Il continuo perpetuarsi di pubblicità, film, fiction, cartoni animati e videogiochi a sfondo violento contribuiscono in larga parte ad un innalzamento della soglia di tolleranza verso la violenza, le prepotenze.
L’esposizione prolungata a rappresentazioni di stile negativo influenza gli spettatori fin dalla prima infanzia. I protagonisti di film e fiction sono per i ragazzi modelli da seguire ed imitare per via del loro successo e dell’ammirazione che suscitano tra i coetanei, e rappresentano un esempio vincente, e per questo così attraente, da seguire indipendentemente dal messaggio che veicolano o dallo stile di vita che rappresentano.
In questo modo, eroi e contro-eroi mediatici agiscono sullo spirito di emulazione, tanto importante in adolescenza, e contribuiscono a formare personalità slegate dalla realtà che vivono e si relazionano come se fossero in un film. Più che puntare il dito contro i media, sarebbe opportuno educare ad una fruizione consapevole, critica ed attenta dei programmi televisivi.
Troppo spesso però i ragazzi vengono lasciati soli di fronte allo schermo, eliminando di fatto la possibilità di un’educazione che passa dall’abitudine ad interpretare i messaggi e non di assumerli senza porsi domande, di discutere con gli altri quello che si vede e, in sostanza di essere vigili ed attenti rispetto a ciò che viene assimilato dai ragazzi.
La televisione, per svolgere correttamente tale funzione, dovrebbe essere utilizzata con metodologie rigorose. Lo strumento televisivo non dovrebbe mai assumere la funzione di cattiva maestra e educare, in tal modo, alla violenza. Il bambino trascorre mediamente davanti al televisore un tempo eccessivo, con conseguenze sicuramente negative; ciò succede, spesso, anche perché, mentre i genitori lavorano, i figli devono confrontarsi e misurarsi da soli con i messaggi televisivi.
Gli effetti di tale prassi hanno un riscontro sul piano fisico (i piccoli hanno bisogno di movimento e di spazio) e sul piano cognitivo (i bambini necessitano di attivare l’intelligenza pre-operativa, mentre la televisione fornisce loro informazioni disorientanti e incerte sul piano emotivo).
I bambini sono, in tal modo, costretti ad accumulare tensioni e frustrazioni che, superando la soglia di sopportazione, si trasformano facilmente, se non sublimate, in forme d’aggressività.
Lo studioso John Condry, a tal proposito, nel saggio Ladra di tempo, serva infedele (1994) ha sostenuto che i messaggi dei programmi televisivi producono una violenza superiore alla realtà quotidiana.
La famiglia, collaborando con la scuola, dovrebbe, perciò, essere chiamata in causa, per attutire l’impatto dei contenuti dei programmi televisivi sull’infanzia. Karl Popper, ha sostenuto, che serve una “patente” per fare tv, per gli operatori della comunicazione, e concessa a coloro che, dopo un rigoroso “corso d’addestramento”, superino un esame, e andrebbe ritirata a chi non si attiene alle regole fissate.
Gli operatori della televisione devono essere consapevoli di essere coinvolti in una forma d’educazione di massa: essi devono agire come educatori, perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambini e ai giovani sia davanti agli adulti.
Dott.ssa pedagogista Graziella Graceffa