Leonardo Sciascia racconta la storia di un suo compaesano, ex Guardia Regia (il Corpo di polizia creato da Nitti, sciolto subito da Mussolini perché troppo “democratico”) che, andato a votare alle ultime elezioni, nelle quali si poteva (in teoria) votare sì o no per una lista preparata dal governo fascista, si era visto consegnare una scheda sulla quale il SI’ era già segnato con una vistosa croce.
Le schede, allora, avevano un bordo gommato per essere chiuse prima di consegnarle all’urna. La gomma fu tolta dopo la Liberazione, perché con il voto alle donne il rossetto avrebbe contrassegnato le schede “femminili”.
Senza proferir parole quell’uomo diede un’occhiata sprezzante a quel documento della prevaricazione e dell’imbroglio e con gesto indolente e solenne lo riconsegnò al presidente del seggio dicendogli: ce sputasse vossia!!!
Umettare per chiudere il bordo di quella scheda bugiarda sarebbe stato davvero uno sputo. Ma, neanche del suo sputo era degna quella pagliacciata truffaldina.
“Ce sputasse vossia” era il rifiuto, la protesta contro quelle false elezioni di cui la scheda già segnata era il complemento naturale.
Non credo che in un’altra lingua, in un altro dialetto sarebbe stato possibile esprimere con tale efficacia lo sdegno, la repulsione morale ed addirittura estetica per la tragicommedia di quelle elezioni gabellate per tali da un regime dittatoriale senza freni e pudore.
Direi di più: la storia del passaggio dal regime liberale, “statutario”, a quello totalitario, con quella fase di ipocrite connivenze, di gratuiti e vigliacchi convincimenti della “ provvisorietà” della violenza fascista e del nuovo regime con le sue prevaricazioni, le comode illusioni sulla conservazione dell’essenziale dell’assetto costituzionale, che coinvolse partiti, personaggi, monarchia, istituzioni e qualche autentico pensatore, l’illusione del “meno peggio”, hanno avuto dal gesto e dalle parole del compaesano racalmutese di Leonardo Sciascia la migliore risposta ed il miglior commento.
“Ce sputasse vossia”: non potrò fare a meno di ripetermi, come un lampo di un eloquio, di una espressività di una coerenza ad una storia tutta siciliana, dolorosamente ribelle e rassegnata, ed, al contempo superba ed inflessibile, in un lampo di sicilianità sciasciana, quando mi sarà consegnata la scheda elettorale per le prossime elezioni politiche. Non ci sarà il voto già segnato da quelli del seggio. Ma qualcosa di molto simile vi sarà, c’è nella stessa legge elettorale. Nella cui complicazione grottesca, non diversamente dal segno su quella “pre-votata” di quel lontano (ma non tanto) episodio ricordato da Sciascia, non sarà concesso che un diritto di voto dimezzato, esercitato in mia vece da pasticcioni e grotteschi legislatori, espropriandomi, ad esempio, dal diritto di esprimere le preferenze per impedirmi di fare il giuoco di un deplorevole clientelismo dominato dalla malavita e dalla corruzione e così, con altri espedienti, impedendomi di combinare sciocchezze in pregiudizio della “governabilità”.
Il metodo fascista di preservare la governabilità era assai più deciso. Ne è prova la scheda, le schede “pre-votate” di Racalmuto e dintorni.
Ed ancor meglio quel che è venuto dopo: l’abolizione pura e semplice anche di quella pagliacciata.
Su tutto ciò “ce sputasse vossia”. Dio mi perdoni quant’altro cercherò, invece, di fare.
Mauro Mellini