Mentre al violoncello eseguivo, con movimento lento sussiegoso, pianoforte, violoncello, la strega suonava bene, diciamo da dio, io e lei, nella piccola sala, non c’era che una porta e le telecamere, nastri e nastri di fili elettrici che nessuno avrebbe mai indovinato, registravamo, mentre dunque, non riuscivo come al solito a pensare solo all’esecuzione, a tenere a bada la strega con gli attacchi, perché provava a mettermi in difficoltà, ah si non le importava che avremmo fatto mezzanotte, che si avvicinava l’ultima ora dell’anno, a lei no, sembrava non avesse urgenze familiari, lei, ma forse stuoli di domestiche sottopagate, immaginavo io. (Mentre dunque), quel pezzo lento, puntualissimo come una goccia, minuzioso come l’amore direi, io non riuscivo a concentrarmi. Pensavo a quello che non avevo comprato, al vino, al vino che non mi piaceva e che quindi avevo dimenticato, c’era solo lo spumante in casa. Pensavo agli amici che non avrebbero trovato il bagno in ordine, perché ero uscita la mattina, e chissà se avevo agganciato l’accappatoio. Pensavo alle candele profumate, le avevo comprate? Cambiava il tempo ma ormai ce lo avevo nel polso e la strega non riuscì a fregarmi. La guardavo con la coda del mio bellissimo occhio miope. Ma lei non tradiva nessun sentimento. Una stucchevole concentrazione da manovale. Quanti anni avrà la strega? Le cade il collo, una sessantina o su di lì. Avevo belle mani io, e un polso incantevole, l’archetto si muoveva senza indecisioni, facendo vibrare le corde tese dal capotasto al ponte, lucide come fossero di seta, mentre la cassa armonica sussurrava con la sua voce, quella voce di anima riflessiva che ha il mio strumento. Lei non ha fatto che pigiare su quei tasti di finto avorio, tutta la vita. Aveva un bel vestito, non è che la sobrietà le fa difetto, appunto, mai la sensazione che fosse altro che una donna travestita da musicista, pianista no, lei diceva musicista. Eppure mi perdevo nel ternario di Spiegel im spiegel, per pensare solo nel momento del cambio di flusso, impercettibile al primo ascolto, noioso ricordare la minima variazione. Ecco, ci illuminavano ogni minuto di più, avevamo iniziato quasi al buio. Doveva avere una specie di significato per il regista, forse la bellezza del luogo, non certo una piccola stanza, ora si inquadrava tutta la sala, e le alte volte a tutto sesto e noi molto piccole, due musiciste, ma neppure noi, due strumenti che si richiamano, una conversazione intima, noi due.
Le sue mani snodate, quell’arpia, compitavano così bene i passaggi interminabili, il parlare continuo, incessante, della sua tastiera tutta di testa, tutta programmata, controllabile, con il brontolio sofferente del mio violoncello. Chi si specchia nell’altro? Troppo facile, siamo quasi di spalle, sappiamo tutto dei movimenti del pezzo, e anche dei nostri. Sono anni che la sopporto. Stavo per mancare al mio matrimonio per colpa sua, per partorire in scena, per colpa sua, per perdermi i primi passi di mia figlia per colpa sua. Ed ora il capodanno. Inquadreranno il suo bel naso a becco, gli occhialini tondi, i capelli a frangetta corta, da tedesca prima della guerra. Il regista già ha saputo sfruttare la mia testa dorata, ci ha sparato un faro che mi sta sciogliendo la cervice. Ho caldo, non ho abbastanza pan cake per le tartine, il salmone è intero e devo affettarlo, non avrò il coltello giusto, ecco il punto ostico, non ti offrirò questa soddisfazione, non sbaglierò, sarà tutto perfetto, come al solito sulla scena, ma tu non ne avrai nella vita. Tu sei sola come un cane, hai fatto scappare tuo marito, sei ricca e compri abiti dell’altro secolo. Non posso farmi prendere dal furore o questo incontro non finirà mai, dovremo ripeterlo, io e te, come se stessimo ad un tavolo disadorno, la luce di una lampada modesta che rischiara le nostre mani. Non ci sarà altro, io e te, tu con la tua vita e io con la mia. Ad ogni incontro che tu vuoi prolungare io risponderò fuggendo il prima possibile, rifugiandomi nella mia casa, in mio marito, nella presenza di mia figlia, comprando abiti eccentrici, tutte quelle cose che tu hai estromesso dalla tua vita, mamma, per essere solo una musicista. Sta terminando, rallenti sembra, qui la musica è tenace pur nell’estenuazione della ripetizione, io lavoro di basso continuo…tengo la nota lunga mentre tu arpeggi, puntualizzi, sempre le stesse cose. Cambi impercettibilmente Sali di un gradino, poi ritorni e io ti assecondo scalando a mia volta. Non sbaglierò stasera, tu resterai ancora a studiare il concerto per il due gennaio, io no. Devo controllare la salsa per l’arrosto, apparecchiare la tavola, accendere le candele. Tu non ci sarai. La nostra tavola insieme è questo palcoscenico. E’ il momento. Sfilo l’archetto dalle corde e contemporaneamente le tue dita si sollevano dalla tastiera. E’ finito. Tutto perfetto.