La spinta propulsiva del sindacato ha esaurito la sua forza da tempo.
Ormai le organizzazioni nazionali storiche e i loro emuli comitati di base, ballano un minuetto con le aziende e le organizzazioni industriali, con recite talvolta al limite del ridicolo. Ecco a voi gli scioperi di venerdì, le malattie a capodanno, il blocco stradale.
Tutto già visto, e tutto ormai tranquillamente ignorato da chi detiene il potere economico. Quaranta e passa anni di statuto dei lavoratori e successive riforme hanno prodotto di fatto una distribuzione della ricchezza e del lavoro più da terzo mondo o da turbocapitalismo, che da socialdemocrazia europea. In un paese dove giovani, donne e anziani non contribuiscono alla ricchezza prodotta, dove la quantità di economia sottratta allo Stato si aggira sui 250 miliardi di Euro, dove la criminalità – organizzata e disorganizzata – controlla intere regioni, i sindacati si dilettano con l’uso degli stessi vecchi metodi, che in passato hanno funzionato quando c’era veramente da conquistare qualcosa.
Perché un comunistaccio di altri tempi ce l’ha con i sindacati, più che con i “padroni”?
Semplice. I padroni fanno il loro mestiere: fare più soldi possibile e cercare di metterlo in quel posto agli altri. Stronzi, ma onesti. I sindacati difendono al massimo se stessi, raramente i loro associati, mai i lavoratori nel loro insieme. E oggi che i soldi non girano più, e che neanche la legge li protegge, continuano a lottare per mantenere ai loro associati privilegi assurdi. Come ad esempio quello di prendere uno stipendio senza lavorare. Andiamo, non facciamo finta di niente.
L’Italia è un paese in cui poche persone hanno un lavoro retribuito in maniera stabile, ma poi quelli che effettivamente si dannano per contribuire alla produttività aziendale sono ancora meno. Un sindacato come lo immagino io, vecchio idealista, combatte per TUTTI i lavoratori, e sprona TUTTI i lavoratori. Perché se c’è uno che non fa un cazzo, non danneggia l’azienda, danneggia ME. Al datore di lavoro, figuriamoci, un certo numero di dipendenti inutili fa sempre comodo. Ma a me no. Al conto economico dell’azienda neanche. E quando il conto economico piange, ecco che scatta la procedura più indegna, più indecente, l’invenzione del demonio: il contratto di solidarietà.
Il bertinottismo al potere: “lavorare meno per lavorare tutti”. E quindi a TUTTI i lavoratori, indistintamente, vengono tolti giorni di lavoro, e parte della retribuzione, per “Non licenziare nessuno”. Che carini. Che bella coppia, padroni e sindacati. Nessuno che si prenda la responsabilità di SCEGLIERE. Di dire ad alta voce che IO, come tanti altri, la solidarietà la faccio da sempre, da oltre venticinque anni, sbattendomi in giro per l’Italia e per il mondo e permettendo ad un sacco di gente di portare a casa uno stipendio, gente che invece di essermi grata fa magari un altro lavoro, oppure non fa niente, oppure si piazza in malattia per mesi, drenando per le loro paturnie le casse dello Stato.
Ma no! La solidarietà la dobbiamo fare tutti, e tutti dobbiamo pagare le conseguenze di scelte scellerate delle aziende, di sindacati nella migliore delle ipotesi deboli, e di lavoratori truffaldini. Se c’è una cosa che trovo ingiusta e che è la cartina di tornasole di un Paese che non funziona più, è la solidarietà. Almeno, se proprio la devo subire, rinunciassero al marketing e la chiamassero con il loro nome: presa per il culo.
Umberto Graziosi