Trovarsi ad una festa di italiani all’estero è un’esperienza da fare per sfatare d’un colpo tutti i cliché (le tovaglie a quadretti, i “fiaschi” di vino e il sottofondo “zumpapperotrallalà” che accompagnano nell’immaginario collettivo nazionale queste iniziative). Ne è stata la prova la festa in onore di “Focus in”, testata franco-italiana made in Paris, i cui oneri sono stati assunti dal coro “Di Sol e di La” di Clamart, cittadina a pochi chilometri dalla capitale, per sostenere il giornale.
In programma il coro stesso, che ha cantato alcune canzoni della tradizione popolare italiana (da “pizzicarella” à “funiculì funicolà” passando da “Bella ciao” e tarantelle varie), lo spettacolo AngiOlina NerOliva di Debora De Gillio e Tiziana Valentini, la storia d’amore di un operaia del Sud che si trasferisce a Torino (cf recensione) e una performance-atelier della Compagnia SuDanzare condotta da due antropologhe, Tullia Conte e Serena Tallarico e un musicista-performer, Mattia Doto, che hanno dimostrato quanto la danza italiana più nota al mondo sia tutt’altro che conosciuta. Altro che due saltellini di qua, due di là e una giravolta, i ballerini amatori hanno sudato veramente con figure improvvisate in libertà “guidata” dalla musica (anche quella tutt’altro che scontata).
Cosa c’è di diverso dalle feste di famiglia o le sagre di paese, direte voi?
Tutto. Innanzitutto lo spirito: queste feste sono organizzate per far vivere l’associazione (nella fattispecie un giornale indipendente) o per sostenere una causa: i Di Sol e di La – e non sono gli unici – hanno raccolto fondi per il terremoto e vanno regolarmente ad allegrare le noiosissime giornate degli anziani nelle case di riposo, partecipano al Téléthon, come Carmelo Mondello, conduttore della trasmissione radiofonica Italoscopie (il sabato mattina su Radio Vexin) che ha servito tutta la sera gli arancini fatti per l’occasione dalla moglie francese, Cathy.
Idem si dica per il pubblico, un misto di vecchi e giovani, di emigrati da una vita, appena arrivati o nati qui, da italofoni e francofoni, anche qualche altrofono e qualche dialettofono puro, tutti lì per passare una buona serata, ballare, conoscere gente che ha gli stessi interessi – tra cui la cultura italiana – e anche, già che c’è, ripartire con qualche riflessione in più.
Lo spettacolo AngiOlina nerOliva ha fatto questo: ha dimostrato che prima ancora dell’emigrazione verso l’estero, c’è stata quella interna, che la nostalgia e lo spaesamento li provavano anche chi si trasferiva dal Sud al Nord, chi cambiava anche solo contesto (dal paesino alla città) o lingua (dal pugliese al torinese), che dovunque vai ci sono i ricchi e i poveri, gli sfruttati e gli sfruttatori e che le radici, l’identità sono importanti. Nonna Concetta, che incarna la saggezza (ma non ha niente a che vedere con i “saggi” di Monti e Napolitano, sarà perché è una donna?), risponde la stessa cosa a due soldati, di cui uno vorrebbe radere al suolo il paesino fatto di donne che urlano alle finestre, bambini selvaggi che si arrampicano sugli alberi e uomini fannulloni e l’altro che invece vorrebbe andarci a vivere attratto dalle donne che cantano, dalla libertà dei bambini e dalla lentezza (che è anche qualità di vita e di rapporti interpersonali): “Bah, il Sud è sempre stato così!” commenta la nonna. “Angiolina”, spiega poi alla nipote “il Sud si vede solo con il cuore”. Segnaliamo en passant che anche Tiziana e Debora lavorano molto con gli ospedali e il pubblico in difficoltà. E si vede: tutte queste riflessioni sono state trasmesse (si spera) da cuore a cuore più che da testa a testa, attraverso uno spettacolo in cui canti, musiche, imitazioni e satira fanno soprattutto ridere.
“La musica è come la salsa sui maccheroni per i giovani, dà un po’ di sapore”, dice la Valentini. E i giovani a questo tipo di feste partecipano e aiutano, si vede che il sugo piace.
Non solo: pizziche, tarantelle e tammuriate sono state ultimamente rivalutate proprio dai giovani che le interpretano in chiave più moderna, magari incrociate al jazz (come fa Nico Morelli o anche la stessa Tiziana Valentini) o alla musica celtica come fa Giuliano Gabriele dei Jacaranda. Così come solo in questi ultimi 2-3 anni sono nati almeno una mezza dozzina di spettacoli che narrano l’epopea dell’emigrazione italiana, spettacoli fatti anche da giovani o in ogni caso da migranti che non hanno vissuto i “sale macaronì” e il razzismo diretto (e molti sono i giovani che lavorano sul periodo della Resistenza). Perché questa voglia di riscoprire il passato, di re-interpretarlo? Più che nostalgia di un periodo che non si è vissuto, mi sembra rispetto per le strade che gli anziani hanno aperto, per quello che hanno fatto. Mi sembra in linea con il concetto di “tradizione” che per continuare ad esistere dev’essere “contaminata” dal tempo e dal contatto con altre culture. Ecco perché sono importanti i francesi e le altre nazionalità che spesso frequentano queste feste e che a forza di venire hanno smesso di chiamarci “pizza –pasta e mandolino”. Cioè sarà pure così (gli stereotipi hanno sempre un fondo di verità), ma sono una Signora pasta e un Signor mandolino che loro non si sognano neppure e che mai si sarebbero immaginati così.
In questo senso questo tipo di feste che rinforzano al tempo stesso la propria identità d’origine e l’appartenenza al gruppo locale, francese se non internazionale, sono assimilabili non tanto alle feste di paese ma alle feste che tanti migranti in Italia non si possono permettere di fare nelle condizioni in cui vivono ma che quando riescono sono uno strumento fondamentale di interculturalità positiva, per loro e per noi.
Che dire? “Focus in” non è soltanto informazione e cultura è anche “nu piezz e core” italiano all’estero…
AngiOlina NerOliva – Video AngiOlina NerOliva
« AngiOlina NerOliva ou l’Histoire d’amour d’une ouvrière italienne » est une histoire comme tant d’autres : Angiolina est une jeune fille d’un village du sud où “le ciel appartient à Dieu et le blé à Don Vito” qui va rejoindre ses frères à Turin pour travailler dans une grande usine de couture, accompagnée par la bienveillante “nonna Concetta”, presque centenaire mais avec une ouverture d’esprit qui n’a rien à voir avec le machisme des frères d’Angiolina. Le Nord c’est “le pays de rêves”, Angiolina y rencontre l’amour et la honte, le travail et le harcèlement, le gris et le brouillard, la nostalgie e la liberté, le racisme et même la lutte des classes.
Ce qui étonne dans cette pièce, écrite et interprétée, par Debora De Gilio e Tiziana Valentini, est que cette vie de misère et de joie (sans vouloir vous révéler le happy end) qui tient dans un peu plus d’une heure n’est que « suggérée » par l’ironie, par la musique et les danses, par l’onomatopée … et pourtant elle est si réelle et si forte qu’on croirais connaître cette fille des Pouilles et son histoire.
C’est une histoire d’inspiration autobiographique : Tiziana est la fille d’un émigré du Nord qui est allée vers le Sud, Debora est fille d’émigrants su Sud qui sont parti vers le Nord. « Nous nous sommes rencontrées sur les quais de la Seine à Paris pendant un concert improvisé de tarentelles » racontent-elles. « Nous avons commencé notre collaboration en animant les bals concerts ‘Le bal du spaghetti’ avec les musiciens Tonino Cavallo et Luigi Rignanese, et en proposant des animations de contes et musiques auprès de publics en difficulté. Au fil de nos rencontres l’envie est née de raconter l’histoire de nos parents pour partager cela avec le public français, avec les italiens qui sont en France, ceux qui sont là depuis longtemps et qui ne connaissent pas l’histoire de l’immigration interne et aussi avec les nouveaux immigrés ». Une sorte de « migrante » universelle que soit Nord-Sud, ville-campagne, Italie-étranger ou viceversa, les sentiments sont toujours les mêmes : la quête d’une meilleure qualité de vie, le rêve, la peur, l’adaptation, le sentiment d’infériorité ou d’être en quelques manière « différent », le combat intérieur entre rester soi même et céder aux illusions de l’intégration, de se résigner aux convention familiales ou de s’autoriser un peu de bonheur.
Au delà du texte, qui a une force extraordinaire à lui, le récit des conteuses est rythmé par des « slam » onomatopéiques qui accompagnent les gestes du travail (la récolte des olives, l’usine de couture) en en soulignant l’aliénation. Même les noms semblent choisi dans cet esprit évocateur de Agiolina (petit ange) à Uccio Duccio et Antonuccio, les trois frères machos qui sonne comme « Ucci ucci sento odor di cristianucci » la menace que l’Ogre adresse au Petit Poucet, en passant par Madame Teresa Pautasso, turinoise depuis 5 générations, raciste et snob depuis autant, dont l’assonance avec un insulte français normalement adressée aux femmes de ce genre est évidente.
La musique aussi est tissée dans le texte pour rythmer et commenter la situation, en injectant des émotions supplémentaires : « Là où la parole n’arrive pas, c’est la musique qui y arrive », dit Tiziana. Ainsi, la période du récit a été déterminée par la chanson « Son tutte belle le mamme del mondo » (les mamans du monde sont toutes belles) chantée par Giorgio Consolini e Gino Latilla à la dernière édition radiophonique du festival de Sanremo, une époque et une chanson qui est resté dans la tête des italiens même à l’étranger. « Pour le public qui a connu l’émigration, la musique est un flash-back sur une période douloureuse et faite de sacrifices, mais aussi de joie et de danses … pour les plus jeunes, elle est comme la sauce sur les pâtes, elle donne du goût, ça leur permet de s’emballer ». Si on devait citer une sauce, je ne dirais pas le « cime di rapa » (dont il est question dans le spectacle), mais plutôt une « puttanesca », tomate, olives aux saveurs du Sud et beaucoup de piment !
Parmi les ingrédients musicaux : les stornelli et les chansons populaires en dialecte du Salento renvoient parfois à d’autres récits de vie, comme Cecilia, qui couche avec le capitaine pour faire libérer son mari de prison mais en sort sans boulot et sans honneur ou bien la chanson de mondine piémontaises qui accompagne Silvana (un hommage à Silvana Mangano dans le film « Riz amer » à signifier que dans les usines du Nord il y avait aussi des paysans du nord. De même les pizziche et tammuriate sont des bals traditionnels du talon de la Botte, d’autres ont été créées par Tiziana Valentini, qui a une longue expérience de la musique traditionnelle de cette région (elle a fondé un de premier groupes de musique populaire, les « Alla Bua » et ensuite le groupe Zimbaria avec Pietro Zimba, a participé au film « Pizzicata » d’Edoardo Winspear…).
Angiolina de temps en temps se rend à Piazza Palazzo, une place où les émigrants se retrouvent pour prendre des nouvelles de la famille. C’est Nonna Concetta qui nous donne les clés pour comprendre le message de la pièce avec sa réponse à deux soldats dont l’un voudrait raser le village à cause des femmes qui crient aux fenêtres, la saleté, la sauvagerie, la fainéantise et l’autre voudrait y vivre grâce aux femmes qui chantes aux fenêtres, la liberté, le rythme de la vie. Nonna Concetta répond : « bah, ici c’est comme ça depuis toujours !” et explique: « Angiolina, le sud on ne le voit qu’avec ce qu’on a dans le cœur… ». Un spectacle viscéralement sudiste et engagé. A voir.