A te politico che la domenica vai in chiesa e trovi immorale uccidere un uomo, mentre ne affami e uccidi quotidianamente centinaia;
a te burocrate che guadagni in un solo anno più di quanto un operaio non guadagni in una vita;
a te Signor Giudice, che mi condanni per non essere povero abbastanza, e a quello che mi condanna perché non sono ricco;
a te sindacalista che hai venduto i lavoratori in cambio di favori e interessi personali;
a te giornalista che hai venduto la tua libertà per un tozzo di pane;
a te, chiunque tu sia, che mi hai rubato il lavoro, la pensione, il diritto alla salute, il futuro dei miei figli, la mia stessa vita.
A tutti voi dico che una cosa non siete riusciti a togliermi, la più importante, quella che voi non avete: la dignità!
Voi, che siete così prudenti nell’adoperare la parola “povertà” nei confronti delle tante famiglie che avete ridotto alla fame;
voi, che siete così prudenti nell’usare il termine “ingiustizia”, dimenticando che a rendere grande Roma furono la libertà che gli antichi romani preferivano alla ricchezza, l’amore per la patria, l’incorruttibilità dei magistrati;
voi che avete dimenticato Marco Porcio Catone, soprannominato il Censore, e voi che di Ippocrate ne avete fatto una lupa della Suburra;
ricordatevi che tutte le forme di potere, per quanto collaudate e stabili possano apparire, nel tempo sono destinate a scomparire.
Siete il simbolo del fallimento delle politiche pubbliche che avete razionalizzato come parte del paesaggio del nostro Paese.
Avete rubato e usurpato nel pubblico e nel privato. Avete legittimato l’illegalità. Avete creato ghetti politici e fisici.
Legiferato consentendo al mafioso e all’intera classe politica di arricchirsi con quello che appartiene al popolo italiano. Legiferato per applicare ai dividendi elettorali della politica e agli affari della stessa i modelli di business delle mafie .
Abbiamo ascoltato i vostri sermoni sulla legalità e l’uguaglianza sociale. Ma non abbiamo visto soluzioni efficaci nè programmi per risolvere i drammi sociali.
Sostenete di aver dato priorità ai “nuovi poveri” d’Italia. Eppure, mentre voi continuate a derubarci, ogni giorno un poveraccio si toglie la vita o muore di stenti.
Nel corso dei decenni vi siete appropriati dello spazio politico, delle risorse pubbliche e private, instaurando di fatto una “dittatura dolce” che ci dà l’impressione d’esser liberi. Il tutto grazie ad una legge elettorale dal nomignolo che vi relega al Sottordine dei Suiformes, alla Famiglia Suidae, al Genere Sus e alla Specie scrofa. Ma che alle menti pensanti di questo Paese ricorda che non basta mettere il rossetto al maiale per travestirlo.
Il risultato è quello che ognuno di voi è responsabile, ma per la legge nessuno è responsabile. Nessuno, tranne il cittadino che paga le vostre colpe.
Lorenzo Guadagnucci pensava forse a tutti voi che ho citato, quando disse: “Ho finalmente capito quanto noi umani siamo simili a loro (riferendosi ai maiali): dev’essere per questo che sono tanto disprezzati dalla cultura specista prevalente. Li sentiamo così vicini, e così netto, accanto a loro, è il rischio di percepire la nostra stessa animalità, che li allontaniamo con lo strumento della denigrazione, dell’umiliazione fisica e simbolica.”
A tutti voi, così simili a “loro”, che credete che “o puorco cu ‘e denare se chiamma “don puorco” (il porco ricco lo si chiama “don porco”). A tutti voi voglio augurare che questo nostro popolo di pecoroni non debba mai ricordarsi di un altro detto napoletano che recita testualmente: “O puorco se ‘ngrassa pe ne fà sacicce” (il maiale s’ingrassa per farne salsicce).
E a te che con la divisa servi uno Stato che ti sacrifica sull’altare degli interessi di pochi, ma che ti fa carnefice di chi come me si ribella, a te chiedo di pensare quando userai il manganello per sedare una protesta contro l’ennesimo scempio, contro la nuova discarica illegale in prossimità dell’abitato, contro chi ha perso il lavoro e chiede pane.
Tu, uomo con la divisa, guardati dentro. Non sei come loro. Sei come il tuo fratello che ti chiedono di massacrare…
Un cittadino italiano
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