
Ci sono eventi che a volte portano a rivivere momenti che ci appartengono.
Uno di questi per me è stata la morte di Angelo Onorato, l’imprenditore, marito dell’eurodeputata Francesca Donato, trovato senza vita con una fascetta stretta al collo, nella sua auto sabato scorso, in una bretella di viale Regione Siciliana a Palermo.
I magistrati propendono per la tesi del suicidio, ma il motivo dell’eventuale gesto sembra tutt’altro che chiaro.
A non credere che possa essersi suicidato, e a sostenere che l’uomo sia stato ucciso, sono in tanti, la moglie, la figlia, gli amici, quanti lo conoscevano.
A un parente, che era andato a prendere all’aeroporto per accompagnarlo a un battesimo, avrebbe detto: “Vado a risolvere una questione con una persona di Capaci, spero in maniera bonaria”.
Inoltre, un avvocato, amico di Onorato, ha riferito agli inquirenti di avere ricevuto una sua lettera che nel caso in cui gli fosse accaduto qualcosa avrebbe dovuto consegnare alla moglie.
Omicidio o suicidio? Un dubbio che pare destinato a rimanere irrisolto a lungo.
Non conoscevo Onorato e non c’è nulla che possa accomunare le nostre vite, le nostre storie, se non quella che per me – fortunatamente – è stata solo una brutta avventura.
Una sorta di fascia rigida o semi rigida che cerca di stringerti il collo.
Era il 20 marzo di quest’anno.
Il 9 aprile, la Procura della Repubblica di Agrigento, non avendo trovato indizi utili ad individuare un eventuale colpevole, chiedeva l’archiviazione della denuncia che avevo presentato.
Un avvertimento? Il tentativo di uccidermi? L’opera di un folle? Forse non lo saprò mai.
Non voglio entrare nel merito di una vicenda che non conosce e che è oggetto di indagini, ma rispetto la quasi certezza di qualche ora fa che voleva si trattasse di suicidio, cominciano ad emergere altri particolari – come quello della presenza di un uomo che testimoni dicono di avere visto con lui – che potrebbero portare gli inquirenti in ben altra direzione.
Mi torna in mente l’articolo che il Giudice Lorenzo Matassa ha voluto dedicare alla mia vicenda e che mi trovo a riproporre per il dato simbolico della modalità con cui avvenne il grave gesto nei miei confronti, e con il quale – se si dovesse accertare che di omicidio si tratta – qualcuno ha voluto porre fine alla vita di questo imprenditore, forse anche con la speranza che per Onorato possa esserci un diverso sviluppo rispetto la mia storia, permettendo di individuare l’eventuale responsabile della sua uccisione:
LA CORDA (PAZZA) al COLLO dei SICILIANI
Se fossi l’investigatore del grave atto intimidatorio – e, forse, potenzialmente omicidiario – compiuto ai danni di Gian Joseph Morici, soffermerei l’attenzione sul dato simbolico del tentativo.
In una terra in cui si sono fatte esplodere le autostrade o un intero quartiere abitato, oppure uccise con i kalashnikov centinaia di persone e sciolto nell’acido il corpo di un bambino, ebbene, in un’isola in cui la mafia ed i suoi tanti sodali hanno superato ogni limite dell’umana pietà, appare davvero minimale (e quasi infantile) lo stringere una corda attorno al collo di un giornalista.
Vi è in questo gesto – volutamente non portato ad estremo compimento – qualcosa di assai simbolico e metaforico, una specie di “avviso ai naviganti” per dire loro che “incidenti come questo” possono capitare a tutti quelli che non osservano l’omertosa regola aurea delle tre scimmie: non vedo, non sento, non parlo.
Però, c’è qualcosa d’altro da porre in evidenza e che incide su un aspetto (forse) subliminale del gesto impiccante.
Nella città di Pirandello, nella terra della “corda pazza”, il gesto di stringere il nodo attorno al collo di un giornalista inerme supera pure l’aspetto delittuoso per diventare emblema di un destino tutto siciliano.
Quello che – non a caso – Leonardo Sciascia indicava ai suoi lettori già nell’anno 1970, nel suo libro cercando un senso compiuto alla “sicilianitudine”.
A venti anni da quella data (anno 1991), dopo le feroci polemiche sul professionismo dell’antimafia e all’alba della strage contro Giovanni Falcone, ancora un’altra opera – a firma della giornalista francese Marcelle Padovani – rimarcava il tema caro a Sciascia: la Sicilia è una metafora del mondo.
Già… in quest’isola il gesto si fa parabola e diventa simbolo per tutto un Paese.
“La realtà tende a diventare ovunque mafiosa”.
È questo l’incipit de “La corda pazza” di Leonardo Sciascia.
Dobbiamo agire, con tutte le nostre forze, perchè davvero non sia così…
Lorenzo Matassa