Tra questi argomenti abbiamo deciso di affrontare “l’affido condiviso nelle separazioni dei coniugi” poiché riteniamo che sia di rilevante impatto sociale dovuto all’aumentare delle separazioni che spesso trascendono in conflitti aventi ad oggetto l’affidamento dei figli.
Nella nostra società le percentuali di coppie separate, soprattutto nei primi 10 anni di matrimonio, è in notevole aumento e spesso le motivazioni sono dovute ad aspetti psicologici, caratteriali e psicosessuali nella dimensione disarmonica e squisitamente negativa, dove, nel contesto della convivenza coniugale, prima o poi comportano tensioni intramatrimoniali che, con il passare del tempo, sfociano in una difficoltà della convivenza fino alla separazione di fatto che si conclude, sul piano giuridico, nella separazione consensuale o giudiziale e, nei casi di persistenza, al divorzio.
Le tensioni intramatrimoniali rappresentano problematiche di ordine psicologico che influenzano il rapporto tra i coniugi, sfociando, nel momento in cui viene a mancare l’elemento “amore”, in degenerazione della convivenza coniugale. Tali tensioni possono essere causate da due ordini di fattori: fattori coscienti (che hanno origine da situazioni soggettive interne) e fattori incoscienti (come, per esempio, una personalità particolarmente aggressiva).
I motivi che, dal punto di vista psicologico, provocano tensioni intramatrimoniali sono numerosi ed in essi assumono primaria importanza i motivi legati alla sfera psicosessuale, derivanti, nella maggior parte dei casi, da una deformazione dell’intimità coniugale e da un arresto della maturazione personologica da parte di uno o, addirittura, di entrambi i coniugi.
Oltre alle problematiche psicosessuali, ricoprono primaria importanza anche quelle legate agli aspetti caratteriali dei coniugi e quelle derivanti da una totale assenza di comunicatività tra essi.
Tutte queste situazioni possono portare ad una carente tolleranza nella convivenza coniugale e, quindi, alla necessità di separarsi, poiché contrasti prolungati e ripetuti nel tempo, portano a crisi irreversibili nel contesto del matrimonio.
Il nostro ordinamento giuridico prevede due forme di separazione: la separazione consensuale e quella giudiziale, alle quali si aggiunge la separazione di fatto.
Nella separazione consensuale importanza fondamentale assumono l’accordo coniugale e la sua omologazione, accompagnati da una intensa attività procedurale sia delle parti che del Giudice.
Nella separazione giudiziale, ruolo fondamentale riveste la evidenziazione della giusta causa di separazione al fine, anche, di comprendere i motivi della intollerabilità della convivenza ed il danno all’educazione della prole, indicati come presupposti dall’articolo 151 del codice civile.
La decisione del Giudice, sulla separazione dei coniugi, tiene conto di una serie di circostanze quali la colpa, l’addebitabilità causale della separazione ed il grado di capacità di intendere e di volere dei coniugi.
L’epilogo finale della separazione è, in alcuni casi, la ricongiunzione dei coniugi e, in altri casi statisticamente più frequenti, la ricerca del divorzio, istituto introdotto in Italia dalla legge n. 898/70 e modificato dalla legge 74/87.
Il codice civile del 1942 ed il codice di procedura civile prevedono due forme di separazione personale dei coniugi: quella giudiziale e quella consensuale.
La conseguenza della riforma del diritto di famiglia, attuata con la legge 151/1975, si è innovata profondamente su quest’argomento, in riferimento soprattutto ai presupposti della separazione giudiziale, nonché per il contenuto dei provvedimenti relativi ai figli ed ai rapporti patrimoniali tra i coniugi.
La separazione consensuale è quella forma di separazione derivante da un sostanziale accordo tra i coniugi, accordo spesso auspicabile soprattutto nell’esclusivo interesse dei figli e che se raggiunto viene perfezionato dai rispettivi legali, sia per ciò che concerne gli aspetti relativi alla regolamentazione dei rapporti con i figli, quando vi sono, sia per ciò che concerne gli aspetti economici e patrimoniali.
Indubbiamente la separazione consensuale è la forma preferibile, poiché l’intenzione di far cessare la convivenza è frutto di un accordo tra i coniugi, che deve, naturalmente, essere omologato dal Tribunale competente per poter determinare lo stato giudico di separati e quindi produrre i suoi effetti.
Dicevamo che la separazione consensuale è la forma preferibile poiché in essa l’accordo è il momento fondamentale della formazione del negozio giuridico ed essendo fondata su di esso è auspicabile nell’interesse soprattutto dei figli.
Infatti, come già accennato, spesso le separazione hanno due punti cruciali di discussione, l’affidamento dei figli e le questioni economiche e patrimoniali.
Il compito morale ed etico di noi avvocati dovrebbe essere quello di favorire quanto più possibile l’accordo delle parti sulla separazione soprattutto nell’interesse dei figli che sono quelli, che più di tutti, pagano il conto in termini di trauma psicologico derivante da una situazione conflittuale tra i propri genitori.
Quando questo accordo non è possibile si fa ricorso alla separazione giudiziale che dà luogo, spesso ad un vero e proprio calvario, specie per i figli, poiché si assiste in taluni casi a vere e proprie battaglie giudiziarie che spesso non vedono alcun vincitore ma soprattutto perdenti quantomeno in termini psicologici e morali.
E’ una causa vera e propria istauratasi con ricorso, che vede una fase istruttoria quindi con la possibilità di articolare mezzi istruttori tra i quali anche testimoni e che si conclude con una sentenza che dispone l’autorizzazione a vivere separati, l’affidamento dei figli, gli aspetti economici e patrimoniali.
Nella separazione consensuale le parti, spesso in maniera civile e soprattutto responsabile stabiliscono, e stabilivano anche prima del 2006, anno in cui è intervenuta la riforma sull’affidamento condiviso, di cui parleremo tra poco, che i figli minori venissero affidati ad entrambi i genitori con residenza presso l’abitazione della madre ed il diritto del padre di prelevarli e di tenerli con se compatibilmente con gli impegni scolastici. Poi l’accordo stabilisce anche l’aspetto economico prevedendo un assegno di mantenimento proporzionale al reddito e al numero di figli minori.
Nella separazione giudiziale invece, in cui spesso vi è un clima di forte conflitto, talvolta i figli, in maniera incivile e disumana, vengono utilizzati come arma di ricatto o di vendetta da entrambi i coniugi. Spesso si minaccia il divieto di visita dei figli in cambio di una pretesa di tipo economico o più semplicemente per spirito di vendetta nei confronti dell’altro coniuge non rendendosi conto che in tal modo si devasta la crescita psicologica dei figli che sono le uniche vere vittime della guerra tra i coniugi.
Non vorrei apparire eccessivamente maschilista però statisticamente ciò avveniva e talvolta avviene con particolare riguardo alla moglie la quale spesso, sbagliando, cerca di utilizzare i figli contro il marito non rendendosi conto però che è anche il loro padre e quindi una figura fondamentale per una sana crescita.
Ciò avveniva soprattutto in passato quando la legge ma specie l’orientamento dei Tribunale era quello di affidare in via esclusiva i figli alla madre con diritto di visita del padre ed un diritto di visita che era particolarmente riduttivo dello stesso ruolo di padre.
Infatti, normalmente tale diritto era riconosciuto per due giorni alla settimana, ad orario stabilito, un fine settimana alternato, un mese per le vacanze estive ed una festa tra natale e capodanno in modo alternato. Il ruolo del padre si riduceva a questo e ritengo personalmente che era una disciplina eccessivamente riduttiva del ruolo di genitore e fortemente lesiva dei figli che hanno il diritto di poter vivere e conoscere entrambi i genitori.
Nel 2006 è intervenuta la legge nr. 54 portante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli.
In particolare l’art. 1 di tale legge, che ha poi modificato l’articolo 155 del codice civile, ha stabilito che anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare tale finalità la legge affida al Giudice che dovrà pronunciarsi sulla separazione dei coniugi, un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento. La legge affida al Giudice il compito di valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli siano affidati determinando i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore.
Siamo passati sostanzialmente da un sistema che preferiva l’affidamento ad uno solo dei genitori, di regola la madre, ad un sistema che affida il compito al Giudice di verificare, in via prioritaria, la sussistenza dei presupposti per l’affidamento condiviso nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, continua l’articolo 155 riformato, e le decisioni di maggior interesse per i figli relativamente alla istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli e solo in caso di disaccordo la decisione è rimessa al Giudice.
L’art. 155 bis introdotto dalla novella del 2006 prevede però che il Giudice può anche stabilire che la potestà genitoriale sul figlio minore sia affidata ad uno solo di essi quando ritenga, con provvedimento motivato che può essere oggetto di impugnativa, che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Lo stesso articolo poi prevede che i genitori possono in ogni tempo chiedere al Giudice la modifica delle disposizioni riguardanti l’affidamento dei figli.
In particolare l’art. 710 del codice di procedura civile prevede un apposito procedimento tendente a richiedere la modifica delle condizioni di separazione e, quindi, anche delle disposizioni riguardanti i minori ed il loro affidamento.
Lo stesso articolo 1 della legge 54/2006 ha introdotto il nuovo artico 155 sexies il quale ha previsto che il Giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, può rinviare la emissione dei provvedimenti per consentire che i coniugi, avvalendosi dell’aiuto di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo con riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.
Sostanzialmente il legislatore ha affidato al Giudice il compito di perseguire tutte le strade possibili affinché i figli minori, malgrado la separazione dei loro genitori, continuino ad avere un rapporto stabile, equilibrato e continuativo con entrambi i genitori per una sana crescita che riduca quanto più possibile gli effetti negativi di una separazione.
In verità il legislatore ha cercato di responsabilizzare il ruolo di genitori nella speranza che essi riescano a raggiungere un altruistico accordo nell’esclusivo interesse dei figli. Purtroppo sappiamo che spesso non è così e la intelligenza dei coniugi, che devono essere prima di tutto genitori, dovrebbe essere quella di discernere il rapporto tra genitori e figli dal contesto conflittuale della separazione che può avere ad oggetto il rapporto economico, la divisione patrimoniale con tutto ciò che ne deriva ma mai il rapporto tra genitori e figli. Quello deve essere interesse di entrambi al che i propri figli continuino a frequentare entrambi i genitori.
Cordialmente
Avv. Giuseppe Aiello