Il 2 gennaio è l’ultimo giorno utile per le persone fisiche per versare l’acconto dell’addizionale Irpef del 25% sulla “produzione e vendita di materiale pornografico o di incitamento alla violenza”, (la cosiddetta “tassa etica”), relativa all’anno 2013 non effettuato entro la scadenza del 2 dicembre 2013. Per i soggetti Ires la scadenza della “porno tax” è invece il 9 gennaio.
Nel “paese barzelletta”, quello delle tasse e balzelli, evasori e tangentisti, può accadere di tutto. Pur di recuperare denaro (non certo quel Messina Denaro, il cui arresto sarebbe scomodo a tanti), lo Stato italiano, alla stregua di chi esercita la professione più antica del mondo con maggiore dignità di quanto non ne abbiano i nostri politici, dà anche quelle parti non baciate dal sole, purchè si paghi una tassa.
Ci sarebbe da chiedersi quale sia il senso di una tassa che distingue il contenuto di un prodotto editoriale tassandolo in maniera diversa da un altro, nonostante entrambi le pubblicazioni sono legali, ma a questo potremmo trovare una risposta in quel falso moralismo cattolico che nel nostro paese ha portato ad una “tassa etica” sulla produzione e vendita di materiale pornografico (nella speranza che un giorno non si arrivi a voler tassare anche l’atto sessuale).
Per la eventuale tassa da applicare sotto le lenzuola ogni volta che facciamo sesso, siamo piuttosto tranquilli, visto a quanto ci hanno abituati i nostri politici che sarebbero i primi a dover pagare cifre tali da mettere a rischio i propri patrimoni. Sempre che, come per altre tasse, gli stessi non evadano il fisco lasciando che a pagare siano quei poveracci che, single e senza un centesimo in tasca per potersi pagare una escort, ricorrono a quell’autoerotismo già tanto avversato da falsi moralisti e benpensanti.
Da capire eventualmente come il fisco quantificherà il “bene di consumo” o il “servizio” da tassare e a chi l’arduo compito di andare a verificare.
Resta invece il dubbio in merito all’incitamento alla violenza indicato nella medesima norma; cosa significa?
Che il legislatore preso da un momento di estasi durante un rapporto sado-maso durante il quale incitava la propria segretaria o assistente a picchiarlo selvaggiamente abbia pensato che i lussi – e il piacere tale è in un paese come il nostro – vanno tassati?
Ad onor del vero, ci sembra assai difficile, visto che avrebbe dovuto pagare lui per primo. Resta dunque la possibilità che per tale “incitamento” si voglia intendere quanti invitano un politico ad andare a “fare in c..o”. In questo caso, l’invito rientrerebbe a pieno titolo nell’incitamento e nella pornografia e porterebbe alle casse dello Stato un autentico fiume di denaro, visto che buona parte della popolazione italiana rientrerebbe tra i contribuenti tassabili. E Cetto La Qualunque, con il suo “chiu pilu pi tutti”? Divorato dalla porno tax, ha dovuto abbandonare la carriera politica lasciando il posto a chi ha continuato a far porno senza pagar tasse e in danno dei nostri fondoschiena…
Gian J. Morici