Non se ne può più. In Italia il numero dei “criminali” cresce a vista d’occhio anno dopo anno. A scegliere la strada del “crimine” sono persone di tutte le età. Dal giovane 34enne alla vecchina 80enne.
Per fortuna in Italia il “crimine” viene punito. Così il 34enne, che ha perso il lavoro e ha un figlio di 4 anni da mantenere, è stato condannato a scontare 6 mesi in carcere per aver rubato un pezzo di formaggio e una bottiglia d’olio in un supermercato. In carcere! L’uomo infatti aveva precedenti gravissimi: qualche settimana prima era stato sorpreso a rubare del pane e processato per direttissima gli erano stati inflitti cinque mesi con la condizionale.
Altrettanto dicasi per l’ottantenne che, in evidente stato di povertà, ha deciso di dedicarsi al “crimine” rubando in supermercato pane, carne, biscotti e – reato gravissimo – una bottiglia di limoncello. Un “colpo” che avrebbe fruttato alla “criminale” ben 20 euro. Denunciata, processata e condannata – nonostante il suo avvocato difensore avesse invocato lo stato di necessità a causa di una evidente indigenza economica – il giudice l’ha condannata al pagamento di 20 euro e 2 mesi e 20 giorni di carcere.
Una giusta pena per chi “delinque” e che serva da monito a quanti scelgono la facile strada del “crimine”. Colpirne uno per educarne cento, dovrebbe servire a ridurre il numero di furti di generi alimentari, che, stando alle forze dell’ordine, nel corso dell’ultimo anno sarebbero aumentati del 20%. Incredibile! Nonostante il numero di poveri disgraziati suicidatisi per aver perso il lavoro o perché disoccupati e non in grado di mantenere la famiglia, il numero di reati contro il patrimonio (pane, carne e formaggi) sta crescendo in maniera esponenziale.
Forse sarebbe il caso di rivedere la Costituzione e valutare la possibilità che contempli la pena di morte per chiunque commetta reati di questo genere. Potrebbe essere un buon deterrente per educare un popolo che spinto dalla fame è sempre più proclive a infrangere la legge.
Gli unici che sembra non ricorrano a simili espedienti per mangiare sono i nostri politici. Uomini di destra, sinistra e centro, si sono dati un codice etico rispettato da tutti. Rubare al supermercato è un crimine e va punito. Ecco dunque che il popolo dei “magna magna”, ligio al codice etico e all’impegno assunto nell’interesse dell’Italia e degli italiani, nonostante la grave crisi economica che ha colpito il Paese e nonostante il fatto gli stipendi percepiti ammontano appena a diverse migliaia di euro al mese (a volte oltre i diecimila), non dà l’assalto a pane e formaggi nei supermercati.
Un dato che trova riscontro nelle 13 mila pagine dell’inchiesta condotta in merito alle spese effettuate dai consiglieri regionali e dall’esecutivo della Regione Piemonte. Stando a quanto riportato dal quotidiano “La Stampa”, il governatore Roberto Cota, tra le altre piccole spese politiche, avrebbe pagato, scaricando fatture e scontrini, spremute, tre coperti da Celestina, ai Parioli di Roma, sei coperti al ristorante al Duello lo stesso giorno, ancora Roma, quattro chili di pasticceria per 126 euro a Torino, Cynar, grappa e coppa mista di gelato, una domenica notte. Due degustazioni di tartufi da Eataly, Cipster, taralli, M&M’s e arachidi, quattro coperti al Legal Sea Food di Boston, 110 euro alla taverna Antico Agnello di Novara. Ventidue coperti da Celestina ai Parioli, con cinque ricevute diverse nello stesso giorno. E poi, il 20 aprile 2011: nove pasti con tre scontrini, fra Roma, Torino e un bar dell’aeroporto.
Niente pane e formaggio dunque. Spese “mangerecce” legate alla sua attività politica. Ma non solo sua, visto che il nucleo della polizia tributaria della Guardia di Finanza nel cercare un riscontro oggettivo per ogni singola spesa, mettendo in relazione luoghi, orari e presenza di Cota, trova che “su un totale di 592 report, in 115 casi non vi è corrispondenza fra quanto segnalato dalla cella relativa – alle utenze di telefonia mobile in uso al governatore ndr -e l’unificazione dell’esercizio commerciale indicato sulle fatture e ricevute consuntive del consigliere Cota….”.
In 115 casi, dunque, Cota non si trovava laddove avrebbe sostenuto la spesa della quale chiedeva i rimborsi. Come, per citarne uno, nel caso dell’ 11 giugno 2011, quando la cella telefonica segnala per tutto il giorno la presenza di Cota in diverse località della Lombardia, mentre il politico presenta a rimborso la ricevuta fiscale emessa dal ristorante “Queendici” di Torino, per l’importo di 282,40 euro”.
In Sicilia si dice che “uno ca mangia sulu s’affuca” (uno che mangia da solo si affoga) e forse proprio per evitare questo che il buon governatore Cota ha ben pensato che nonostante lui non fosse presente laddove dovevano consumarsi i lauti pasti, non fosse giusto che gli amici suoi (ovviamente “istituzionali”) non mangiassero. Ecco dunque spiegato il perché – qualora venisse provato quanto sopra riportato – tutti usufruivano dei pasti a carico dei cittadini.
Ma non soltanto di pasti si sarebbe trattato, visto che tra le spese presentate dai consiglieri regionali, Cota compreso, per le quali è stato chiesto il rimborso figurano sigarette, libri, regali di nozze, cravatte, cornici, argenteria, ricariche telefoniche a favore di famigliari , fiori, cd, macchine fotografiche, complementi d’arredo, gioielleria, televisori, giocattoli, profumi, alberghi, viaggi e tanto altro ancora.
Una storia che ricorda tanto quella del presidente della Provincia Regionale di Agrigento, Eugenio D’Orsi, coinvolto nel 2011 in un indagine per peculato, concussione e truffa per aver conferito incarichi esterni per esigenze per le quali la Provincia avrebbe potuto fare fronte con proprio personale, per avere fatto svolgere lavori in una sua proprietà senza pagarli, o pagandoli a prezzo di favore ad imprese che avevano in esecuzione appalti con la Provincia, per rimborsi spesa per pasti in realtà non sostenuti o non utilizzati nell’interesse pubblico e per la sistemazione nella sua abitazione di 40 palme dell’ente, che, secondo quanto sostenuto dalla Procura, erano invece destinate a spazi verdi pubblici.
Niente pane e formaggio! Dalla Lombardia alla Sicilia non c’è nulla di diverso sotto il sole.
E se c’è chi si scarica la spesa delle sigarette o le ricariche telefoniche della moglie che, poveretta, avendo un marito sempre impegnato per il bene dei cittadini ha esigenza di chiamarlo al telefonino, come non avere un po’ di comprensione per chi facendosi carico dei problemi degli italiani sente la necessità di distrarsi un po’?
Ben vengano dunque le “orgettine”, anche quelle a carico degli italiani che hanno pagato gli stipendi di onorevoli (onorevoli?) e beneficiati vari della politica che allietavano le tristissime ore di un presidente perseguitato dalla magistratura.
Feste, farina e forca? Alle feste ha pensato chi pagava le “orgettine” con i nostri soldi. Alla farina i “criminali” che per non morir di fame in un Paese tanto rispettoso delle leggi e della morale hanno commesso l’errore, gravissimo, di aver rubato un tozzo di pane. Alla forca provvede quel popolo di pecoroni che ancora oggi, dividendosi in simpatizzanti di destra, sinistra e centro, delega a chi legifera il far condannare al carcere disoccupati e pensionati in stato di assoluta povertà. Un popolo sempre pronto a chiudere entrambi gli occhi sulle malefatte di una classe politica che in altri Paesi rischierebbe condanne pesantissime che vanno da lunghi anni da trascorrere in galera (v. Stati Uniti) alla pena di morte (come nel caso della Cina).
Tra un’orgia e l’altra, un pacchetto di sigarette e un pranzo al ristorante, con i poveracci in galera, l’Italia va…
Gian J. Morici