È del 14 aprile sorso la sentenza con la quale la Corte Europea ha sancito che la condanna di Bruno Contrada era stata emessa in violazione dell’articolo 7 della Convenzione sui Diritti dell’Uomo.
Contrada, un tempo ai vertici del SISDE, era stato condannato nel 1996 ad una pena di dieci anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Una sentenza annullata dalla Corte d’Appello di Palermo, successivamente confermata da un’altra sezione di quest’ultima e in via definitiva da una sentenza della Corte di Cassazione.
Nel gennaio del 2013, avevo intervistato Contrada. Nel corso dell’intervista parlammo della sua carcerazione a seguito delle accuse da parte di pentiti, del caso “Contrada – Tognoli”, per poi entrare nel merito degli aspetti inerenti il suo lavoro con i servizi segreti.
Contrada ha interamente scontato la pena subita ed è stato scarcerato l’11 ottobre 2012. Dopo la recente sentenza, un altro importante appuntamento a seguito della richiesta di revisione del processo.
Contrada infatti ha chiesto tramite il proprio difensore di fiducia, l’avvocato Giuseppe Lipera, la revisione di un processo che, a suo giudizio, lo ha visto ingiustamente condannato. L’udienza, che si terrà giorno 18 giugno 2015 presso la Corte di Appello di Caltanissetta, dovrà stabilire se sussistono le condizioni di legge per la revisione di un processo che ha portato l’ex uomo del SISDE a trascorrere un lunghissimo periodo di carcerazione. Sicuramente nessuno potrà restituire a Bruno Contrada gli anni trascorsi in carcere ma non v’è dubbio che in caso di benevola accoglienza della richiesta una risultanza diversa da quella che fu la condanna avrebbe per lui un alto valore etico e morale.
Della recente sentenza da parte della Corte Europea e della richiesta di revisione del processo, ne abbiamo parlato nel corso di un’intervista all’avvocato Lipera, difensore di Contrada.
Avvocato, cosa può dirci in merito alla sentenza che vede condannato lo Stato italiano per aver violato l’articolo 7 della Convenzione sui Diritti dell’Uomo?
“Questa sentenza è stata enfatizzata ma io non la condivido affatto perché che la Corte di Strasburgo ha ritenuto che questa norma è in vigore dal 1994 ossia da quando la Suprema Corte di Cassazione italiana ebbe a riconoscere il concorso esterno in un famoso processo chiamato Dimitry.
In realtà non è così perché il potere normativo in Italia appartiene al Parlamento e non alla Magistratura. Il concorso esterno elaborato dai signori giudici è un combinato disposto di norme come può essere il tentato omicidio. Per fare un esempio: l’art. 56 parla di tentativo ed un altro articolo parla di omicidio; si combinano le due norme e viene fuori il tentato omicidio. Non scorderò mai di un giudice che ipotizzò il “tentato omicidio colposo”. Ossia come con la fantasia si può giungere a delle assurdità.
Al 416 bis la norma che vorrebbe regolare l’associazione a delinquere di tipo mafioso hanno associato l’articolo 110 del codice che prevede il concorso, ossia quando più persone concorrono ad un reato. Come in una rapina, quello che fa il palo non fa la rapina direttamente perché sta fuori a vedere se arriva un vigile e diventa così “concorrente in reato di rapina”.
Si sono inventati questa combinazione ed è venuta fuori una mostruosità, perché già il 416 bis visto da solo, se non collegato a reati specifici, è una cosa completamente assurda. Sembrerebbe quasi come se una persona si potesse iscrivere alla mafia così come si iscriverebbe ad un Club degli scacchi… L’associazione a delinquere mafiosa trova il suo essere per commettere gravi crimini come estorsioni, droga, usura. Ora, dall’esterno uno dovrebbe concorrere ad un sodalizio per fare cosa? Per hobby? Questa mostruosità, dal 1994 in poi, è diventata la valvola per i giudici in Italia e si è creata questa giurisprudenza che è pressoché fallace. Secondo loro sarebbe in vigore dal 1994 ma non è in vigore perché non esiste!
Dobbiamo andare oltre, perché per me Contrada è una vittima consacrata con una persecuzione implicita. Nonostante i 17 anni che hanno impiegato per condannarlo, leggendo bene attentamente le carte processuali e le stesse sentenze non si rileva una condotta criminosa”.
Su cosa si basa la richiesta di revisione del processo?
“Si tratta di nuovi elementi di prova che da qui a breve verranno esaminati. Sono oggettivamente elementi sopraggiunti successivamente alla sentenza di condanna, ovvero circostanze non valutate dai giudici di cognizione perché non presenti agli atti del processo, e quindi certamente nuovi.
Si tratta di fatti che il giudice in sede di condanna sconosceva o comunque non li ha presi in considerazione perché non presenti nel fascicolo del dibattimento e perché non portati a sua conoscenza dall’accusa o dal condannato. Nel momento in cui questa vicenda sembrava essersi conclusa e Contrada ha terminato di scontare la pena, il mio assistito è stato sentito in qualità di testimone dinnanzi la Corte d’Assise di Caltanissetta nell’ambito del processo penale a carico di Madonia Salvatore Mario e altri rivelando la verità sui gravi fatti di mafia avvenuti in quegli anni. Una verità storica dei fatti che è venuta a galla nell’aula di giustizia dove ancora oggi si celebra l’ultimo filone del processo per le stragi di mafia del 1992”.
Da cosa nascevano le accuse a Contrada?
“Per definirlo in due parole possiamo dire dal chiacchiericcio magari di qualche delinquente, ormai questa cosa sta venendo alla luce. Proprio in questi giorni si sta tenendo a Caltanisetta il processo con Scarantino, il famoso pentito che fece arrestare i presunti autori della strage Borsellino e che poi ritrattò tutto. Venne fuori che c’era un vero e proprio “pentitificio” di Stato”.
Mutolo racconta di un incontro con Borsellino…
“Innanzitutto l’incontro non c’è stato. Secondo, si disse che avvenne qualche giorno prima della strage, quindi nel luglio del 1992. Si può immaginare un magistrato, un uomo del peso di Borsellino che si confida con un criminale? Costui in pratica disse che “Borsellino arrivò e che era turbato in volto perché aveva visto Contrada”… Ma dico: è credibile una cosa del genere?
Si disse però che il suo assistito si trovasse in via D’Amelio quando avvenne la strage…
“Anche questa fu una bufala enorme. Fu accertato, fu addirittura fatto un processo contro un capitano dei carabinieri che, tra l’altro fu pure assolto… Del resto Contrada era in vacanza e la notizia la seppe dopo. Non è vero affatto che fosse lì”.
Infatti, mentre sui giornali usciva la notizia della presenza di Contrada sul luogo della strage, per impossessarsi dell’agenda rossa di Borsellino, una fotografia di un ufficiale dei Carabinieri mostrava quest’ultimo nell’atto di allontanarsi dalla macchina ancora in fiamme con la borsa del Giudice in mano.
Un altro pentito, Vincenzo Scarantino, avrebbe indicato in Contrada un uomo vicino o colluso a Cosa nostra. Eppure sembra che le indagini non tennero in considerazione le dichiarazioni del collaboratore di giustizia…
“Questa cosa è bellissima! Io la scopro leggendo un libro che ha scritto Ingroia. C’era Scarantino che accusava Contrada e Ingroia scrive: ‘Si trattava, dunque, di “riscontri apparenti”. Che fare? Mi consultai con Alfredo Morvillo, contitolare con me del processo Contrada, e ci trovammo d’accordo. Quelle dichiarazioni non erano convincenti, come non lo era il teste. Dopo averne parlato con Gian Carlo Caselli, all’epoca procuratore a Palermo, decidemmo di non servirci delle sue dichiarazioni accusatorie’.
Chiedo a Contrada e Contrada mi risponde che nel processo di dichiarazioni di Scarantino non ce n’erano, che questi accertamenti della polizia giudiziaria non c’erano. Anzi, Contrada addirittura denunciò Ingroia per questa faccenda. Perché gli atti dovevano rimanere nel fascicolo. Tra l’altro con un processo in cui la condanna o l’assoluzione si giocano sul grammo di prova, un rapporto di polizia che smentisce un sedicente collaboratore di giustizia ha il suo peso.
Contrada dunque denunciò Ingroia all’epoca, qualche anno fa, e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanisetta ritenne di dover archiviare ai propri uffici questi accaduti. Una cosa un po’ singolare… Ma io non mi fermai, chiesi l’autorizzazione al Ministero della Giustizia ed andai in un carcere a trovare Scarantino con dei miei collaboratori. Ho videoregistrato l’intervista che ho ancora. Questo signore mi disse: “Guardi, mi trattavano talmente male che io avrei denunciato anche mia madre”. Questo ora lo sta dicendo in Tribunale ma a me lo disse un paio di anni fa…”
Eppure di Contrada parlano diversi pentiti…
“Si qualche pentito ma poi questi pentiti non dicevano niente come nel caso di Mutolo che andò dicendo ‘noi lo dovevamo ammazzare lui e Boris Giuliano’ ma poi quando è uscito dal carcere gli hanno detto ‘no è amico nostro’”.
Quali erano questi presunti rapporti?
“Vorrei saperlo anch’io. Da che mondo è mondo, se un poliziotto ha un contatto con un delinquente è il delinquente che passa le informazioni al poliziotto e non viceversa. Senza contare che alla base di tutto questo ci dovrebbe essere l’atto di corruttela. Mancando l’atto di corruttela crolla anche tutta l’ipotesi del teorema. Contrada è stato rivoltato in tutti i sensi ma non avendo mai ricevuto denaro dalla malavita non si capisce come si sia mai potuto anche solo iniziare questo processo se non con il concorso di quattro delinquenti e magari qualche altra cosa che prima o poi probabilmente verrà fuori”.
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Più di recente un altro pentito parla dell’ex uomo del SISDE e lo fa nel corso del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Si tratta di Vito Galatolo, ex boss dell’Acquasanta, che indica in Bruno Contrada uno degli uomini delle istituzioni che frequentavano il Fondo Pipitone all’Arenella, dove si riuniva il gotha di Cosa nostra. Il regno incontrastato dei Madonia.
Una vicenda molto complessa, considerato il fatto che lo stesso Contrada, come dichiara da teste al processo di Caltanissetta, che dopo la strage di via D’Amelio incontrò il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, il quale chiese proprio a lui se fosse disposto a collaborare alle indagini sulle stragi. Contrada, essendo un funzionario dei Servizi non rivestiva più la veste di ufficiale di Polizia Giudiziaria, facendo la premessa che in ogni caso avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione ai propri superiori, precisò che non potendo più svolgere indagini in senso proprio, avrebbe potuto svolgere soltanto un’attività informativa, non operativa; così come imposto dalla legge.
In quella circostanza, a distanza di 24 ore dalla strage di via D’Amelio, Contrada indicò al Procuratore della Repubblica di Caltanissetta quello che, a suo avviso, era una delle direttrici di indagine: “Guardi, signor Procuratore – affermò Contrada – ogni volta che a Palermo ci sono stragi con esplosivi, attentati dinamitardi, bombe, è interessata la famiglia Madonia”.
Poteva l’uomo che secondo le accuse favoriva proprio la famiglia mafiosa, indicare nella stessa i possibili autori, o comunque soggetti coinvolti, della strage?
Perché non si è indagato per capire per quale motivo i pentiti, come nel caso di Scarantino e per quanto affermato dall’avvocato Lipera, accusarono falsamente Contrada? Chi aveva interesse? Perché?
La risposta potrebbe darla la Corte di Appello di Caltanissetta, accettando giorno 18 che si vada alla revisione del processo, riportando Contrada nell’aula di tribunale a difendere la propria innocenza o ad essere condannato (in questo caso moralmente) ancora una volta.
Luisa Pace