PALERMO – Alfano, Calì, Ciminnisi, Castellino, Sole, Montalto, Riccobono, Ficalora, Rizzotto, Pepi, Castelbuono, Furitano. I nomi parlano di sangue, di spari, di urla e di disperazione. Sono solo alcuni dei nomi di vittime innocenti di mafia, i cui familiari in questa giornata estiva, sotto un sole cocente sin dalle nove del mattino, si sono dati appuntamento dinanzi la presidenza della Regione Sicilia per protestare contro la mancata equiparazione al trattamento economico e ai benefici di legge previsti per le vittime del terrorismo mafioso ed esprimere solidarietà a Milly Giaccone, figlia del professore Paolo Giaccone ucciso dalla mafia, che dopo tre anni dall’essere andata in quiescenza, con sentenza della Corte dei Conti del 28 maggio scorso si vede costretta a tornare al lavoro presso l’azienda ospedaliera nella quale ha lavorato per oltre venti anni e che non dispone più del posto in organico.
Al clima di fuoco di una caldissima giornata siciliana, si aggiunge quello rovente di chi da anni combatte contro un orrore chiamato mafia e contro l’ingiustizia di uno Stato sordo e cieco che non ascolta le ragioni di chi ha pagato con la vita dei propri cari e non vede le discriminazioni prodotte da una legge ingiusta e forse in alcuni casi stilata ad hoc.
Dinanzi al palazzo i mezzi di polizia e carabinieri. Agenti schierati pronti ad indossare la tenuta antisommossa. Sull’altro lato della strada, altri dimostranti che protestano per il timore di perdere il posto di lavoro. Gli agenti guardano. I dimostranti guardano gli agenti. I familiari delle vittime di mafia, in compagnia dei loro congiunti, bambini compresi, guardano gli uni e gli altri. Non ci sono nubi all’orizzonte, eppure basterebbe poco a far scoppiare un temporale. Disperazione, stanchezza e intolleranza sono una miscela esplosiva.
Per fortuna ognuno di loro si riconosce nell’altro. Non accade nulla. Alfano, Calì, Ciminnisi, Castellino, Sole, Montalto, Riccobono, Ficalora, Rizzotto, Pepi, Castelbuono, Furitano. Passano le ore, il sole brucia. Ma ancor più brucia l’ingiustizia di una legge che andrebbe rifatta ex novo. Ma in Italia, alle “leggi porcata” siamo ormai abituati.
Che senso ha l’essere costretti a protestare per l’equiparazione dei benefici di legge per tutte le vittime della criminalità organizzata o del dovere? In quale altro paese civile si sarebbe potuta varare una legge che crea vittime di serie A e vittime di serie B, a volte legate allo stesso evento delittuoso? Che forse il tritolo o la lupara che nello stesso istante hanno mietuto più vittime, lo hanno fatto seguendo criteri diversi?
E chi ha già visto riconoscere nelle sedi giudiziarie l’innocenza di un proprio congiunto caduto per vile mano mafiosa, perchè deve subire l’angheria di un ministero che tarda o si rifiuta di riconoscere lo status di vittima innocente di mafia? E chi è stato ucciso dalla mafia prima del 61, secondo quale principio non deve essere riconosciuto come vittima di mafia? Una delle tante “leggi porcata” alle quali ormai da troppo tempo il popolo italiano sembra rassegnato.
Il sole scotta, così come i discorsi che si fanno in attesa di una risposta che consenta ad una delegazione di varcare il portone del palazzo del potere. Si scopre così che a distanza di oltre venti anni da un omicidio di mafia, i congiunti della vittima devono nuovamente fare i conti con minacce più o meno velate da parte di chi ritiene con arroganza di poter piegare alla propria volontà chi ha già pagato con il sangue di un proprio familiare il coraggio di un rifiuto.
Anche in questo caso, le vittime e i loro familiari sono diverse. Già, perché, senza nulla togliere alle vittime del terrorismo i cui diritti sono sacrosanti, va considerato che l’evento terroristico termina nel momento stesso in cui semina morte, mentre così non è per la mafia, che continua a spadroneggiare, minacciare, incutere terrore, in quanti hanno il coraggio di sollevare il capo.
Dopo un po’ arriva il vicepresidente della commissione regionale antimafia, Fabrizio Ferrandelli, che incontra i familiari delle vittime e dà la propria disponibilità a farsi tramite delle loro richieste in commissione. Una delegazione varca il portone e incontra la dottoressa Maria Mezzapelle, capo di gabinetto di Rosario Crocetta.
Segue la comunicazione ufficiale che il Presidente della Regione, Rosario Crocetta, incontrerà una delegazione dei familiari di vittime di mafia venerdì, 21 giugno, alle ore 15.00.
Ricomincia l’attesa e con la stessa la speranza. Troppe parole, troppe promesse si sono sprecate nel corso degli anni. Sarà la volta giusta o si dovrà ricorrere alla Corte Costituzionale? Quello che appare ai più un dato certo, che lo Stato, rappresentato da una classe politica forse inadeguata, con le sue leggi ha ancora una volta sparato sulla gente onesta. Vittime di mafia prima e vittime dello Stato poi. Ad uccidere, a volte, non è solo la lupara…
Gian J. Morici