Con 738 voti Giorgio Napolitano, alla sesta votazione, è di nuovo il Presidente della Repubblica. Il PD che rischia l’implosione, dopo le frecciate di Fabrizio Barca e le voci fuori dal coro di Corradino Mineo e Laura Puppato contro la candidatura di Napolitano, vota in maniera compatta. Stefano Rodotà con 217 voti riceve l’appoggio del M5S e SEL. L’elezione del Capo dello Stato che poteva costituire momento di orgoglio e unione interna del partito democratico, nonché momento di sintesi con le altre forze politiche per il bene del Paese, si è rivelato il colpo ferale ad un partito morente. Morente per i troppi personalismi al suo interno ma, soprattutto, perché non ha avuto il coraggio di avviare una nuova stagione di cambiamento a più riprese promessa dall’ex segretario Pierluigi Bersani. Di fatto non c’è nulla di cui rallegrarsi perché l’Italia è in ginocchio, i partiti non sono stati in grado di formare un governo prima ed eleggere un nuovo Presidente della Repubblica poi. L’alternativa per poter porre termine alla stasi di questi ultimi giorni, dopo la prorogatio del governo Monti, è stata la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica.
Da parte sua Napolitano, dietro gli insistenti inviti dei partiti, ha detto sì al reincarico dopo averlo più volte rifiutato ponendo come motivazione anche e soprattutto il fattore anagrafico. Compirà 88 anni il prossimo 29 giugno. Era stato lo stesso Napolitano a spiegare nei giorni scorsi che una sua rielezione sarebbe stata una “non soluzione” aggiungendo: “ora ci vuole il coraggio delle scelte, sarebbe sbagliato fare marcia indietro”.
Di fatto marcia indietro è stata fatta e per la prima volta nella storia della Repubblica un Capo dello Stato viene rieletto per un secondo settennato. Visto il peso preponderante che il Capo dello Stato ha avuto nelle vicende politiche, a partire dalla nomina del governo Monti (2011) sino a quella dei dieci saggi, in molti continuano a chiedersi se non sia più saggio meditare sulla elezione diretta del Capo dello Stato delegando la scelta al popolo anziché ai partiti.
Tutto era iniziato in mattinata quando i leader delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra, tra cui Bersani, Berlusconi e Mario Monti si erano recati da Napolitano per convincerlo ad accettare la responsabilità di una nuova candidatura per un nuovo settennato. Napolitano scioglieva ogni riserva poco prima della sesta votazione accettando di ricandidarsi alla Presidenza della Repubblica.
Nel 2006 l’allora Presidente Carlo Azeglio Ciampi rinunziando all’offerta di un secondo mandato giustificò così la sua decisione: “Non ritengo data l’età avanzata di poter contare sulle energie necessarie all’adempimento, per il lungo arco di tempo previsto, di tutte le gravose funzioni proprie del capo dello Stato. A ciò si aggiunge una considerazione di carattere oggettivo, che ho maturato nel corso del mandato presidenziale, nessuno dei precedenti presidenti è stato rieletto. Ritengo che questa sia definita una consuetudine significativa. E’ bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.
L’inciucio sembrerebbe compiuto poiché, la rielezione di Napolitano di fatto apre verso il governo di grande coalizione con PD e PDL uniti nell’elezione del Presidente della Repubblica e successivamente nella formazione di un “governo del Presidente” che stavolta non sarà un governo tecnico bensì politico ed in cui, presumibilmente, molti dei 10 saggi potrebbero entrarvi a far parte. Tra i nomi che potrebbero ricevere l’incarico a formare il prossimo governo quello di Giuliano Amato. Il documento stilato dai saggi, il cui lavoro aveva suscitato forti perplessità in Italia ma anche all’estero, quasi certamente costituirebbe l’ossatura portante del programma di governo.
Il momento politico attuale è tutt’altro che facile e contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato, Stefano Rodotà, poco prima che Napolitano sciogliesse le proprie riserve ricandidandosi, anziché ritirare la propria candidatura rilanciava ringraziando quanti all’interno del M5S e dello stesso PD lo avevano sostenuto nelle precedenti cinque tornate elettorali.
Da Bari Rodotà dichiarava: “La mia età avrebbe consigliato di essere un po’ più cauto ma invece in questa storia vedo una spinta enorme a continuare”.
Fuori Montecitorio un sit-in a favore dell’elezione di Stefano Rodotà ha fatto sentire tutto il proprio dissenso verso gli sporchi giochi di quella politica che per nulla tiene in considerazione le direttive del proprio elettorato. Alle 19:30 Beppe Grillo, che ha parlato di un colpo di Stato che si starebbe consumando a Roma, avrebbe dovuto tenere un discorso in piazza Montecitorio per una grande manifestazione ed in un suo tweet anticipava: “Dobbiamo essere milioni Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese”.
Anche l’ex ministro Paolo Ferrero sceso in piazza ha parlato di “un golpe bianco”, spiegando che qualora i partiti in campagna elettorale avessero chiesto il voto per poi fare un accordo PD-PDL non lo avrebbero di certo ricevuto dagli elettori.
“Sono sempre stato convinto che le decisioni parlamentari possano e debbano essere discusse e criticate anche duramente, ma partendo dal presupposto che si muovono nell’ambito della legalità costituzionale” – con queste parole Stefano Rodotà, dopo le pesanti parole di Beppe Grillo con l’appello di una marcia su Roma, sembra aver preso le distanze dalle iniziative che saranno messe in campo nelle prossime ore dal M5S.
Dopo i primi distinguo, contro le dure parole utilizzate da Grillo, giunti da più parti, sembra che il leader del M5S giungerà nella capitale a notte fonda per cui il suo discorso sarà rinviato a domani.
Totò Castellana