato quando arrivò a Mannino il classico “preavviso” antimafioso, cioè mafioso, della sua destinazione alla persecuzione. La forma dell’”avvertimento” era quello classico per gli uomini politici: la notizia e lo sbandieramento di una sua partecipazione ad un pranzo nuziale cui partecipava un noto boss mafioso.
Non conoscevo Mannino. Era di ben diversa posizione politica, si occupava d’altro che delle cose e Commissioni in cui io ero impegnato. Ma conoscevo il metodo di quell’avvertimento “antimafioso-mafioso”.
Scrissi, sentendo il dovere di farlo, non mi ricordo più dove ed in quale forma, qualcosa per esprimere solidarietà a Mannino e per esecrare (come sempre più spesso dovetti farlo in seguito) quell’aggressione mafiosa.
Dopo qualche giorno incontrai Mannino, che volle ringraziarmi. Gli disse che non doveva ringraziarmi di ciò che non avevo fatto per lui, ma per le mie convinzioni e per il mio dovere verso la collettività, ma lo invitai a stare molto attento non, alla scelta degli inviti e conviti nuziali cui rispondere e partecipare, ma alle trappole persecutorie che sarebbero seguite.
Purtroppo non mi sbagliai. Fu arrestato e tormentato “cautelarmente”, con gran danno, tra l’altro, della sua salute. Fu allora che certi suoi amici siciliani, che avevano messo insieme una specie di “libro bianco” in sua difesa, mi chiesero, probabilmente su sua indicazione, di redigerne la prefazione.
Credo che quello scritto mi sia riuscito al meglio per esprimere il mio pensiero su la “rivoluzione per via giudiziaria” e la giustizia persecutoria che, nel frattempo, si era andata spiegando. Mannino fu scarcerato e poi assolto. Ma non contenti di ciò, gli “Ultras” togati di Palermo lo “misero in mezzo” nella baggianata del processo della “trattativa”.
Baggianata è una parola forte (che uso spesso da quando un editore “raffinato” mi “notificò” che non doveva esser scritta nei “Suoi” libri). Ma proprio nel caso di Mannino è addirittura inadeguata per definire l’assurdità dell’addebito e del capo di imputazione. Oltre al fatto (si fa per dire) ascritto a tutti gli altri “rei di trattativa” (che non hanno scelto il rito abbreviato e sono tuttora imputati nel processo che si trascina avanti alla Corte d’Assise di Palermo) quello cioè, in sostanza, di aver “tentato di subire il ricatto della mafia”, a Mannino veniva contestato di aver sostenuto all’interno del Governo l’opportunità di cedere per paura di essere ammazzato. Anzi, mi pare che questa storia del timore di essere ammazzato sia anche la “prova principe” del fatto che “doveva propendere per la trattativa!”. In altre parole direi che a Mannino si contestasse il reato militare (Codice Militare di guerra) di codardia di fronte al nemico. Ma, sarebbe un tentativo infondato di dare una qualche parvenza di aggancio ad una legge purchessia di questa incredibile accusa.
Il Difensore di Mannino, giustamente soddisfatto del risultato ottenuto, si è però lasciato andare ad una affermazione che mi sembra la sentenza non meriti: ha detto che è una sentenza “coraggiosa”.
A parte il fatto che una sentenza giusta non dovrebbe richiedere “coraggio” per essere pronunziata, c’è da dire che non è stata molto coraggiosa e ancor meno giuridicamente puntuale la scelta della formula assolutoria, (e, poi il riferimento “al 2° comma”, quello del sotterfugio per far rivivere di soppiatto “l’insufficienza di prove”) comunque ampia e pienamente liberatoria: “non aver commesso il fatto”. Il fatto? Quale? Si vuol dire che Mannino non ha avuto paura di essere ammazzato? (paura l’avrà avuta certamente di una tale giustizia!!!). Oppure non ha mai espresso, in seno al Governo, pareri in favore di una linea “morbida” nei confronti della mafia, magari per benefici per i “dissociati” di cui oggi pare si faccia carico anche a Violante?
Il riguardo che è dovuto ai giudici (non ai giudicati) mi impedisce di scrivere che, se la sentenza vuol dire che Mannino “non ha commesso il fatto di avere paura”, allora è chiaro che paura la debbano avere i magistrati che si rifiutano alle baggianate e debbono stare attenti a quello che scrivono per non finire nel mirino dei loro colleghi oltranzisti “lottatori”, che impavidamente sostengono il reato di “codardia di fronte al nemico” per uomini politici, poliziotti, Carabinieri. E Ministri.
Ricordo di ver visto con i miei occhi (non avrei creduto a quello che altri mi avessero raccontato) la motivazione di un mandato di perquisizione domiciliare in danno di un magistrato (poi perseguitato per dieci anni) reo di aver “negato in una sentenza il carattere verticistico di Cosa Nostra, con ciò favorendo la tesi sostenuta da detta associazione”.
Non era, naturalmente, Corrado Carnevale, né ne aveva la scienza e l’acume. Ma era un giudice che si voleva avesse paura, non di Cosa Nostra, ma dell’impudenza di certi suoi colleghi.
Mauro Mellini