Io credo che ci siano amori che vanno vissuti in maniera animale, non si può lasciare incustodito qualcosa a cui vuoi permutare un pezzo di te. Questo biglietto è uno spartiacque che posso mettere. O non posso.
Non posso perchè quando ami vuoi che i tuoi sensi coincidano con la pelle di chi non staccheresti mai da te, nemmeno in una giornata calda, di vestiti appiccicati.
Come hai fatto non lo so, so che non credevo che ti saresti mai identificata nella sensazione che tutti giudicano sgradevole e io invece amo.
La sensazione di caldo che ti sfibra, che ti penetra, nemmeno fosse una violenza, nemmeno fosse abituato a molestarti.
Come si può amare qualcosa che ti entra dentro nonostante tu non voglia? Quasi lui fosse convinto di averti, prima ancora che tu lo sappia.
Ti ho vista non vedendoti, una legge arcana che non conosco nelle sue dinamiche mi ha posseduto, nessun esorcista avrebbe potuto trarmi a salvamento. Mi sono trovato cieco. Io non ti vedo, ma ti sento. Sentendoti, intuendoti, posso provare ad agguantarti, ma le ombre sono proiezioni di un momento in cui il corpo è già passato.
Le scale, è lì che mi è sembrato di vederti, invece ho intuito la tua grazia da un pezzo di stoffa del tuo vestito. Mi ha dato grazia, armonia dei movimenti. Ho avuto l’impressione che il vento si piegasse ai tuoi voleri. Ma che non fosse una costrizione.
Stavi salendo, io uscivo dalla mia casa. Da spazi improvvisamente troppo grandi perchè le vite in comune hanno avuto una spezzata di ossa. Quello che ti sembrava confine diventa un limite scorsoio. Una impiccagione quotidiana da cui devi fuggire. Una domanda di grazia rinviata.
Tu salivi le scale. Lasciandomi in eredità un olfatto di buono, che spargeva fotografie di immaginazione.
– è la signora del piano di sopra, appena arrivata –
La portiera mi informa subito, forse intuendo che la sete che sembro avere non è dettata dall’ondata di caldo che ad agosto avvolge la città e banalizza tutti verso il mare.
– bene, ha già in mente la data?-
– di cosa scusi?-
-quella in cui la pianterà di farsi gli affari degli altri, o in alternativa riuscire a far sposare qualcuno in questo palazzo, o a farlo divorziare, visto che informa anche dei movimenti clandestini le mogli-
Decide di sorridermi, nel dubbio molto forte che io non stia davvero scherzando.
Sono uscito con quel malumore tipico di chi sente che qualcosa sta stuprando le sue abitudini. Col timore che il mio volto segua delle luci di cui non si era accorto prima.
Quando sono rientrato, qualcosa mi ha spinto ad alzare la testa verso il tuo balcone, c’era qualcosa di dolcemente indecente in quello che ho sentito.
Avevi appena fatto respirare una casa serrata dall’abbandono, appena aperto le finestre. Ricordo che prima di decidere di comprare la casa sotto volevo quella dove stavi. La sentivo più mia. Ogni mattina prima di rimanere solo, guardavo verso quella casa in coma da relitto. Tu rientravi, di nuovo l’olfatto a tradirmi.
Ma stavolta quella gamba l’ho vista bene, pelle che sembrava talmente perfetta che accarezzarla era già un reato, in più ho visto qualcosa che dovrebbe stridere con la poesia, la curva del tuo sedere, mentre rientravi. Da sotto il vestito, come un qualsiasi scolaro, un ragazzino che sente le prime pulsioni, ho provato pura attrazione per te. Di quelle che spingono a manipolare il piacere dell’immagine. Quello che non ho mai sentito scorrere come un fiume. Ma come tanti rivoli da contenere.
E non mi sono vergognato.
Avrei voluto bussarti, ma percepivo che avrei bruciato qualcosa di non creato. Avrei dato fuoco a una pila di fogli che ancora non contenevano un romanzo.
Giorni dopo mi sono sorpreso a guardare dallo spioncino nella speranza di vederti passare. O almeno di captare la tua immagine olfattiva. Non riuscivo a vederti. Ho visto di sfuggita i tuoi capelli, ho visto il tuo orecchio mentre ti ravviavi una ciocca.
Pezzi di te.
Ho sentito dolore alle braccia. Non so come dirlo, come se di colpo il loro scopo fosse quello di contenere te. Ma tu non c’eri. Non avevi ragione di esistere, non eri nemmeno qualcosa di definito.
I giorni sono passati, tra una solitudine che mi è stata imposta da altri, il lavoro di scrivere che per fortuna l’ha colmata.
Ti ho creata in tante piccole tessere di vari racconti che mi avevano commissionato, immaginandoti.
Ma se metto insieme i personaggi che ho avuto da te, dal tuo profumo e dal non captarti mai per intero, viene fuori una danza. Un teorema degli opposti, a volte eri puttana col tuo uomo fino al punto da amare lui e solo lui, fedele a chi non ti ama, dolce con chi ti vuole esporre, assassina con chi non ha capito cosa vuol dire maneggiare le punte del tuo muscolo cardiaco.
Non so perchè era proprio non conoscere il tuo viso che mi faceva captare la sua malinconia. Come un tesoro sommerso, ne sai l’esistenza, ne conosci la mappa, le coordinate e sai dov’è. Ma non sai raggiungerlo.
Ho anche chiesto alla portinaia com’eri.
Non ha detto nulla, ma ha fatto un gesto che poteva significare “paragonabile a una Dea”.
Sorridendo, il sorriso del “tu non l’avrai mai”.
Quel mese appiccicoso che mi porterò come testimone della tua sensualità è passato. La città si immerge in apnee di temporali e freddo inusuale.
Talmente inusuale che porta fulmini, tuoni, lampi.
Ti vedo passare, vivo come una maledizione con cui faccio i conti non poter vedere il tuo viso.
Ma sei come in evoluzione, i tuoi passi sulla mia testa ho imparato a contarli. So quando cucini, quando ti fermi a pensare, quando indulgi al piacere da sola o in compagnia. Il tutto senza nemmeno spiarti. Semplicemente mi sento un cieco che ha una presenza per casa, un cieco cui manca un pezzo di cuore, o di altri muscoli involontari, che si trovano qualche gradino più sopra.
Il tutto fino a quella sera. La luce andò via all’improvviso, sentivo i tuoi passi da rientro e messa in libertà. Strozzati di colpo. Come ti fossi fermata.
Sentivo che tornavi indietro, io sono andato alla porta, ma non mi sono fermato allo spioncino, ho aperto.
Ho sentito, ma non visto, solo sentito il tuo odore, la controluce della penombra rischiarava i tuoi capelli, eri a metà sulle scale.
Guardavi me.
Io ho colmato la distanza, solo per chiederti come stavi.
La tua voce era un eco sottovoce, come se me l’avessi sparata in endovena.
– perchè non sei mai uscito?-
-mi sembrava di invaderti-
-lo hai fatto ugualmente, sentivo a volte il tuo respirarmi, mettevo anche la mano sul pavimento-
-forse erano quelli i momenti in cui non mi sentivo solo-
-io parto avvantaggiata, so come sei, so che fai, sento la tua tristezza e la tua rabbia, tu non sai come sono fatta-
-lo so, ma sento il tuo profumo e sento il tuo fremito-
Mi hai preso la mano, l’hai portata in quel punto sensuale che avevo visto dalla finestra, io l’ho ritratta
-prima voglio baciarti-
-perchè?-
-perchè nulla passa dal cuore più del sapore, più dell’odore, voglio avere te col tuo profumo prima che col tuo corpo-
-potrei essere una puttana-
-potresti, ma qualcosa in noi nasce per cambiare-
-allora potrei essere una brava donna e cambiare in puttana-
– io ti chiedo solo se hai voglia di fare l’amore con me come non l’hai mai fatto-
-sai quanti uomini lo hanno promesso?-
-no, io adesso voglio solo che entri con me voglio vederti, per vedere se era vero-
– cosa?-
-quello che sei stata in tutti questi mesi, io non posso tornare indietro-
-da cosa?-
– io ho scritto di te, ho scritto di come sei, come dovresti essere.-
-lo sai che se quello che leggerò corrisponderà a me mi avrai raccontata dentro come nessuno?-
-si, lo so-
-potrei non piacerti, la luce arriverà e potrei essere brutta-
-adesso, ho capito chi sei-
-chi sono?-
-sei quello che non ho mai vissuto, di cui ho solo scritto, ora basta-
-hai ragione, ora basta, vieni a casa, la casa che ami, lo so, con che occhi la guardi, ti ho visto, adesso non vedi, forse non vedevi nemmeno prima, ma stavolta ci sono io, la luce non può farci male. Siamo solo due ciechi che si guidano con il profumo della pelle, con le loro labbra. Non ci sono mappe migliori per uscire dalla solitudine-