Parigi – È da tempo che ci penso e non è stato facile prendere questa decisione. Quando per la prima volta apparve sullo schermo del computer il nostro sito, grazie all’amico Toti Cinque che con sacrifici personali lo realizzò, sognai che fosse finalmente possibile fare informazione senza compromessi. Porre sotto i riflettori i poteri che da sempre hanno condizionato pesantemente e negativamente la quotidianità di quella misera Cittaduzza (così la definiva Pirandello) che è Agrigento.
Due soldi di libertà in un paese dove la parola “libertà” sapeva tanto di rivoluzionario. L’essere “politically uncorrect”, l’andare controcorrente, il dire in soldoni come stanno le cose senza se, senza ma e senza dipendere da nessuno, dà le sue soddisfazioni. Il resto è solo un noioso sopravvivere che non può essere ascritto al fare informazione.
Chiarisco subito, a scanso di equivoci, che la colpa spesso non è dei giornalisti, i quali dipendono da linee imposte da editori che guardano più ai profitti che al fare informazione. Possiamo anche obiettare che non è giusto, che non è onesto nei confronti dei lettori ma purtroppo è così. Un giornale si regge grazie alla pubblicità e questo crea non poche ingerenze.
Il bello del web però è che non hai bisogno di ingenti capitali per portare avanti il giornale. In molti hanno collaborato con noi, a volte mantenendo l’anonimato per evitare “ritorsioni”. Ogni qualvolta una notizia veniva verificata, la nostra “linea editoriale” è sempre stata quella di pubblicarla a prescindere da orientamenti politici o da condizionamenti di qualsivoglia genere. Notizie, suggerimenti, consigli e anche critiche sono serviti per aiutarci a crescere.
Da queste pagine sono passati i nomi di politici, di boss, i loro crimini e le storie di chi quei crimini li ha pagati con il proprio sangue innocente. Sono passati i nomi di imprenditori, sindacalisti e anche sacerdoti. Tutte storie raccontate senza omissioni o censure, in nome di quei due soldi della nostra libertà.
Il nostro target di lettori spesso è stato quello dei giornalisti – non lo confesseranno mai – ma anche la magistratura e le Forze dell’Ordine che hanno attinto notizie. Notizie che hanno finito con il far parte di corposi fascicoli giudiziari. L’unica linea editoriale seguita è stata quella di dare spazio a chiunque avesse qualcosa da dire, senza fare sconti a nessuno. Nessuno di noi ha mai guadagnato un solo centesimo. L’unico guadagno, quello di poter liberamente scrivere ciò che ognuno di noi ha voluto, senza condizionamenti né censure.
Sono stati anni di crescita e di soddisfazioni, con “La Valle dei Templi” accostata ai nomi di professionisti, giornalisti e testate di grande prestigio a livello internazionale. Zyad Limam, direttore della rivista mensile “Afrique Magazine”, Judith Waintraub, giornalista politico de “Le Figaro”, BBC, New York Times, Der Tagesspiegel, Europe1, Bénédicte Tratnjek, geografa specialista della «città in guerra», Le Monde Diplomatique, RTL News, il Telegraph, il Daily, France Inter e France Infos, France24, LCI, Focus In … sono solo alcuni dei prestigiosi nomi del panorama giornalistico con i quali abbiamo avuto l’onore di essere accostati nel corso di programmi radio-televisivi o che ci hanno intervistati. Più di recente, lo ha fatto anche Rete4 con una citazione in merito alle vicende dell’ISIS. Spesso a rappresentare la testata all’estero, è stata la giornalista Luisa Pace.
Tutto questo sicuramente non ha fatto piacere a soggetti che nella crescita del giornale vedevano minacciati i propri interessi o messa in discussione la propria immagine, il proprio orticello. Un paio di minacce di morte subite potevano stare nelle cose. Ci sono persone che non gradiscono chi s’intromette nel loro mondo di affari, specie se questi si calcolano in decine o centinaia di milioni di euro.
E fin qui, era tutto messo in conto. Poi iniziarono le prime minacce di querela per diffamazione, le prime querele, il primo processo. Un processo durato anni, quando per un’analoga vicenda, stessi personaggi, stessi fatti narrati da altri, i pm di procure diverse chiedevano e ottenevano l’archiviazione.
Il processo arrivò a sentenza con la richiesta da parte del pubblico ministero di assoluzione: il fatto non sussiste! Di diverso parere il giudice, che emise la sentenza di condanna. Le sentenze non si discutono. Si accettano o, al massimo, si propone appello. Ed è quello che ho fatto, mentre da quel primo processo scaturiva una seconda indagine. Un altro rinvio a giudizio. Questa volta, però la sentenza riportava l’assoluzione: “Il fatto non sussiste”.
Intanto, anche l’appello contro la condanna in primo grado, arrivava a sentenza: Assolto! Assolto perché il fatto non sussiste!
E anche tutto questo finisci con il metterlo in conto. Fa parte dei rischi che si corrono nel fare informazione. Anche se nessuno ti ripagherà per tutte le volte che sei stato costretto a salire e scendere le scale di un tribunale.
Quello che non potevi mettere in conto, il fatto che politici, imprenditori, potentini di turno, riescano a condizionare la tua vita e quella di chi ti circonda. Persino alcuni “operatori dell’informazione” che tacciono le notizie scomode, a volte utilizzando il mezzo stampa a proprio uso e consumo contro avversari di vario genere, si prestano a squallide operazioni nel vano tentativo di gettare discredito su chi ha solo onorato l’impegno con i propri lettori pubblicando notizie senza alcuna censura.
Mi tornano in mente le parole riportate da Eric Valmir sul suo blog, quando, intervistandomi nel 2009 per RadioFrance, scrisse che oggi anziché alla lupara si fa più spesso ricorso alla morte civile…
“La Valle dei Templi” non chiude, questo sia ben chiaro, ma la decisione andava presa: il giornale, sulle vicende agrigentine da ora in avanti non sarà più come lo avete conosciuto.
La decisione di non pubblicare inchieste giornalistiche come avvenuto in passato, opinioni o quanto altro sia legato all’agrigentino, rappresenta, al momento, l’unica scelta possibile.
Unica eccezione quello che riguarda i familiari delle vittime innocenti di mafia che su questo giornale hanno sempre avuto, e sempre avranno, ampio spazio per gridare contro le ingiustizie subite e denunciare tutto quello che molti hanno scelto di ignorare. Hanno preferito dare risalto alle storie di pentiti e alla vita dei mafiosi, trasformandoli anche in autentiche star cinematografiche. Anche quella è una scelta e non spetta a noi discuterla ma nessuno può vietarci di dire che si tratta di uno strano modo di fare informazione antimafia….
Pochi giorni fa, una giornalista, nel criticare il fatto che abbiamo pubblicato notizie e opinioni che altri si guardavano bene dal pubblicare, mi ha scritto: “Ma potrei scrivere tanto su come viene gestita l’informazione perché di “gestione” si parla!”
La mia storia da sola dovrebbe bastare a chiunque per capire quanto io sia ingestibile. La mia risposta è stata: “Mi fa piacere che tu da giornalista scriva di conoscere come l’informazione sia gestita. Sarebbe interessante scriverci un articolo…”
Un articolo che, ovviamente, non mi è mai pervenuto. Del resto, come ho già scritto in passato, nella misera Cittaduzza, nel corso di incontri tra giornalisti (solo per citare uno dei tanti esempi documentabili anche attraverso le testimonianze e le registrazioni di giornalisti della stampa estera), anche Abele, che così abele non era, non fece una piega dinanzi le accuse dei colleghi mosse a Caino, che tale era certamente, di utilizzare il giornale per ricattare noti soggetti politici per ottenere pubblicità e altre agevolazioni da parte di enti.
Agrigento basta!
Se questo è in generale il panorama agrigentino (ma anche quello siciliano, non va infatti dimenticato quanto scrissero i giudici di Catania nel corso di processi per mafia, muovendo precise accuse all’informazione), se padroni dell’inchiostro sono coloro i cui nomi dovrebbero essere riportati negli articoli dei giornalisti, facciamo una pausa. Lasciamo riposare la tastiera. Almeno fino a quando non ridefiniremo e completeremo in loco la situazione.
Ai tagliagole in giacca e cravatta, preferisco Jihadi John. Quantomeno il tagliagole dell’ISIS, seppur incappucciato, le decapitazioni le fa con le sue mani…
Gian Joseph Morici