Resoconto dell’inaugurazione della mostra “Terre del Principe”, personale del Maestro Peppe Butera, tenutasi venerdì 30 agosto presso Palazzo Principe Naselli di Aragona (Foto di Francesco Novara).
Citazioni e critica a cura del Prof. Nuccio Mula.
Cristina Bergia:
“Esistono artisti che dipingono ciò che vedono, altri che dipingono ciò che ricordano o ciò che immaginano. Il nostro cervello si modifica di fronte alla realtà ma, allo stesso tempo, è capace di cambiarla: un cervello “diverso” dovrà pertanto avere un rapporto diverso con la realtà.
Nell’ arte questo “processo” può portare alla creazione di nuove realtà, che solo in parte dipenderanno dall’ “informazione sensoriale”; il nostro cervello, infatti, non ha necessariamente bisogno del continuo “flusso informativo” proveniente dai nostri sensi. I sogni, i ricordi che “rivivono” nelle immagini mentali e anche, rappresentazioni “semplicemente” create dalla nostra mente testimoniano questo evento.
In questo senso l’arte amplifica la realtà, crea un nuovo “canale mentale” in grado di aprirsi a nuove esperienze. Gli stimoli visivi, reali o evocati dalla memoria, che hanno eccitano il sistema nervoso dell’artista al momento della creazione dell’opera d’arte, trasformati dalla sua mano in colori e forme, stimoleranno il sistema nervoso di chi l’osserva.
L’opera d’arte deve riuscire a suscitare nel cervello dell’osservatore sensazioni ed emozioni che sono state presenti nel cervello dell’artista [Maffei L., Fiorentini A., 1995].
Accostarsi ad un opera d’arte, guardarla, percepirla, comprenderla e apprezzarla, implica il coinvolgimento di molte strutture cerebrali e l’attivazione di meccanismi ben specifici, a partire dai funzionamenti alla base della percezione visiva, a quelli implicati nella cosiddetta “psicologia del vedere”, nell’esperienza estetica ed emozionale.
Questo si riferisce non solo all’emozione provata da chi gusta un dipinto ma anche al momento creativo che coinvolge l’artista per realizzare la sua opera.
Alcuni ricercatori, soprattutto psicologi e neurofisiologi, sono rimasti affascinati dalla possibilità di studiare le proprietà e le caratteristiche del cervello che rientrano nella valutazione di un’opera d’arte e nel piacere che essa può dare; persuasi dall’idea che la comprensione di tali meccanismi cerebrali, insieme alla conoscenza delle vicende della vita di un artista e della cultura del suo tempo, possano favorire una maggior “cognizione” e apprezzamento dell’opera e di chi l’ha creata.
Un’ opera d’arte nasce dalla combinazione di ciò che l’artista esperisce “visivamente” e da come interpreta quanto gli viene comunicato dal mondo esterno.
Una sera passeggiavo per un sentiero,
da una parte stava la città e sotto di me il fiordo.
Ero stanco e malato.
Mi fermai e guardai al di là del fiordo
– il sole stava tramontando –
le nuvole erano tinte di un rosso sangue.
Sentii un urlo attraversare la natura:
mi sembrò quasi di udirlo.
Dipinsi questo quadro,
dipinsi le nuvole come sangue vero.
I colori stavano urlando.
EDVARD MUNCH
“Mi piacciono i pittori che nel loro immediato rapporto con la realtà, le forme, i colori, la luce, sottendono la ricerca di una mediazione intellettuale, culturale, letteraria. I pittori di memoria. I pittori riflessivi. I pittori speculativi. Un sistema di conoscenza che va dalla realtà alla surrealtà, dal fisico al metasico”.
LEONARDO SCIASCIA
“I colori sono vibrazioni come di campane d’argento e suoni di bronzo: annunciano felicità, passione e amopre, anima, sangue e morte”.
EMIL NOLDE
COLORE – CROMIA
“Colore”, del tutto diversamente da “cromia”, ha ceppo etimologico, apparentemente paradossale, in “cholos”, cioè in macchia nera e persino in “fiele” (da cui anche “collera”, “collerico”, etc.). “Cromia”, invece, all’etimo appare in tutt’altro aspetto, esattamente opposto e più congruo nel riferire artistico, ancorché meno comune all’usarlo rispetto a “colore”: e infatti é “veste”, del corpo e d’altro, abilitata a ricevere ed a trasmettere spettri, flussi e tracce di tonalità, irradiazioni, splendori e luminescenze.
LA PITTURA
Noi abbiamo un’opinione più alta della pittura: essa serve all’artista a esprimere le sue visioni interiori. Henri Matisse.
Ma anche Kandinskij.
La pittura, nelle “visioni Interiori” di Peppe Butera, s’incontra concretamente, ma anche misticamente, in nuzialita’ di trasfigurazioni alchemiche con la materia ed i suoi elementi.
Elementi nell’occidentalita’ di Empedocle presenti anche nella pittura di Peppe Butera: Acqua, Aria, Terra, Fuoco.
Elementi nell’orientalita’ confuciana e taoista de i Ching e del Feng-Shui, confluiti anche nel buddhismo: oltre ad acqua, aria, terra, fuoco, anche vento, monte, lago.
PITTURA E MATERIA.
La pittura e la materia, la pittura che puo’, vuole e sa diventare pittura di materia e di non – forma.
LA MATERIA
Mater Materia Matram. Senza virgole Senza pause Senza stacchi. Mater Materia Matram, “Uno” ed “Unicum” di Genesi e di Metamorfosi, d’Estro e di Frutti, di Placente e di Nascite, di Essenze ed Evidenze, d’Intuizioni e Mutazioni, di Alchimie e Miracoli. Mater Materia Matram, Trinità Triade Trimurti dell’Origine e dell’Essere, della Sostanza e della Forma, dell’Intuire e dell’Intelligere. Mater Materia Matram, Mater Mamma Magma, Mistero che moltiplica all’Infinito ed eleva a Potenza Segni di Aggregazioni nel Divenire magmatico e fluttuante di Apparizioni. Mater Materia Matram, Trina e Singola espressione, ineludibile ed inalienabile, dell’unico Marchio Modello Mistico che ricerca, riunisce, incatena, consolida, fonda, sublima, vivifica e diversifica l’Arcano incessante e proteiforme della Creazione anche e già da una comunanza d’etimo che abbaglia, sgomenta ed estasia, aggregando direttamente la Mater / Grande Madre dei Culti Segreti e di parte della Rivelazione, la Materia / Matrice delle Cose e degli Esseri, di Forme e “Non – Forme”, di raggruppamenti, Anime Mute ed Anime Nude, e la Madre / Matram nel suo manifestarsi assoluta ed unica Unità di Misura che, da inappellabile metro in termini oggettivi, soggettivamente diviene anche Colei che gestisce le evocazioni, le vibrazioni, le aggregazioni, le disgregazioni della Materia, ergo le Genesi e le Metamorfosi che partono dall’Uno / Trino dell’Inespresso, dell’Esprimibile e dell’Inspiegabile ed all’Uno / Trino, dovunque, sempre e comunque ritornano, poiché Essenze dell’Uno / Trino in tutto o in parte, ossia nella globalità del sostanziale “preparato con mano” e “formato” (ecco qui Mater nel suo manifestarsi Matram) e addirittura nel residuale di scarto che va ad eccedere da quella forma rieditata, conquistata ed in apparenza definita e conclusa che la logica umana, priva di carisma deuteroscopico, relega a rifiuto da precipitare, ancorché scelleratamente, nel baratro dell’Oblio.
Esiste, allora, un legame comune tra il “Senza-Forma” e l’ “Oggetto Con Forma”, poiché in tutte le Evidenze dotate di Forma è presente il “Prâjña”, Principio dell’Io, “Aham”, “Suono Divino”, “Suono Padre”, eloquente o muto, ma sempre armonico, che vibra in ogni essere ed ogni cosa: ed è solo e soltanto all’ “Aham” che tendono, anelano i “Suoni-Figli”, in canto autointonato o in universale sinfonia d’unisono, clamorosa o silente, sussurrata o stentorea, innalzata all’ Uno Indiviso ed Eterno.
Anche in Peppe Butera, il Maestro Butera, il grande, grandissimo Maestro Butera, si propone e s’impone come affabulante interprete e protagonista di un Cammino fra pluralità di rimaterializzazioni e dovizia di carismatiche consapevolezze, con questo Suono Divino e Primordiale della Materia / Mater che s’appalesa (con fluidi trasmessi dal “Senza Forma” Iperumano ed Arcano ai reticoli convergenti dell’umano e tangibile ri/creare, ed a sublime prosecuzione di tale seducente e sortilega sequenza di “M”) anche su tragitti di “Mantra” e “Mandala”: “Mantra” come “HyperSuono” di Devozione verso il “Nome-Forma” Primo, Supremo ed Immanifestabile, “Soggetto dell’Arte” per eccellenza, “Voce del Dio”; e “Mandala” al pari di “Contenitore d’Essenze della Non-Forma ” non necessariamente formali, ergo necessitanti di forme, le quali, fin troppo spesso, sono pretesti di basse mediazioni raffigurative.
Non più,quindi, una pittura intesa e perseguita nei prevedibili ed epidermici modi del definire,ma come superiore ed esoterica Teurgia di Dialoghi e Mutamenti fra l’Uno, l’Elemento e l’Io, attraverso figurazioni multiple e proteiformi di un’ ”Anima Mundi” che ingloba e configura Mater Materia Matram nell’Uno; dove la Bellezza, “ab immemorabili” Meraviglia delle Meraviglie dell’Universo Animato, va a manifestarsi in sublime Sincronia di Animismi, Epifania di convivenze e simbiosi tra Divino e l’Umano. Ed è qui, allora ed ancora, che l’Arte di Peppe Butera va a rivelarsi Transustanziazione e Trasfigurazione del Principio Creatore, ovvero di tutto ciò che è della Pristina ed Iperuranea “Mater Prima” e di mille terrestri Madri Maternali, per una sintesi dinamica ed ieratica che si stacca dalla fisicità dei materiali (cioè dei figli della Mater / Materia / Matram, e dal loro visibile rimaterializzarsi fra le mani dell’ “Artista Faber”, per scrutare, mirare, catturare, sublimare ed eternare gli “attimi fuggenti” di Presenze e di Vibrazioni, di Passioni e di Palpiti, di Tenerezza e di Possanza, di Verità e di Poesia. E di tutte le potenzialità di trasmutazioni già racchiuse nel Grembo della Madre Terra (l’“Antica Madre”, laddove è proprio la Terra che dona vita al Caos Materico prima del “Fiat Lux”, ed è proprio dall’Anima Muta e Magniloquente della Terra che prosegue il qualificato e poliedrico percorso espressivo di Peppe Butera dopo aver giganteggiato in lungo e in largo fra le più alte espressioni della creatività pittorica, dall’espressionismo astratto alla “dripping art” di quel titano di Jackson Pollock di cui Butera fu non imitatore, come molti e troppi, ma interprete per molti versi unico, inimitabile, irraggiungibile, e da cui seppe e volle distaccarsi nella consapevolezza d’un “work in progress” di polivalenze in cui i tragitti hanno solo orizzonti e non traguardi su cui fermarsi, ansimanti, e dissolversi (“Là dove incontri il Buddha, uccidi il Buddha e vai avanti, ammonì la sapienza del Taoismo)) anche d’altro vuole e sa nutrirci l’Artista, laddove sono anche altre e tante e sempre fascinose variazioni di creatività nelle tecniche più diverse e nei materiali nei quali l’Artista ottimizza il suo tocco magistrale di “Faber” sulla “Sub- dell’intuire nell’estro, del monitorare, dell’individuare, del cogliere, del catturare con destrezza di reziario, dell’apparire, del ri / velarsi, dello svelare, ergo del “togliere i veli” strangolanti e mendaci della visioni fisiche e non interiori, ad una Materia sinonimo diretto anche di quella Memoria che rammenta, ritiene, riflette, riproduce e reifica le varie manifestazioni della “Non Forma” attinente l’unità trinitaria di Mater Materia Matram, veicolandone flussi, sommovimenti, essenze e trasformazioni attraverso una Manualità ed una Misura anche qui puntualmente annunciate da un Vestibolo di Preghiera anche laica ma pur sempre altissima, illuminata ed illuminante di fulgori e folgori, anche nella prevalenza di cromìe tutt’altro che solari e serenatrici, ma che divengono, costantemente e coerentemente, “containers” di luci e visioni interiori.
Terra come Demetra, Dea Madre, Dea Grande Madre di Sikelè l’Arcana e l’Occulta, vagolante e immortale,materna ed altera,fra le tre colonne che reggono la nostra Isola.
Peppe Butera e la Terra, anche la terra senza la t maiuscola.
Terra che Butera inquadra in visione deuteroscopica. Mi spiego. Con i due occhi della carne (gli occhi fisici) non possiamo vedere ciò che è molto lontano. Possiamo vedere il davanti, ma non il dentro, il dietro, l’oltre. Possiamo vedere l’esterno che ci circonda ma non l’interno che ci ingloba. Possiamo vedere qualsiasi cosa di giorno, ma nessuna cosa di notte, al buio. Quando vediamo sopra, non vediamo sotto. Occhi utili, pertanto, ma limitati e scomodi, e sicuramente anche forieri di illusioni e di delusioni, che non vanno oltre i veli fallaci del visibile; mentre il “Terzo Occhio”, quello della consapevolezza, quello dei Deva, ci permette di compensare e di oltrepassare tutti questi limiti, perlustrando cioè la realtà soggettiva, oltre che quella oggettiva, con quella che, accidentalmente intesa, viene definita, in specie, “seconda visione”, ergo “deuteroscopia”. Ma, per insegnare agli altri ciò che ha imparato, chi possiede questo “Terzo Occhio”, l’ “Occhio dei Deva”, l’Occhio della Saggezza (ovverosia, per proseguire cogitando su termini contemporanei ed occidentali, molto più freddi e statici, l’Occhio dell’Intuizione Intellettuale) bisogna diventare un Maestro e conseguire il possesso dell’ “Occhio del Dharma”, il “Quarto Occhio”, che rappresenta l’ultimo scalino verso la meta suprema del “Quinto Occhio”, l’ “Occhio del Buddha” (o l’Occhio di Dio, nel simboleggiare iconografico dapprima ebraico e poi cristiano), e cioè l’ “Occhio degli Occhi”, che penetra in tutti i dettagli e le emozioni della mente umana attraverso tutti i lati e tutti gli angoli, l’Occhio che penetra in tutti gli occhi, l’Occhio che s’incunea nella Parola sublimandola in Silenzio, l’Occhio che intuisce, discerne, dispensa la “Mahamatri” (“Grande Compassione”) e la “Mahaprajna” (“Grande Saggezza”) .
Terra che Butera, nel suo rapportarvisi intensissimo ed irrefrenabile, distilla, sedimenta e sublima come arte / poiesis, quindi come azione, azione dell’ incidere, dell’ ex-cavare, del portare alla luce tramite l’azione laser dell’occhio / ago, tramite i mille e mille diversi Athanor dell’esorcizzare ed universalizzare.
Terra che, come in pressocche’ tutte le opere di questa splendida personale non a caso – intitolata “TERRE DEL PRINCIPE”, viene da lui raccolta in loco, portata nel suo studio che e’ visione vivente della sua vita, sparsa sulle tele, baciata, bagnata di sudore, di saliva, di lacrime, persino fecondata quasi in un cerimoniale iniziatico di fecondita’ per interscambi che mi ricordano subito gli antichissimi rituali di apparente follia con cui i lavoratori dei campi facevano letteralmente l’amore con la propria terra, per ingravidarla di desideri augurali ed attendere, al raccolto, i frutti di enormi, misteriose, divine placente.
FOLLIA. ANCHE IN BUTERA? PUO’ DARSI.
Ma follia ben diversa da quella comunemente,banalmente, mediocremente detta e intesa.
“Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo
lo cambiano davvero” Einstein
E’ facile definire “pazzo” qualcuno. Bastano due o tre malvagi e imbecilli. Che non si rendono conto che tra “pazzo” e “folle” esistono differenze formali e sostanziali.
“Pazzia” indica la bestialità, la patologia in senso negativo, definitivo, clinico, fuori da ogni razionalità comunemente intesa.“Follia” addita l’ingegno, l’anticonformismo, l’estrosità, l’apparente irragionevolezza nei modi personali e comportamentali. Irragionevolezza che, a volte, confina con la genialità. Come nel caso anche di moltissimi grandi Artisti, da Michelangelo a Rotcho, da Basquiat al citato Munch, da Ligabue a Dalì, e potremmo continuare con mille altri esempi per tutta la serata.
Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, in cui la Follia ha natura divina, è l’evoè delle baccanti, è il Dionisiaco di Nietzsche, umanissimo, scatenante, rivoluzionario, anarchico, individualista, rispetto all’Apollineo etereo e formale, distaccato e omologato, ed oggi ancor più omologato dalla massificazione triturante e dominante (mi sovviene Barthes ed il suo “Impero dei segni”) in cui tutti la devono pensare per forza allo stesso modo e devono agire allo stesso modo altrimenti sono “out”, “fuori”, destinati all’incomprensione ed all’emarginazione, ai sarcasmi degli incolti, all’odio ed all’irrisione da parte di chi non capisce niente, non può e non vuole capir niente.
Per fortuna sua e nostra, Peppe Butera, con la sua “follia pensata” (titolo quanto mai e più che mai azzeccato per uno dei suoi numerosissimi, imponenti, magnifici cataloghi d’arte, redatti dai più autorevoli critici di tutto il mondo), ha dimostrato che la Follia, quella con la F maiuscola, è realtà ben diversa dalla pazzia con la p minuscola.
Ed è grazie a questa Follia che Peppe Butera, il Maestro Butera, il grande Maestro internazionale Butera, ha potuto mietere successi in tutto il mondo, stimolato all’inizio dall’incontro con il supremo Dio della critica d’arte di tutti i tempi, pierre Réstany, che gli cambiò la vita: “Tu sei un artista. Licenziati dal posto di lavoro. Lavora. E se non lavori, sii povero, come tutti i grandi Artisti”: e Peppe lo prese in parola, rinunciando all’impiego alla Posta ed anche ad una cospicua buonuscita, il cui importo, però, ebbe a decuplicare in appena pochi mesi, perché era un Artista.
Che poi, dai miliardi accumulati nella sua carriera non gli siano rimasti che spiccioli, è e rimane, in fondo, per lui, ben poca cosa. Del resto, lo dice anche il Vangelo: “Non accumulate ricchezze sulla terra”. E lui, le ricchezze, e non solo quelle fatte di soldi, ma soprattutto quelle del suo Genio, non le ha tenute per sé, ma le ha donate al mondo, che gli ha tributato gli onori riservati ai più Grandi Maestri d’ogni epoca.
Eccole, le sue opere. Fatte con le sue terre. Fatte della sua carne, della sua anima, dei suoi dolori, dei suoi sorrisi, dei suoi infarti, del suo ictus, dei suoi “by-pass”, dei suoi tormenti, delle sue estasi, dei suoi istinti, dei suoi odori, dei suoi profumi, dei suoi fluidi, del suo seme, di tutto se stesso, di tutte le sue storie, di tutta la sua vita.
Terre meravigliose. Forse ne manca una, ma è la terra del “nemo propheta in patria”.
Ma non gli importa, forse. O gli importa moltissimo, ma ormai è troppo tardi.
Il suo “luogo dei luoghi”, il suo “hypertòpos”, quello che Martin Heidegger, genialmente, così ebbe a definire: “Il poetare pensante è, in verità, la topologia dell’essere. Essa gli indica il villaggio ove dimora la sua essenza”, iperluogo depositario di quotidianità e di aneliti, di miraggi e di capitolazioni, di bandiere bianche e bandiere nere, di aneliti e affanni, di sogni e di risvegli, di suoni e silenzi, di tanfi e profumi, d’amarezza e d’amore, da tempo è Aragona: e questa grande Mostra ne è esempio inequivocabile ed insostituibile, ormai, per terre di contrade e terre del cuore, per fulgori e illuminazioni, per tele e totem di sponde di furgoni inseminate di stratigrafie e di emozioni, di materie e di cromìe, del suo e nostro Fuori, del suo e solo suo Dentro, dei suoi sentimenti, dei suoi materiali.
Scrisse Ernesto Cardenal, uno dei massimi poeti della contemporaneità, sacerdote, monaco trappista, ministro di Dio e ministro del popolo nella rivoluzione sandinista in Nicaragua (e per questo motivo inquisito e insultato anche dalla Chiesa cieca e sorda dinanzi alle invocazioni d’una giustizia fatta non solo di preghiere ma anche di fatti concreti e fuori da paletti religiosi: “Dietro al monastero, vicino al sentiero, / esiste un cimitero di rifiuti / ove giace il ferro patinoso, pezzetti / di maiolica, tubi rotti, fili ritorti, / pacchetti di sigarette vuoti, segatura / e zinco, plastici invecchiati, piante rotte, / che attendono, come noi, la risurrezione”.
Ecco, anche in questo c’è Peppe Butera, con la lungimiranza assoluta nella scelta dei suoi materiali, con il suo prediligere quell’arte povera segnata da Schwitters e da altri, e non certamente la sua deformazione commerciale per stili e mobilio.
Materiali e terre. Polvere, grumi, pietre, granelli, strati, esplosioni, implosioni, eruzioni, bollori di maccalube imprevedibili nel’aprirsi al detonare, dimensioni dietro le cortine non obnubilanti ma rivelatrici di altre dimensioni, come dai preziosi consigli multidimensionali e multi prospettici che gli diede, a suo tempo, anche il suo carissimo Amico e Maestro Mimmo Rotella. Eccolo, anche qui, Peppe.
Peppe con le sue terre. Le terre del Principe Naselli, una volta. Ma adesso…
Terre. Terre della tua infanzia e della vita. Tutta. Terre di cui sei figlio e cui sei padre.
Ovunque il guardo giri, solo terre. Ovunque. Terre che tu hai donato al mondo. Tutte. Ovunque.
Terre di amplessi arcani per amorosi vincoli di abbracci. Terre impastate d’ogni tuo sudore, della tua saliva, dei tuoi pianti amari, delle tue lacrime di gioia. Terre di sistole e diastole in furia, di agguati e di crolli, di allarmi e risvegli, di nuovi e caparbi vigori. Terre immortali e salvifiche, risananti e lustrali.
Terre che tu hai scavato con le mani, e con le mani hai sparso su ogni tua tela, invocando/evocando presenze in riti ancestrali di luci e di tenebre, di entità e vaticini, di strati e di grumi, di clamori e silenzi, di stasi e di estasi.
Terre del Principe, ieri. Adesso Tue e solo tue, Peppe.
Terre di Peppe Butera. Terre del Maestro.
NUCCIO MULA