Tra due fiumi-ticket to heaven dedicato a un casellante di Pegognaga, alla sua storia detta il tempo di pagare, un giorno di fine anno e a due persone che hanno un amore “che si dà di gomito”…
Incastrato tra due fiumi.
Bonacina Sebastiano, di fianco il Po, davanti le macchine che lo vedono solo perchè devono pagare il biglietto del casello. Il fiume liquido contro quello umano. I fiumi che odia. Maledice il sangue del nonno, siciliano trapiantato al nord. Un trapianto con molti rigetti e una terra che non ha mai digerito. Le maledice le parole del nonno. – l’unica forma d’acqua che mi calma si muove più di tutte, il mare-Maledette parole, chiodi verbali di croci dialettiche. Quando suo nonno se ne andò per sempre lui era già grande, gli parve di cogliere nell’espressione del viso non il comune “sembra che dorma”, lui ci leggeva, sollievo, allegria di essersi tolto dalle scatole la brina mattutina. Il freddo sottozero. Le ossa che si sghiacciavano ogni volta che metteva piede in Sicilia. Il sollievo, lo avrebbe capito dopo era scritto nel testamento. Il sangue è noto si possa donare, il nonno fece peggio. Glielo lasciò in testamento. C’era scritto proprio così.“A mio nipote Sebastiano, lascio il mio sangue, che venga messo a ribollire nel suo e gli ricordi che un fiume va solo in una direzione, ma il mare va dappertutto, come la felicità e l’inquietudine . ”Inquietudine, parola che pesa, troppo simile ad incudine. Lui ne ha tanta di incudine. Specie a guardare chi va via verso il serpente autostradale, suv, utilitarie, macchine non finite di pagare, giovani prossimi all’impastamento sul guard-rail, camionisti stanchi che rischiano di andargli appresso. Una volta ha provato a fermarne uno di camionista.-sei stanco, perchè non accosti e ti riposi?- -e tu perchè non ti fai i cazzi tuoi?-Aveva smesso di cercare di fermare l’annullamento dell’individuo varcata quella sbarra. Sebastiano aveva scelto, non scegliendo. Militante in un posto da cui se ne sarebbe andato, latitante di tutti i suoi desideri, ricercato speciale dai sorrisi che non mostrava mai. E poi quella parola che lo aveva fatto restare in quel posto di merda. Amore. La parola trasfigurante, l’allucinogeno sciolto nei baci e nella pelle della persona amata. Il crack che ti rende qualsiasi posto bello. Lui c’era cascato. Vent’anni prima, quando ancora non era nulla, non uomo, non più ragazzo. Lui cercava lavoro, lei trovò l’uomo della sua vita. E quando le femmine s’intignano, diceva il nonno, il tuo no conta meno di una cagata di mosca. Lui voleva andar via dalla microrealtà industriale di quella pianura assassina di visuali e distributrice di nebbia. Lei ci stava divinamente. Si incontrarono un giorno di luglio, che non c’era caldo, che il sole intiepidiva lo scazzo perenne di Sebastiano. Che lei era bellissima con un vestito a fiori che le disegnava le misure da donna che non sa quanto può far male, lui era al bar a leggere annunci di lavoro, lei da lavorare come commessa, tornava a casa. Le andava davvero quel bicchiere d’acqua? Erano giorni che la notava avvicinarsi e ignorarlo. Nel vocabolario di Sebastiano significava proprio “si avvicina e mi ignora”, nell’idioma di Silvia, era “mi piaci pezzo di cretino”-Bicchiere d’acqua con cubetti di ghiaccio, sguardo assassino di chi ha deciso che sei l’uomo della sua vita, e quando le donne s’intignano..si vabbè nonno lo so, ti sei rincoglionito, piantala di ripetermi le stesse cose anche da morto. Acqua ghiaccio, ghiaccio rotto da lei. Conversazione banale, chi lo ha detto che ci si innamora come nei film, acqua finita, ghiaccio rotto, acqua di fiume, passeggiata a riva, fiume, acqua, niente frasi da film, il film però lo si vede, al cinema all’aperto che non esiste più trent’anni dopo, bacio, bacia bene lui, impacciata lei, primo uomo vero, unico della sua vita, vita che nasce, due anni dopo, lei incinta, sposiamoci, lavoro, posto libero come casellante. Fine dell’esitenza, inizio della vita di tutti i giorni. Acqua, fiume d’auto. Ai lati. Sebastiano è di botto padre, marito e casellante. Bon, chiuso tutto, basta sogni di acqua salata si resta qui. Che poi forse Sebastiano si abitua. Forse, se nel frattempo, di fronte a lui non costruissero un ospedale. Un centro oncologico all’avanguardia in tutta Europa. Sebastiano aggiunge un altro tassello. L’amore per quella donna lo blocca, l’amore per quel figlio, che cresce non dando pensieri e studia e lavora, non lo fa essere cattivo. Non lo fa incancrenire sul rimuginare tra quello che vorrebbe lui e quello che non c’è. Quello che si portano via tutti quelli che attraversano la sua sbarra anno dopo anno. Per andar via. Che lui guarda in lontananza prendere il biglietto Ma negli ultimi anni, da quando c’è quell’ospedale, Sebastiano ha rimischiato le carte dell’insoddisfazione. Perchè adesso non guarda più solo chi va via. Ma anche chi arriva. Per andare in quell’ospedale e farsi curare. E lui sente qualcosa nel vedere questa processione, pagano per un lasciapassare, una sbarra che si apre, andando verso qualcosa che rischia di chiudersi per sempre. Sebastiano prova qualcosa alla bocca dello stomaco. – sono i peperoni, sicuramente- sentenzia.Ma poi il giorno dopo aveva mangiato leggero, non erano i peperoni. Lo capisce settimane dopo. La sua scarsa memoria fotografica, le sue fughe mentali sempre più pressanti, quella volta si fermano. E se lo ricorda bene. Perchè nel frattempo quel cantante che detesta, canta una canzone che detesta dalla vecchia radio che detesta.Quei due coniugi. Passano e pagano, lei dolce guarda lui. Che ricambia come se da un momento all’altro gli stessero strappando un arto a mani nude e senza anestesia. Vanno verso l’ospedale, entrano. Qualche settimana dopo quella canzone che detesta del cantante eccetera, loro escono. Lui si fionda fuori dalla cabina. Ferma la macchina a mani nude. Terrorizzando marito e moglie che si fermano per evitare il peggio.
– come sta?- -ma chi?-
-come chi?, lei!–lei..io?- dice il marito
.-lei..si-
– perchè me lo chiede?-
– ho visto che siete entrati in quell’ospedale, io so cosa vanno a fare le persone in quell’ospedale-
– e perchè si preoccupa per noi?-Non sa rispondere Sebastiano.
-saranno i peperoni- gli viene da dire. – non lo so- li guarda, vorrebbe dire molto di più. E marito e moglie lo capiscono che vuole dire molto di più.
– E’ mia moglie che sta male, non io-
Ora si dipana tutto, lei nella sua serenità struggente ha accettato il male come si accetta un gatto invadente. Inutile cacciarlo fuori se poi rientra. Il marito quel gatto lo caccerebbe a calci, perchè è uno di quei gatti che ruba salute e amore, ne ruba a lui. Sebastiano incrocia lo sguardo della coppia, saluta dolcemente e torna al lavoro. Mentre non si accorge dal suo lato della strada, si sta eseguendo la filarmonica di clacson. Li rivede qualche giorno dopo, stavolta non c’è nemmeno bisogno di parlare.Insieme ai soldi per pagare il pedaggio il marito tira fuori un pacchetto, lo porge a Sebastiano, che ha un punto interrogativo tatuato sugli occhi.
– sono dei biscotti, li ha fatti mia moglie per lei, io mi chiamo Corrado, mia moglie Viviana-
-io..io sono Sebastiano, fermatevi un attimo devo parlarvi, Luigi! Sostituiscimi tu una mezz’ora!!- urla verso un punto in cui presumibilmente c’è un collega.
Sebastiano ascolta più che parlare, si fa raccontare la loro storia, intrisa di tumori e piaghe, disinfettate con amore che non ha mai ceduto un passo. Si sono voluti da ragazzi, quel desiderio non ha mai esclamato basta!- Corrado e Viviana, insieme contro un amante violento e che chiede tributi. Il tumore. Un tumore che non ha accettato un “no”. Un viaggio di speranza e di operazioni che questo nuovo ospedale dovrebbe donare in abbondanza. Viviana lo abbraccia. Lui è disorientato.
-grazie, quel giorno ci hai distolti da troppa concentrazione sul dolore. Chissà che non serva-
I mesi di Sebastiano sono scanditi dal vederli arrivare e partire, colazioni e cene farciti da preoccupazioni di un casellante con una espressione triste e una convinzione. Che quell’espressione sia sempre e solo colpa dei peperoni. Deve essere così. Non sarà mica che si preoccupa per quella donna? Ogni volta che Corrado e Viviana arrivano lui esce a salutarli, chiede, s’informa. Il male sembra sotto controllo. Ma a volte subentra la stanchezza. Un giorno a fine turno Sebastiano vede Corrado seduto sui gradini dell’ospedale. Stavolta il ciclo di chemio non dà del tutto i risultati sperati. Viviana è dentro, un po’ stanca, sta riposando e vuole stare sola. Gli si siede accanto, in teoria dovrebbe consolarlo.
– hai figli Sebastiano?-
-uno, si–ami tua moglie?-
-tanto da non essermene mai andato da questo posto-
-allora il tuo è amore sacificale, il peggiore–perchè il peggiore?-
-perchè a te manca qualcosa, ma non molli la presa su quello che hai, non è una vigliaccata sai?-
-ah no?-
-no, ti fa onore, sei qui perchè hai una forte moralità, ami tua moglie, ami tuo figlio, bon, il resto attenda in linea, certo dà inquietudine, ma forse è meglio star svegli e non dormire che essere morti in vita-
-e tu come ami, Corrado?-
-io? Io amo di quegli amori che danno di gomito al complice, che basta un’impercettibile sguardo multiuso, prezioso se stai giocando a scopone e hai tua moglie per compagna, o se una nave affonda e tu devi tenere stretta a te la sua vita-
– un amore che dà di gomito è bello-
-bello si, dovresti provarlo-
Corrado e Viviana e il loro casellante non si sono mai detti addio, solo arrivederci. Ma non per cattiveria. Viviana torna spesso a rinfrescare la memoria al suo ospite interno. Ogni tanto si adopera a fargli un po’ il culo che poi lui sta tranquillo. Si salutano, prendono un caffè, a volte un tramezzino. Senza accorgersi che l’equilibrismo di quel rapporto è tenuto insieme dalla salute di Viviana e dal mestiere di Sebastiano. Poi un giorno non vengono più. E Sebastiano fa come nei film in cui c’è un lieto fine ma non si capisce bene, quelli che lasciano incompiuto qualcosa perchè vogliono liberare l’immaginazione. Il giorno dopo davanti a una cioccolata magari chiedi all’amico: -di’ un po’ ma tu hai visto il film ieri, hai mica capito come cazzo finisce?-
-finisce bene, stop, non vengono più perchè il tumore è al tappeto-
Il lieto fine, basta, perchè Sebastiano esige di tornare alle sue inquietudini di sempre, quelle che somigliano a incudini piazzate tra due fiumi. Ecco perchè la moglie che un giorno si sente poco bene chiama il figlio, invece che lui. Ecco perchè la moglie, che sa quanto Sebastiano senta l’incombenza del mostro bianco fattosi ospedale appena al di là del casello, le prime visite di accertamento le fa senza di lui. Tanto lei da quel casello non deve passarci, abitando dentro al paese. L’amore che si da’ di gomito può salvarsi, quello sacrificale forse ha bisogno di une revisione, di un tagliando. Sebastiano si alza prima adesso. Stare da solo lo mette in bilico. Deve essere questo si. Non è come dice la dottoressa, li’, la psicologa. Il figlio ce lo ha portato, per “elaborare il lutto”. Fai studiare i figli, così poi non capisci un cazzo di quello che dicono.Ma che deve elaborare? Lei c’era, ora non c’è più. Che c’è da elaborare? Però si sente in bilico. E la dottoressa gli dice che è che lui ha attacchi di panico perchè non ha ancora accettato il dolore, che questi vengono di notte perchè si abbassano le difese. Sebastiano è convinto che quella vertigine venga perchè se ti sei appoggiato a qualcuno che non ti fornisce più la spalla, cadi, sei in equilibrio precario, una questione di fisica. Non di anima. Adesso quei fiumi l’hanno proprio fregato. Da quel casello non riesce più a muoversi. La moglie lo ha incastrato amorevolmente nel luogo di passaggio. Lo guarda quel fiume, luogo del primo, ma anche dell’ultimo bacio datogli da Silvia quando ancora era in salute. Che lui l’aveva presa pure per il culo.
– a quest’età fai di nuovo la fidanzatina?-
Che ne sapeva che lei stava preparando le valigie? Che voleva rinfrescarsi la memoria, visto che si era scelto un bel tumore muscoloso come nuovo compagno e si preparava a fuggire via con lui? Fiori freschi, tutti i giorni, per qualche minuto in quel cimitero lo squilibrio, il bilico o panico o come cazzo si chiama resta fuori ad attendere. Tanto poi si va insieme al lavoro e a casa a vedere la partita. Un giorno arriva una macchina. Dentro c’è un ragazzo, insomma un papà giovane, visto che in questo paese a quaranta anni sei giovane per qualsiasi tipo di lavoro e di ruolo. Attendi il turno. Il figlio gioca dietro, con la moglie. Uno più bello dell’altro. Il ragazzo si ferma, scende, ora morta. Nessuno dietro.
– sei Sebastiano?-
-si, perchè?-
– sono il figlio di Viviana-Vorrebbe abbracciarlo, se si ricordasse come si fa ad abbracciare un figlio, un altro uomo, senza, insomma e che cavolo…
-sto andando da mia mamma, io lavoro all’estero, volevo venire prima, ma mi hanno sempre nascosto tutto, mi hanno messo davanti al fatto compiuto-
-e qual’è il fatto compiuto?- chiede Sebastiano
-mia madre sta bene, ci aspetta, le porto il nipotino-
Sebastiano incrocia lo sguardo del bimbo dentro la macchina, può il sole con tutto il suo splendore accomodarsi su un seggiolino per bambini? Si può, ne è convinto.
– ho voluto fermarmi e uscire a questo casello, per salutarti, mia madre e mio padre mi hanno parlato di te, volevo vederti, vedere che faccia aveva qualcuno appartenuto a un pezzo di vita da cui mi hanno tenuto fuori per amore-
-eccomi…- Sebastiano non dice altro però sente qualcosa salire, adesso appena arriva a tiro di cuore forse può classificarla, sorriso, gioia, parte di qualcuno, dell’esistenza di qualcuno.Lo abbraccia, piange, l’altro ricambia e lo stringe. Adesso bisogna rientrare, in tutti i sensi, non trascinare i sentimenti per più metri di quelli che possono permettersi.
– devo pagare l’autostrada-
-no, hai già pagato, avete già pagato abbastanza, per sempre, tu tua mamma, io, tutti. Ora basta, vai, non c’è nulla da pagare, offro io-
Proteste timide e commosse in sottofondo, Sebastiano rientra, alza la sbarra, lascia passare, il sole sul seggiolino si volta e sorride. Fanno male i pugni allo stomaco della bellezza innocente. Specie se li guardi all’improvviso. È che il mondo ti porta via qualcosa, ma è tondo, prima o poi quel qualcosa ritorna, forse. Forse no. Prima o poi capisci che la vita ha la forma d’acqua che tu vuoi dargli, scegli di essere fiume, per andare avanti solo in una direzione, mare per lambire e fuggire mai sazio, lago per essere fintamente calmo e abitudinario. Forse il sangue del nonno trapiantato per testamento in sebastiano crea forme ibride, fiumi controcorrente, da cui non sai andare via, nè opporti. La macchina della famigliola va via, alla radio, quella canzone che detesta, di quel cantante che detesta. Ma ormai Sebastiano lo sa, di detestare tutto quello che dentro gli appartiene davvero.
Un conto è volere, vedere le stelle
un conto è farsi guidare.
Un conto è saperle là in alto e lasciarle un po’ fare.
Un conto è la rabbia che provi a vent’anni
un conto è la rabbia a quaranta.
Un conto che intanto non sembra cambiare mai niente.
Sai che, Ora e allora e ancora così,
a rubare l’amore che si fa rubare.
Un conto è la mappa, di tutti i locali
un conto è dovere star fuori.
Un conto è sentire, che riesci a lasciarti dormire.
Un conto è svegliarti e sentirti già stanco
un conto è trovarla di fianco.
Un conto è sentire che il fuoco non è ancora spento.
Tanto, Ora e allora e ancora così
a rubare l’amore che si fa rubare…
Ora e allora e quando sarà
su una fune sottile
con il proprio stile.
Un conto è la vita che imposta il suo gioco
un conto è averlo capito.
Un conto è ripeterti spesso che sei fortunato