Che l’attacco a Bengasi (Libia) durante il quale nel settembre del 2012 persero la vita l’Ambasciatore americano Christopher Stevens e altre tre persone, fosse da ritenere “annunciato” lo avevamo già scritto narrando anche la vicenda di un fallito attentato tramite un’autobomba parcheggiata nelle vicinanze della sede della sicurezza nazionale di Tripoli. Una Peugeot carica di esplosivo non era stata controllata. La notizia venne taciuta da tutti i media. Continuammo in solitudine a scrivere che gli Stati Uniti sapevano almeno da 48h prima dell’attentato del rischio di possibili attentati a Bengasi e all’Ambasciata al Cairo
Fin quando quella che era apparentemente una nostra supposizione, non venne supportata da un articolo pubblicato dal The Independent di Londra che, citando una fonte anonima, riferiva dell’attività dell’intelligence americana nelle ore precedenti all’attentato e delle comunicazioni in merito ad una imminente azione già pianificata a Bengasi
La notizia venne successivamente smentita dal portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Ma a distanza di cinque mesi, a tornare sull’argomento era stato il Congresso degli Stati Uniti, dinanzi al quale furono chiamati a dare spiegazioni l’allora Segretario alla Difesa Leon Panetta e il generale dell’esercito Martin Dempsey. In più di quattro ore di deposizioni Panetta e Dempsey descrissero due diverse azioni di guerra succedutesi a sei ore di distanza l’una dall’altra, che non avrebbero consentito alle unità speciali di intervenire in tempo utile.
Tra mezzanotte e le 2 del mattino dell’11 settembre 2012, secondo quanto ricostruito da due Marine squadre anti-terrorismo con sede a Rota, Spagna, il Segretario Panetta diede ordine di preparare un intervento in Libia, comandando ad una squadra di forze speciali in Europa centrale e un altro gruppo di operazioni speciali in forza negli Stati Uniti di prepararsi all’operazione che avrebbe come prima base l’Europa per poi raggiungere la Libia.
Ma soltanto a distanza di molte ore la squadra operazioni speciali atterrò alla Naval Air Station di Sigonella in Sicilia, e nessun militare statunitense raggiunse il territorio libico, se non dopo che l’attacco era terminato e gli americani erano stati portati fuori dal paese.
Sotto la raffica di domande di alcuni repubblicani, il segretario Panetta e il generale Dempsey furono costretti a riferire del loro incontro con il presidente Barack Obama e dei timori dello stesso per la sorte degli americani presenti a Bengasi.
Come avevamo anticipato, la questione quella della morte dell’ambasciatore americano doveva far discutere ancora molto a lungo. Tanto più, se si fosse appurato che da Sigonella sarebbe stato possibile intervenire già fin dal primo allarme e che a Bengasi erano presenti uomini dell’intelligence americana.
A riaprire il dibattito, con un’intervista in esclusiva supportata da altre fonti, è FoxNews.com che ricostruisce le ore successive all’attentato e conferma come alti funzionari nell’amministrazione Obama sapevano fin da subito che quello di Bengasi era stato un attacco terroristico e non una protesta spontanea dovuta alla divulgazione di un video anti-Islam, così come l’amministrazione statunitense continuò a rivendicare per diverse settimane dopo gli attacchi.
Dati ancora classificati, come i rapporti di intelligence al momento dei fatti che contenevano i riferimenti alle chiamate da parte di terroristi ai loro capi, e la conferma che le squadre di sicurezza sul terreno avevano ricevuto queste informazioni in tempo reale da parte dei servizi di intelligence, sono stati narrati da fonte anonima.
Nel corso dell’intervista ad Eric Stahl, comandante e pilota del velivolo C-17 che venne utilizzato per trasportare cadaveri e superstiti degli attacchi a Bengasi, lo stesso ha inoltre sostenuto che dato lo stato di allerta del suo equipaggio e la posizione che avevano al momento, avrebbe potuto raggiungere Bengasi in tempo per salvare le vittime dell’assalto e traghettarle in salvo in Germania, se solo fossero stati invitati a farlo.
Una dichiarazione che coincide con quella rilasciata dinanzi al Congresso americano dal vice capo dell’Ambasciata a Tripoli che aveva cercato invano di ottenere dal Pentagono l’intervento di aerei da caccia che avrebbero potuto dissuadere gli attentatori dal portare a termine la seconda azione contro il complesso della CIA, posto nelle vicinanze dell’edificio dove si trovava l’ambasciatore americano. I funzionari americani nella capitale libica avevano cercato di ottenere l’autorizzazione a far intervenire truppe speciali statunitensi, ma il permesso era stato negato.
Secondo quanto dichiarato da un diplomatico americano al Washington Post, sull’attacco a Bengasi ci si troverebbe dinanzi ad un tentativo di insabbiare l’intera vicenda visto il probabile coinvolgimento dell’amministrazione Obama con jihadisti libici e per timore che i repubblicani potrebbero utilizzare una simile notizia a fini politici.
Ma è stato solo l’eventuale coinvolgimento con jihadisti libici a portare i vertici dell’amministrazione Obama a tentare un depistaggio? Sul perché da Sigonella (Sicilia) non s’intervenne subito fin dal primo allarme e sulle attività degli uomini dell’intelligence americana presenti a Bengasi, si allunga l’ombra della presenza di mezzi della Marina degli Stati Uniti – con a bordo un contingente di marines – di fronte la costa orientale della Libia, tra Tobruk e Derna, poche ore dopo i fatti di Bengasi.
Se servirono oltre 15 ore affinchè truppe aviotrasportate giungessero in Libia, come mai solo poche ore dopo l’evento i mezzi della marina si trovavano già sui luoghi. Perché non fu chiesto loro d’intervenire? A cosa dovevano servire i marines se non a proteggere la vita degli americani presenti in Libia? Una domanda che secondo esperti analisti potrebbe trovare spiegazione soltanto in un’eventuale occupazione militare a seguito di un risultato “non gradito” delle elezioni che si sarebbero tenute in Libia subito dopo gli eventi di Bengasi, giustificato proprio dagli eventi terroristici che minavano la stabilità politica del paese e mettevano a rischio la vita di cittadini americani.
Una “illazione” che ricorda il progetto di un intervento militare in Italia, qualora le elezioni del 1948 avessero consegnato il governo del paese all’allora Partito Comunista Italiano. Un attentato, quello di Bengasi, che continuerà certamente a far discutere ancora per lungo tempo…
Gjm