Per come si sono messe le cose entro febbraio assisteremo allo svolgimento di due festival: il “festival della canzone italiana” e il “festival delle promesse”. Il primo riguarda cantanti, canzoni, case discografiche e tutto quanto gira attorno all’evento. Il secondo, riguarda le promesse (che non saranno mantenute) che saranno fatte durante la campagna elettorale per le politiche del 2013. La competizione (il festival) tra i partiti è già iniziata ed assume una valenza particolare rispetto alle altre. Il contesto la rende particolare. Alludiamo al gorgo delle emergenze in cui si trova il Paese con la crisi dell’euro, dell’ economia, dello stato sociale, del territorio, della sicurezza, del welfare, del sistema politico istituzionale e di tutto quanto attiene la vita degli italiani.
Mali antichi, retaggio del passato, e mali recenti che non hanno trovato mai una soluzione definitiva. Le ragioni vanno ascritte anche: a quel dualismo che ha sempre diviso l’Italia in destra e sinistra, che quasi sempre ha radicalizzato la lotta tra le parti, che ha portato all’occupazione dello Stato, che non ha consentito alla cultura politica nazionale di maturare; e con essa la democrazia.
L’incontro Pd – Pdl, sotto la guida di Monti, ha consentito risultati di rilievo anche se criticabili. Questi, difficilmente si sarebbero potuti conseguire da partiti opposti in altri momenti storici. In Germania, per esempio, con un quadro politico che non assicurava la governabilità, per la risoluzione di problemi cruciali sono nate alleanze di governo fra forze alternative: dal 1966 al 69, Kiesinger cancelliere, tra cristiano-democratici (Cdu) e socialdemocratici (Spd); dal 2005 al 2009 la stessa cosa è accaduta con Angela Merkel.
La condizione di supremazia economica della Germania in Europa è dovuta anche a quei momenti, che hanno consentito riforme che ne hanno consolidato l’economia. Per un cambiamento politico e sociale, teso ad ammodernare il nostro Paese, non sembra ci siano le condizioni di maturazione della nostra cultura politica. E per fare le riforme necessitano ampie e solide maggioranze, anche per onorare gli impegni assunti con l’Unione Europea. E la legge elettorale difficilmente consente la governabilità (bastava modificarla consentendo il premio di maggioranza anche al Senato e il ritorno alle preferenze).
E’ difficile che una delle coalizioni oggi in campo ottenga una forte maggioranza e gli accordi tra coalizioni portino facilmente al varo di un governo dopo le elezioni di febbraio. Vi è il rischio che il voto del prossimo mese consegni al Paese un parlamento paralizzato, che potrebbe imporre un’opzione di governo anche inusitata. Inoltre, va detto che il centro (Scelta civica con Monti per l’Italia) è restio all’accordo con Bersani-Vendola; perché quest’ultimo è critico con l’Europa per la sua struttura finanziaria, perché non disdegna una rivisitazione dei trattati e perché non ha condiviso l’operato di Monti.
Più difficile appare anche un’alleanza futura col Pdl, per la diaspora avuta con i finiani e per i rapporti da lungo tempo poco idilliaci del politico-imprenditore con Casini, che ormai ha preso un’altra strada. Il rientro in scena del Berlusca divide la platea degli elettori moderati. Ma nessuno può negargli il diritto a candidarsi e a rivendicare la bontà del suo operato e delle sue posizioni politiche. Agli elettori l’incombenza di giudicare.
A noi preme rilevare che non giova parlare di formule, di centro, di destra e sinistra, ma di una crisi che scarica i suoi miasmi ovunque, facendo tante vittime a cominciare: dalle donne, i giovani e i disoccupati. La classe politica sa che nei paesi del Mezzogiorno i giovani sono andati via, sono rimasti gli anziani e i bambini. E’ giunto il tempo della moralità, dell’etica della responsabilità, di mantenere le promesse. Le coscienze non possono sempre assuefarsi alle ingiustizie, originate il più delle volte da interessi personali e di partito.
Rogero Fiorentino