L’attuale epidemia di Ebola in Africa occidentale ha già causato la morte di oltre 1500 persone. Con risorse insufficienti i sistemi sanitari stanno lottando per far fronte all’epidemia dichiarata dall’OMS “emergenza sanitaria internazionale”.
Quando il 14 marzo una febbre emorragica uccise otto persone in un villaggio della Guinea, distante 800Km dalla capitale, le autorità locali inviarono sul posto una task force di medici per indagare sulle origini della malattia e poter intervenire prima che il focolaio si estenda ad altri villaggi, ipotizzando che la misteriosa febbre emorragica potesse essere dovuta a malattie già conosciute, anche se mai registrate nella regione, quali la febbre di Lassa o l’Ebola.
Ben presto, l’agente patogeno, sfuggito ai primi tentativi di arginare i primi focolai, raggiunse la Conakry, capitale della Guinea con più di un milione di abitanti, rendendo impossibile il contenimento della malattia. Alcuni paesi africani reagirono subito chiudendo le proprie frontiere ma questo non impedì al virus di raggiungere altri paesi.
Il virus raggiunse la Sierra Leone per arrivare nei giorni successivi alla Liberia, alla Nigeria e – ultimo paese accertato proprio in queste ultime ore – al Congo.
Quante sono le vittime ad oggi?
Difficile stabilire il numero delle vittime in quanto nei villaggi rurali i morti vengono sepolti spesso senza nessuna indagine sulle cause del decesso e senza nessuna certificazione medica. Se a questo si aggiunge il fatto che – come dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – molti casi di infezione vengono nascosti dagli stessi familiari degli ammalati, convinti che i loro congiunti abbiano il diritto a morire nel conforto delle proprie case, ci si rende immediatamente conto di come il numero degli ammalati e dei decessi sia di gran lunga inferiore alle cifre ufficializzate dalle varie organizzazioni che seguono l’andamento dell’epidemia.
Rischio Italia
Nonostante siano sempre più frequenti le segnalazioni di casi sospetti in varie parti del mondo, in Italia, grazie ad una stampa asservita e alla censura imposta dalle istituzioni, degna dei migliori regimi, continua a prevalere la linea del non-allarmismo secondo la quale è assai improbabile che il virus raggiunga il nostro paese e che tale rischio non è comunque rappresentato dal flusso migratorio che interessa le coste meridionali della nostra penisola.
La spiegazione viene data nel fatto che i viaggi degli immigrati sono così lunghi da impedire che eventuali contagiati possano sopravvivere e che in ogni caso i controlli sanitari vengono effettuati prima dello sbarco.
Sarà vero? Considerato che il periodo di incubazione va da due giorni a ventuno giorni, non v’è dubbio alcuno che se un migrante che abbia contratto la malattia in Guinea si dovesse avventurare in un viaggio che lo porti alle coste libiche per raggiungere la Sicilia, non avrebbe una possibilità su un milione di giungervi vivo. Ovviamente, tale considerazione non tiene conto di come il virus in poche ore potrebbe giungere alle coste nordafricane dalla Guinea, dal Congo o dalla Nigeria, grazie ad un soggetto infetto che raggiungesse la Libia, il Marocco, l’Algeria o l’Egitto. Tutti paesi che secondo i due ricercatori del Children’s Hospital di Boston, creatori del sito internet HealthMap che lanciò l’allarme ebola 9 giorni prima che l’OMS diffondesse il primo allarme ufficiale, sarebbero da ritenere a rischio elevato.
Del resto, per rendersi conto di come l’allarme sia giustificato, è sufficiente verificare nell’immagine accanto come la distanza già percorsa dal virus per raggiungere in Congo dalla Guinea, sia di gran lunga superiore a quella che separa i paesi che si affacciano sul mediterraneo dalle nazioni colpite dall’epidemia.
Le “eccellenze” – L’Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani
A riconoscere l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma tra le “eccellenze”, è Margaret Chan, numero uno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che scrivendo a Renzi ha chiesto che si mettesse a disposizione un aereo anti-virus (con equipaggio medici) per poter trasferire pazienti infettati allo Spallanzani.
La lettera, datata 12 agosto, precisa come “è essenziale che i membri degli staff internazionali impiegati sotto gli auspici dell’OMS e delle organizzazioni legate alle Nazioni Unite, se infettati, abbiano accesso a servizi di evacuazione rapida e cure appropriate in strutture cliniche sicure”.
Mentre molte regioni italiane iniziano sulla base della circolare emanata dal ministero della Salute ad allertare la rete di sorveglianza, lo Spallanzani, ovvero la più grande struttura di isolamento in Italia ed unica sul territorio nazionale ad avere un laboratorio mobile, si appresta a fronteggiare un’emergenza la cui gravità ad oggi e difficilmente quantificabile.
Considerato che i sintomi evidenti dell’ebola sono simili a quelli di altre malattie infettive, quali la malaria o talune forme influenzali, cosa accadrà nei prossimi mesi quando le nostre strutture sanitarie e i medici saranno costretti fronteggiare la più banale delle influenze stagionali? Secondo quali criteri verranno decisi i ricoveri o le analisi? Quali e quante strutture in Italia saranno in grado di far fronte alle richieste di accertamenti sanitari e alle eventuali necessità di ricovero ospedaliero in isolamento?
La risposta-nonrisposta la dà il direttore scientifico dell’Istituto il quale ha dichiarato che nella struttura sanitaria sono già stati gestiti dei casi di persone di rientro a Roma che avevano superato la finestra dei 21 giorni, non erano stati esposti o in contatto a persone malate, e che fortunatamente sono risultate negative ai test. Nonostante il virus non abbia ancora raggiunto l’Italia né i paesi dai quali potrebbe arrivare nel nostro territorio, il centro per le malattie infettive, l’eccellenza italiana, è letteralmente assaltato dalle telefonate.
Inutile dire che il direttore non vuol fornire i dati in merito alle telefonate che quotidianamente arrivano ai centralini, né commentare la circolare che suggerisce la “massima riservatezza professionale per non procurare ingiustificato allarme”.
Definire lo Spallanzani un’eccellenza rende perfettamente l’idea di come siamo proti ad affrontare l’ebola. In qualsiasi paese evoluto saremmo alla ricerca dell’eccezione negativa affinchè venga riportata alla normalità. In Italia, diventa motivo di vanto quel che funziona, un’eccezione che, purtroppo, non conferma la regola. Di recente, nonostante l’allarme lanciato dall’OMS, i media hanno diffuso la notizia secondo la quale l’ebola non rappresenterebbe un problema in un paese civile. Ma l’Italia, è un paese civile?
Pandemia – L’India
Se il rischio per l’Italia è rappresentato dai viaggiatori che giungono dalle nazioni colpite dall’epidemia e dai paesi africani che si affacciano sul mediterraneo, da dove, nell’ipotesi in cui nascessero nuovi focolai arriverebbero sulle nostre coste migliaia di potenziali vettori del virus, il pericolo a livello globale potrebbe essere rappresentato dall’India, che – con 1.175.000.000 abitanti – è il secondo paese più popolato al mondo.
Nella sola Nigeria infatti sono oltre 40.000 i cittadini indiani presenti sul territorio. Considerate la popolazione, la densità degli abitanti (372,5 ab./km²) e le condizioni igienico-sanitarie, nell’ipotesi in cui il virus dalla Nigeria raggiungesse l’India sarebbe veramente impensabile il poter fronteggiare un’epidemia che già allo stato attuale viene indicata come la terza che ha fatto scattare un allarme mondiale nel corso degli ultimi sessanta anni.
gjm