“L’edilizia siciliana ha già perso più di 2000 posti di lavoro in un anno.
Questo verrà ricordato come un danno minore, perché se non si prenderanno provvedimenti il settore vedrà chiudere molte aziende e molti più edili trovarsi disoccupati. L’amministrazione regionale promette lo sblocco dei pagamenti, che non avverrà nella misura necessaria (e dovuta). Si tenta di scaricare la responsabilità sul patto di stabilità, ma non è così: la colpa è della spesa corrente fuori controllo, cioè nell’incapacità di chi ha governato e si candida a continuare, nell’avere saturato i limiti senza avere compresso la spesa improduttiva e senza avere onorato gli impegni presi”, lo sostiene LeAli alla Sicilia. “Hanno ragione i costruttori, a chiedere fin da ora il commissariamento della regione”.
“Se anche si coprissero i buchi del passato non per questo si colmerebbe il vuoto programmatico del futuro. Il guasto è in chi crede che costruire sia sinonimo di ‘cementificare’, nel senso di sfregiare, e in chi usa i necessari controlli per creare occasioni di rendite corruttive. Per rilanciare l’edilizia, come è non solo necessario, ma utile, occorre cambiare sia la vita dell’amministrazione che l’idea del mercato”.
“Sul primo fronte occorre passare dalla dottrina della richiesta e dell’autorizzazione preventiva alla pratica della responsabilità individuale e imprenditoriale: il soggetto di mercato dichiara quel che intende fare, garantisce della regolarità e procede, senza che si frappongano ostacoli burocratici; l’ufficio pubblico controlla e interviene solo laddove ravvisa difformità da quanto dichiarato e da quanto stabilisce la legge. Nel qual caso scattano penalità severe”.
“Sul secondo fronte occorre puntare, oltre che al soddisfacimento dei nuovi bisogni edilizi, alla valorizzazione del patrimonio esistente. Pensiamo a un meccanismo di questo tipo: a. si costituisce un fondo, con soggetti di mercato e garanzia pubblica; b. i proprietari di immobili di pregio, o rurali, conferiscono il bene, senza perderne la proprietà; c. il fondo lo valorizza e ne dispone per 30 o 50 anni, mettendolo al servizio della produzione o del turismo; d. il fondo è remunerato da questa attività; e. terminato quel periodo l’immobile torna nella disponibilità del proprietario. Con tale sistema si cambia la faccia della Sicilia, migliorandola; si rilancia il turismo, predisponendo accoglienza di primo livello; si incentiva il lavoro edilizio; si punta nella specializzazione al recupero e riqualificazione, che ha un enorme mercato non solo
siciliano, o italiano, ma globale. Il tutto prevedendo l’uso di tecniche, architetture e materiali che rispettino la tradizione e l’immagine locali”.
“In quanto ai lavori pubblici, si ricordi che affidarli per lotti molto grandi a general contractors (che poi riappaltano alle imprese esecutrici locali la quasi totalità) crea una specie di grassazione ingiustificata.
Due soluzioni: o il general contractor non fa il costruttore (sostituisce la pubblica amministrazione, fa gli espropri, progetta, gestisce le gare d’appalto tra le imprese per l’esecuzione dei lavori) ed è retribuito per questo; oppure si torna al sistema classico, con lotti di dimensioni varie, gare europee, pubblica amministrazione che segue la realizzazione”.
“Queste sono idee, non inutili promesse elettorali. Spetta ai siciliani, ma in particolare agli imprenditori, stabilire se puntare sulle idee o sulle amicizie. Avvertiamo che le seconde li porteranno alla rovina. Se non ci sono già arrivati”.