Già nei giorni scorsi mi è accaduto di scrivere qualcosa sulla “controffensiva” dell’Antimafia d’affari, il vero “terzo livello” del malaffare siciliano e non solo siciliano, che comincia a rendersi conto di poter essere messa alle corde dalla rivelazione delle malefatte, consumate a Palermo ed altrove sotto la protezione dell’”ombrello” dell’oltranzismo antimafioso e con l’utilizzazione degli stessi strumenti di cui essa per tanti anni si è valsa per realizzare una macchina di sfruttamento parassitario e per travolgere ogni certezza del diritto.
Fino a questo momento la reazione dell’Antimafia è debole e tutt’altro che originale, al punto che sembra essere essa stessa il sintomo più grave della crisi.
La risposta ai fatti gravissimi emersi e resi noti al pubblico nelle ultime settimane è la solita retorica, la frenetica “invocazione” di un attentato a Di Matteo, la ripetizione stanca e grottesca di riti sgangherati e di tesi ridicole.
Ma è pure emerso un dato che non considero certo una novità, avendone scritto oramai quasi due anni fa: al soccorso del Partito dei Magistrati e del suo ruolo egemone nell’affare Antimafia, accorrono Grillo ed i Cinquestelle.
Non era difficile prevederlo… I movimenti rozzamente “antipolitici” che predicano crociate contro il malaffare genericamente attribuito a tutti (e, quindi, a nessuno) finiscono con essere le stampelle e le riserve del vero potere reazionario e dei peggiori interessi costituiti.
Senza bisogno di riandare ai Lazzari napoletani insorti per linciare i “giacobini” e spegnere nel sangue la Repubblica Partenopea, in tempi a noi abbastanza vicini abbiamo avuto il Movimento dell’”Uomo Qualunque” espressione della piccola borghesia orfana del fascismo, frustrata dai salassi e dalle umiliazioni della guerra e della caduta del Regime, che si scatenò contro la nuova classe dirigente, con accuse generiche di inettitudine.
Fallito rapidamente come movimento politico autonomo, il Qualunquismo fornì i rincalzi alla D.C. per la sua grande vittoria del 18 aprile 1948, ne accentuò il carattere di spudorato affarismo e fornì molto del personale della grande corruzione, protetto da una magistratura allora in buona parte essa stessa “qualunquista”, corruzione che improntò di sé la Prima Repubblica dal suo nascere alla sua fine con “Tangentopoli”.
Oggi Grillo proclama “sono con Di Matteo”, cioè con il simbolo di una magistratura komeinista, sovrastante ogni altro potere ed ogni legge positiva. I Cinquestelle si fanno promotori della nuova ondata di retorica che dovrebbe distrarre da “Confiscopoli” e dalle altre prodezze dell’Antimafia, urlano invocando che si trovi l’esplosivo del “bidone”, giurano che è “nascosto nei piani alti del potere”. Sono i teorici del “mistero di Stato” delle “grandi congiure”, delle “dietrologie” che impediscano di vedere ciò che, invece è avanti agli occhi d tutti.
E questa potrebbe essere la carta vincente di un estremismo reazionario, komeinista prossimo venturo.
Ci sono tra i cinquestellisti tanti giovani di cui non si può disconoscere una buona fede che li rende ancor più ottusi in certe loro assurdità, che hanno un fondamento di buone intenzioni e di sentimenti non certo spregevoli, ma che sono la vera ancora di salvezza per i ladroni di ogni genere, per i prevaricatori demolitori della democrazia.
Anche ora che hanno avuto modo di accostarsi alle istituzioni ed alle stanze del potere, finiscono ineluttabilmente per essere dalla parte dei ladroni che dicono di combattere e che, secondo loro sono tutti gli altri. Non vedono in Sicilia l’affarismo dei “Sicindustriali”, degli ultras dell’Antimafia, il prepotere della magistratura, lo scandalo inaudito e rovinoso di “Confiscopoli”, “non vogliono limiti” alle intercettazioni ed ai poteri della magistratura.
Non è l’antipatia e la supponenza di Grillo a costituire una mina vagante per le libere istituzioni e per quel che ne resta.
C’è un ottusità, una voglia di rimanere prigionieri in un groviglio dei loro pregiudizi che pretendono essere i “misteri” contro cui si scagliano.
Questo “lumpenproletariat” piccolo borghese, questi Vandeani telematici sono una zavorra che rischia di sommergere lo spirito della società e dello Stato. Ed il peggio è che servono anche per “giustificare” gli altri, che si presentano come la loro alternativa.
La storia, che, in realtà, mai si ripete, ci offre però la conoscenza di altre molto simili situazioni, di altre sciagure analoghe. Dovremmo saperne profittare, anziché farcene un alibi per disperarci.
Non è facile. Ma è necessario.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info