Le consultazioni effettuate nella giornata odierna dal Capo dello Stato, dopo il giro a vuoto di Bersani, non sembrano aver prodotto l’effetto auspicato, ossia una convergenza dei partiti per la formazione di un governo guidato dallo stesso leader della coalizione di centrosinistra.
Silvio Berlusconi e i suoi alleati di coalizione si sono detti favorevoli ad un governo politico e di larghe intese. Relativamente alla partita del Quirinale hanno affermato che non c’è stata da parte del PDL e della Lega nessuna richiesta avanzata a Giorgio Napolitano.
I sondaggi danno attualmente il PDL come primo partito. Se a Silvio Berlusconi non dispiacerebbe affatto tornare al voto, stavolta per di più come candidato premier, la Lega di Maroni non sarebbe affatto entusiasta di rituffarsi in una nuova campagna elettorale alquanto incerta e difficile. L’opzione del voto, inoltre, si renderebbe possibile solo dopo l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Troppo tempo, tempo per un’Italia in crisi che non può permetterselo.
Concorde a un governo di grande coalizione anche Scelta Civica “a patto che non diventi una grande contraddizione – è stato sottolineato dal coordinatore Andrea Oliviero, che ha poi parlato di “avviare delle esplorazioni per verificare le compatibilità programmatiche e le soluzioni per possibili convergenze”.
Rimane invece sulle proprie posizioni il M5S che non intende dare la fiducia a un governo che non sia Cinque Stelle: “voteremo un governo solo formato da noi – dichiarano Vito Crimi e Roberta Lombardi”. I troppi veti e le troppe chiusure manifestate in questi giorni dal M5S, nella formazione di un governo capace di dare nuovo impulso all’Italia, ha portato la banca d’affari americana Goldman Sachs – che pure aveva salutato favorevolmente l’avvento del M5S – tramite Jim O’Neill, presidente della divisione asset management, a considerare quale vero problema dell’Unione europea non Cipro bensì l’Italia con il fattore Grillo.
I troppi no attorno al nome di Pierluigi Bersani hanno portato il centrosinistra a fare un passo indietro rimettendo tutto nelle mani di Napolitano che, a questo punto, potrebbe continuare ad insistere sul nome di Bersani, come vorrebbe Vendola, oppure indicare un’altra personalità capace di raccogliere un consenso più ampio e trasversale tra le varie forze politiche come parrebbe più probabile. Il Partito Democratico tramite Enrico Letta, all’uscita dell’incontro con Napolitano, ha ribadito un secco no al governissimo tra le forze politiche tradizionali, poiché in base all’esito delle recenti votazioni, che di fatto hanno decretato un pareggio a tre, sarebbe impossibile fare le riforme costituzionali che necessitano di una larga maggioranza. “Piena fiducia e supporto nelle decisioni del Presidente” – sono state le parole di Enrico Letta. Si andrebbe quindi verso un governo che possa piacere alle principali forze politiche disposte in questo momento di difficoltà a collaborare: PD, PDL e Scelta Civica.
Oggi il Capo dello Stato dovrebbe sciogliere l’ultimo nodo comunicando le decisioni maturate e le azioni da intraprendere. Tra i nomi del futuro premier a cui Giorgio Napolitano potrebbe affidare l’incarico di formare il nuovo governo grande credito viene dato sia ad Annamaria Cancellieri, il ministro degli Interni uscente, che a Franco Gallo, presidente della Corte costituzionale, entrambe personalità molto apprezzate dalle principali forze politiche chiamate in gioco.
Tuttavia, dietro il silenzio di Napolitano, potrebbero celarsi, come ultima ratio, anche le dimissioni dello stesso per ridare vigore all’azione del nuovo Capo dello Stato che a quel punto, contro i capricci dei partiti, potrebbe far valere la deterrenza dello scioglimento delle Camere e voto anticipato; opzione questa non possibile a Giorgio Napolitano entrato nel semestre bianco.
”Nuove elezioni subito, senza aver prima messo mano a misure urgenti per l’economia e senza una nuova legge elettorale, – spiega Marco Valli, capo economista per l’eurozona di Unicredit – potrebbero portare ancora ad un risultato di ingovernabilità, per lo meno al Senato, e potrebbero creare un aumento delle tensioni sui mercati perché significherebbe lasciare il Paese senza una guida forte”. A chi gli italiani dovrebbero dunque caricare tale colpa?
Tutto è quindi legato alle decisioni che il Presidente della Repubblica prenderà e nell’ipotesi di sue dimissioni, il dialogo/scontro tra le forze parlamentari inevitabilmente si sposterebbe dalla formazione del governo alla scelta del Presidente della Repubblica. Vista l’attuale situazione politica, in mancanza della maggioranza di due terzi dell’assemblea per l’elezione del Capo dello Stato italiano che rappresenta l’unità nazionale, Giorgio Napolitano nonostante più volte abbia manifestato la propria indisponibilità potrebbe trovarsi costretto ad accettare un nuovo settennato.
Totò Castellana