Titoli di prima pagina sui principali quotidiani decisamente umoristici: “Braccio di ferro tra le Toghe ed il Governo”. E simili.
Intanto “Pulcinella si confessa cantando”. I magistrati, cioè gli esponenti del loro partito, proclamano di essere “delegittimati” “benché non ci sia più Berlusconi”. Già: il loro eversivo piagnisteo non era dunque determinato dall’”anomalia” del Cavaliere, ma dalla loro “anomalia”, rispetto agli altri poteri. L’anomalia è quella del loro esser partito, come tale eversivo e potenzialmente in opposizione, non solo a parole, nei confronti di qualsiasi governo che non sia nominato da un Tribunale come gli amministratori dei beni sequestrati da parte della Signora Saguto.
Si sentono delegittimati. Poverini!!!
Non dalle loro stesse ricorrenti cavolate, non dagli affari di famiglia della dott. Saguto, non dai loro innegabili legami con i guru antimafia dal volto pitturato e con gli sciacalli varii dell’Antimafia. “Delegittimati” dalle flebili reazioni al merdaio palermitano. E simili.
Per avere un’idea della situazione guardate i video ed i fotogrammi del Congresso dell’A.N.M. a Bari. Presidente della Repubblica, prelati, sindaci, presidente della Regione. E, poi un cosetto, uno strano e spaesato personaggio, confuso tra la folla dei potentati accorsi a rendere omaggio. Qualcuno lo ha riconosciuto: un certo Orlando, che pare sia il Ministro della Giustizia. E’ con Orlando (un Orlando Curioso) che la politica farebbe il braccio di ferro con i magistrati?
Già, il Ministro della Giustizia è Orlando. Il “militante ignoto” del P.D. nominato da Renzi “obtorto collo” perché a Via Arenula avrebbe dovuto piazzarci addirittura un tipico esponente del Partito dei Magistrati, dell’ala estremista siculo-calabrese, Gratteri. Il braccio di ferro c’è stato, ma tra Renzi, a favore di Gratteri, e contro Napolitano, che si direbbe avesse capito la gravità di quella scelta. Ha ceduto, per modo di dire, Renzi, che però, quasi per vendetta, ha messo al posto conteso il Signor Nessuno, di cognome Orlando. E, poi, gli ha nominato, come capo di una commissione per le riforme, ma in realtà quale badante, proprio Gratteri.
Ma torniamo al Congresso di Bari.
Il piagnisteo sulla “delegittimazione” è un antico “ferro del mestiere” dei magistrati. Chi pubblica le intercettazioni telefoniche che, una volta tanto, riguardano una di loro, l’ineffabile dott. Saguto (“mammà” che trovava amministrazioni di beni “mafiosi” come dei giocattolini per figlioletto e ad altri più o meno di famiglia) quelli e non la Saguto sarebbero i “delegittimatori” della magistratura.
E’ difficile non rilevare che questo Congresso dell’A.N.M. si svolge con un obiettivo manifesto ed essenziale: coprire, con queste lamentele che, provenendo dal “partito armato” della politica italiana, sono al contempo poco velate minacce. La “delegittimazione” autentica è quella che la magistratura sta procurando a sé stessa, non solo e non tanto con le porcate degli affari palermitani, quanto con l’incombente arroganza del potere politico e dell’abnorme ruolo istituzionale che essa si è accaparrato, con il plauso della Sinistra e non solo della Sinistra, con l’alibi della “necessità” di colpire Berlusconi, la corruzione, la mafia etc. etc. Tutto ciò emerge chiaramente a Bari.
La pretesa dei magistrati di essere al di sopra di ogni critica, di ogni contestazione di responsabilità, facendo consistere la propria “legittimazione” nell’intangibilità di tali privilegi, comincia ad essere compresa ed avvertita dalla gente come un’intollerabile sopraffazione.
Il riferimento a Berlusconi, già gravissimo per l’implicita ammissione della contrapposizione politica della magistratura non tanto all’uomo politico ma alla sua parte, al Governo da lui presieduto e, in sostanza, alle istituzioni repubblicane ed ai loro ruoli e limiti, sembra essere rinfacciato a Renzi ed al suo Governo piuttosto che come esempio di subita persecuzione (che è cosa ridicola) come titolo di merito e come richiesta di riconoscenza e di riconoscimento del ruolo “tutorio” rispetto all’attuale maggioranza.
Ma la cosa più grave, che peraltro non sembra essere avvertita nella sua reale portata non solo dai magistrati che si arrogano tale compito costituzionale, ma anche dal Governo Renzi e dall’Opposizione (che non c’è e non brilla certo per maggiore sensibilità in ordine ai limiti dei ruoli delle varie istituzioni) è l’esplicita rivendicazione, con la lagnanza di un preteso diniego del Governo, del “controllo di legalità” che la magistratura avanza nei confronti dell’Esecutivo e di tutta la Pubblica Amministrazione.
“Controllo di legalità” significa, in buona sostanza, quella deformazione dell’obbligatorietà dell’azione penale (in quanto implicitamente la trasforma in totale arbitrarietà) per la quale il P.M. avrebbe un potere di indagine incondizionato, senza neppure quella assai nota limitazione rappresentata dalla frase “in ogni caso in cui gli pervenga notizia di reato”, che figurava nel Codice di Procedura Penale “fascista” (del 1930) e che quello “democratico”, la cui redazione finale è stata, si può dire, dettata dai P.M., non contiene più. Una facoltà di indagine che si estende a qualsiasi comportamento benché lecito, per accertare se, per caso, non sia invece illecito e su qualsiasi galantuomo, per accertare se, per caso, non sia, magari, un manigoldo. Un potere “ispettivo”, ecco che cosa è il “controllo di legalità”, che travolge ogni limite al potere giudiziario e fa delle Procure: la copia delle “Procurature” sovietiche, organi, si noti, del partito comunista, che avevano, appunto funzioni di ispezione generale.
Pretendere che Renzi capisca queste cose ed addirittura che le capisca Orlando, il cosiddetto Ministro della Giustizia, è forse pretesa eccessiva. Ma allora non facciamo ridere le galline parlando di contrapposizione, di scontro tra il governo dell’ex Boy-scout e la magistratura.
Ed, intanto, non consentiamo a Renzi di nascondersi dietro un dito. Quale che sia il motivo della pretesa “contrapposizione” o della sua maldestra simulazione, è certo che la magistratura continua a trattare il Partito Democratico con tutti i riguardi che erano l’altra faccia della medaglia della persecuzione del Cavaliere. Basti pensare alla Sicilia, al Governo Crocetta, a Roma, a Marino ed ai tanti verminai della corruzione, che oggi è di gran lunga più diffusa tra i P.D., se non altro perché sono loro ad aver le mani in pasta là dove si può rubare.
Intanto una nuova baggianata va ad aggiungersi alla collezione di quelle che il Partito dei Magistrati raccoglie nella storia del suo intollerabile “metter becco” nelle funzioni di altri poteri.
“Il governo farebbe poco contro la corruzione”.
Espressione demagogica quanto ambigua.
Il Governo non fa le sentenze. Le leggi (pesanti) che punisca la corruzione ci sono. Il Partito dei Magistrati vuole, magari, la persecuzione degli “indiziati” con la confisca dei beni (progetto Ingroia) per dare ad altre mamme togate di che mettere a disposizione delle capacità amministrative dei loro bravi figlioli?
Certo, il Governo potrebbe procedere ad espulsioni di corrotti dalle Amministrazioni senza osservare il principio della pregiudizialità del giudicato penale. Vorrei sentire le urla dei magistrati se così si regolasse. E, poi: perché essi non pensano a cacciare le mele marce (e quanto marce) che ci sono tra di loro (vedi Saguto) senza attendere “che il processo penale faccia il suo corso”?
Ed invece il piagnisteo dei magistrati ha proprio questo scopo: distrarre dalle magagne del sistema che ne fa i superprivilegiati. Marci quanto e, forse, più dei “politici”. Stiano zitti!!!
Mauro Mellini