Il governo Letta è salvo. Berlusconi è soddisfatto. Napolitano è diventato innominabile quasi alla stessa stregua degli antichi sovrani assoluti orientali. Di contro Alfano ci perde la faccia e il PD subisce l’ennesima umiliazione.
Il caso Kazakistan, che ai cittadini italiani ha fatto ulteriormente perdere fiducia nella politica e nelle istituzioni, palesando ai loro occhi quanto male può fare una politica debole e frutto di una “porcata” che i dirigenti politici di fatto non vogliono cambiare, è destinato a produrre effetti negativi sia per quanto riguarda la politica interna che estera.
Nonostante venerdì 19 luglio non sia passata in Senato la mozione di sfiducia proposta dal M5S e SEL nei confronti del ministro dell’Interno, trasformando in una barzelletta all’italiana una vicenda che ha visto consegnare nelle mani del dittatore Nazarbayev moglie e figlioletta del suo maggiore oppositore politico, “senza che il ministro Angelino Alfano ne fosse a conoscenza”, nessuna responsabilità politica sembra essere emersa dal dibattito in Senato e successiva votazione.
Non sapremo mai se Letta avrà provato un po’ di vergogna nel dover sottolineare che, in relazione al caso Kazakistan, “esce inoppugnabile il mancato coinvolgimento dei vertici del governo ed emerge in modo chiaro in particolare l’estraneità del ministro dell’Interno all’accaduto”. Angelino Alfano, che probabilmente per salvare la propria credibilità politica avrebbe fatto meglio a dimettersi, salva la poltrona per volontà di Silvio Berlusconi e con l’avallo del Capo dello Stato che poche ore prima si era intromesso nella dialettica politica parlando alla politica a mezzo stampa a favore del governo: “Irrecuperabili i contraccolpi a nostro danno, nelle relazioni internazionali e nei mercati finanziari, contraccolpi i cui effetti si vedrebbero subito”.
Napolitano ha difeso la sua creatura, quel governo delle larghe intese, da lui sempre coccolato e difeso, salvandolo da prematura e certa morte; poco importa se è stato lasciato al proprio posto un ministro dell’Interno che non poteva non sapere quanto stava accadendo ad Alma Shalabayeva e alla piccola Alua e che, qualora fosse stato lasciato all’oscuro, avrebbe solo dimostrato la sua scarsa autorevolezza, rendendo ancor più grave la vicenda. Un Angelino Alfano che agli occhi degli italiani, indipendentemente dal voto del Senato, rimane politicamente responsabile per il sequestro e la consegna a Nazarbayev della famiglia Ablyazov.
Il presidente della Repubblica, in aula non può essere citato dai senatori se non per adularlo, come ha fatto il sen. Schifani a fianco di un compiaciuto Silvio Berlusconi, pena il richiamo del presidente del Senato Pietro Grasso: “Non sono ammessi riferimenti al Capo dello Stato, lasciamolo fuori da quest’aula”. Del resto gli italiani cosa potevano aspettarsi dopo le parole del premier Letta che aveva chiesto e ottenuto rinnovata fiducia, forte dell’appoggio manifestatogli del Capo dello Stato col discorso “del ventaglio”? Letta, facendo proprie le giustificazioni dei vertici del PdL, ha di fatto evitato di sfiduciare un ministro – potente come Alfano, che assomma nella sua persona le cariche di vicepremier, ministro e segretario di partito oltre ad essere il fido pupillo di Berlusconi, – “individualmente responsabile per gli atti del suo ministero” come recita l’ex art. 95 della Cost.
Se Berlusconi e il PdL plaudono alla vittoria sulla votazione in Senato che fa ben sperare per il prosieguo, visto che a breve le sentenze che interessano il Cavaliere potrebbero richiedere una rinnovata larga intesa PD-PDL, ad uscirne a pezzi è il Partito Democratico, il cui capogruppo, Zanda, per giustificare il voto contrario alla mozione di sfiducia non ha trovato nient’altro di meglio che affidarsi a un’ambigua responsabilità: “Saremmo d’accordo con la mozione, ma votiamo contro per responsabilità”.
Il termine responsabilità è parecchio gettonate da entrambe le coalizioni al governo. Quella stessa responsabilità che invece dovrebbe vincolarli nel rispettare il mandato che gli è stato affidato dagli elettori per portare l’Italia fuori dalla crisi, senza svilire e umiliare la democrazia.
Preoccupazione per la democrazia del Paese è stata espressa da Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, che ha dichiarato: “Si fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. Su tutto domina la difesa dello status quo, in questa maniera la democrazia muore”.
Che a preoccupare Zagrebelsky siano gli ordini del Capo dello Stato inviati sottoforma di inviti, moniti, discorsi alle forze politiche che ormai non osano o non possono più nominarlo?
Una questione spinosa che dopo il discorso di Letta al Senato rischia di far esplodere l’alleanza di governo e relativa credibilità. A seguito delle dimissioni di Procaccini, i mal di pancia di prefetti e funzionari nei confronti di un ministro dell’Interno poco presente al Viminale aumentano. “Per il caso Ablyazov paga solo chi non vi ha partecipato: il prefetto Giuseppe Procaccini – ha tuonato il sindacato dei prefettizi”.
Dopo tutte le certezze lettiane sull’ “estraneità del ministro dell’Interno all’accaduto” tra le tante domande inevase una attende veritiere risposte:
Dov’era Alfano in quelle ore e sotto quale veste istituzionale?
Totò Castellana