L’Alta Corte indiana ha meditato per 11 mesi per pronunciarsi se la Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali od in quelle territoriali dell’India nel momento in cui sono avvenuti gli incidenti del 15 febbraio. Una lunga analisi giuridica durata quasi un anno, interrotta da una serie di festività locali, eventi amministrativi riguardanti Giudici del Collegio o malattie.
Finalmente ha deciso ed ha emesso un verdetto articolato in oltre 100 pagine come riportato da alcuni giornali italiani, esprimendo un parere a dir poco “salomonico”. I fatti sono avvenuti in acque internazionali (20,5 miglia nautiche dalla costa indiana) ma all’interno di quella che tecnicamente viene chiamata zona contigua dove uno Stato Federale, il Kerala, non può esercitare le sue funzioni di polizia e di controllo. I Giudici non hanno però riconosciuto “l’immunità sovrana” dei due nostri militari distaccati sulla nave con funzioni di protezione antipirateria armata, in quanto considerati alla stessa stregua di “contractors”. Una valutazione che sicuramente deriva dalla non esatta connotazione delle regole italiane che stabiliscono l’impiego di militari imbarcati come nuclei di protezione militare (NPM) su navi civili. Un lavoro generalmente svolto da guardie armate private che rispondono alle regole fissate dalle loro società.
I membri di una Forza Armata devono, invece, operare, nel rispetto di una catena di comando militare che dovrebbe potersi coordinare con la struttura civile che riceve il concorso, in base a norme attuative orizzontali. Una non precisa connotazione dei ruoli di cui sicuramente ha approfittato la Corte Suprema ma che a suo tempo ha indotto in errore anche l’Alto rappresentante dell’UE, la baronessa Ashton che chiamò i due Marò proprio contractors. Una serie di circostanze che portano ad affermare che sicuramente l’Italia deve fare ancora molto per eliminare ogni dubbio intorno alla Legge 130 dell’agosto 2011.
Una motivazione quella indiana che, in ogni caso, conferma come sia sibillino il comportamento del Tribunale indiano che in 11 mesi non ha chiesto ogni possibile chiarimento od approfondimento sulla posizione dei due militari ed alla fine ha scelto di applicare il gioco delle “tre carte” per disconoscere ai due marò l’immunità funzionale, condizione che ne avrebbe determinato l’immediata restituzione alla Nazione di appartenenza, unica competente ad esprimere un giudizio.
Un’inaccettabile negazione del Diritto Internazionale consuetudinario che riconosce invece la “immunità funzionale” per gli atti eseguiti per compiti ricevuti dallo Stato di appartenenza (iure imperii) delle funzioni attribuite.
La Suprema Corte ha quindi stabilito di affidare ad un “Tribunale Speciale” che sarà instituito a Nuova Delhi per l’esame dei fatti addebitati ai due Marò ed il successivo pronunciamento giuridico di merito che terrà sicuramente conto del Codice Penale indiano con un conseguente rischio di un verdetto di pena di morte.
I giudici indiani hanno dimostrato scaltrezza giuridica aderendo dopo un lungo braccio di ferro alle richieste di Roma per la concessione di una licenza natalizia, accettando dichiarazioni di Ambasciatori e di Ministri pur accompagnate da una lauta cauzione ma di fatto prive di valenza impegnativa in quanto non avvallate dal Parlamento italiano, comunque certi che l’Italia non avrebbe mancato di riconsegnare i due marò.
Un momento significativo dell’intera vicenda in cui New Delhi ha ritenuto di poter giocare una partita di forza con l’Italia che invece dimostrava debolezza ed incertezza perorando concessioni inusuali come il permesso natalizio per due detenuti in libertà condizionata. Una certezza, quella indiana, forse anche indotta dagli accordi commerciali bilaterali per la fornitura di mezzi militari e sistemi d’arma.
L’India che con un sornione approccio ha preso tempo, si è dimostrata magnanime concedendo quello che l’Italia chiedeva, ha apprezzato con dichiarazioni pubbliche del proprio Ministro degli Esteri il rientro dei militari al termine del permesso, ma non ha rinunciato a ribadire la sua sovranità, anche prevaricando le convenzioni internazionali.
Dopo 11 mesi una conclusione sibillina comunque apprezzata e giudicata dal Governo italiano come un successo, ma che di fatto va ad incidere pesantemente sulla immagine dell’Italia nel mondo, ancora una volta lasciata sola dalla comunità internazionale nonostante che la decisione indiana disconosca la validità di specifiche convenzioni internazionali sottoscritte dagli Stati e promosse dalle Nazioni Unite, come la Convenzione di Montego Bay che regola su scala mondiale l’uso dei mari ed il diritto di navigazione in acque extraterritoriali.
Il processo riprenderà ora da zero, dopo che sarà costituito questo “Nuovo Tribunale” con tempi che sulla base dell’esperienza maturata saranno biblici. I due Marò vivranno a Delhi sottoposti al regime di obbligatorietà periodica della firma, in un contesto sicuramente loro non favorevole considerata l’avversione nei loro confronti dell’opinione pubblica Indiana, anche a rischio della sicurezza personale per possibili atti di “schegge impazzite”. I risultati sempre più probabili che si affacciano all’orizzonte saranno quelli che i due marò potrebbero essere condannati ad una pena esemplare per omicidio non volontario (almeno venti anni) da far scontare in Italia secondo i recenti accordi bilaterali sullo scambio di delinquenti comuni.
Uno scenario non dei migliori che vede protagonista un Paese sicuramente non tollerante e non ad elevata connotazione democratica come dipinto in questi mesi da molti ammiratori occidentali. Piuttosto esasperatamente nazionalista, orgoglioso della sua indipendenza dopo secoli di frustrazione per la dominazione coloniale inglese e, quindi, molto poco propenso al negoziato. Una Nazione Federale in cui il Governo centrale deve gestire delicati equilibri di coesistenza pacifica e manifestazioni di violenta intolleranza con protagonista una società variegata e caratterizzata da macroscopiche diseguaglianze.
Un’Italia che perde in immagine, abbandonata dal contesto internazionale ed in particolare dall’Unione Europea priva di potenzialità e capacità di esercitare le dovute pressioni politiche e sprovvista di un interfaccia adeguata con l’India come potrebbe essere un Dipartimento per l’Unione mai voluto da New Delhi.
Forse sarebbe stata assolutamente necessaria un’immediata denuncia italiana in ambito Assemblea Generale dell’ONU, atto che avrebbe rappresentato per l’India un segnale di determinazione e che forse avrebbe indotto Delhi ad una maggiore apertura nei confronti dell’Italia.
L’Italia ancora una volta è sola. Nessun appoggio internazionale di fronte alla protervia dell’India, completa disattenzione dell’Unione Europea quasi il nostro fosse un Paese Terzo e non Membro dell’Unione. Il nostro Paese continua però a fornire supporto alla Comunità internazionale impegnandosi nella lotta alla pirateria marittima, concorrendo alle missioni militari di pace ed ora anche fornendo supporto alla Francia nelle operazioni militari in Mali. Forse sarebbe opportuno interrogarsi in tal senso.
Fernando Termentini
Un’Italia che perde in immagine, forse anche per accordi commerciali bilaterali per la fornitura di mezzi militari e sistemi d’arma.
Se i nostri soldati dovessero essere condannati alla pena capitale o all’ergastolo, il Governo lo speghi alle loro famiglie.
C.N. OF-2