Il presidente dell’Italia dei Diritti – De Pierro ha scelto proprio il Ministero dell’Interno per iniziare una serie di proteste a oltranza contro la paradossale vicenda. Prossime tappe la questura di Roma e l’Aeroporto di Fiumicino
Roma, 21 maggio 2024 – Come aveva annunciato nei giorni scorsi Antonello De Pierro, presidente del movimento politico Italia dei Diritti – De Pierro, ha iniziato una serie di manifestazioni a oltranza al fine di sensibilizzare la coscienza collettiva e tutte le istituzioni su un assurdo evento disciplinare che, suo malgrado, l’ha visto protagonista nei ruoli della Polizia di Stato, seguito a una kafkiana vicenda che ha coinvolto lui è la sua famiglia, in un divenire fenomenico fatto di coperture istituzionali e di un’intimidazione e aggressione mafiosa, Infatti il leader dell’IdD, poliziotto e giornalista, nel lontano 2007 fu minacciato di morte e aggredito, insieme a suo fratello, con lesioni giudicate guaribili rispettivamente in 6 e 8 giorni, salvo complicazioni, dal famigerato boss di Ostia Armando Spada, il quale, nella circostanza, era stato accompagnato in macchina sotto casa sua da 2 coniugi, Angela Falqui e suo marito Alfonso De Prosperis, il quale, secondo l’accusa, aveva partecipato all’aggressione. Infatti fu rinviato a giudizio insieme all’esponente mafioso. Ancorché Spada avesse colpito il fratello del noto giornalista con un bastone la competenza decisionale fu affidata alla giurisdizione del Giudice d Pace, grazie all’incredibile congiuntura che vide i componenti della volante della Polizia di Stato intervenuta sul posto rifiutarsi di sequestrare il bastone usato dallo Spada e, nonostante le insistenze di De Pierro, di perquisire il boss, in quanto questi aveva avanzato il sospetto che potesse avere un’arma da taglio, nella tasca dei pantaloni, alimentato dal fatto che durante l’aggressione questi aveva portato la mano alla tasca come per estrarre qualcosa, salvo poi desistere dopo che il numero uno dell’Italia dei Diritti si era qualificato come poliziotto mostrando la tessera di riconoscimento. Le minacce e l’aggressione da parte dello Spada erano riconducibili a una vicenda di abusi edilizi denunciati dalla famiglia di De Pierro e rivelatisi poi in parte palesemente fondati, presso un’abitazione adiacente di proprietà della Falqui, incredibilmente taciuti da 2 vigilesse in servizio presso il comando dell’allora Polizia Municipale di Ostìa, nonché di qualche dipendente del locale Ufficio Tecnico. In questo contesto, in cui il leader politico era stato vittima di un’aggressione mafiosa mentre stava tranquillamente a casa sua, avvenne qualcosa di paradossale. Coloro i quali avevano accompagnato in macchina il boss mafioso, il quale aveva poi posto in essere l’atto criminoso finalizzato a far desistere la famiglia De Pierro e in particolar modo sua madre Lucia Salvati, dirigente dello Stato in pensione, a proseguire nelle azioni intraprese per ottenere giustizia per i torti che ritenevano di aver subito, proposero una denuncia querela contro di loro, in cui veniva descritta una realtà fattuale completamente diversa, che a una lettura anche superficiale fa imbattere in affermazioni che travalicano abbondantemente i limiti del ridicolo. Si legge infatti che il boss Spada sia stato fatto nascondere in macchina per evitare un suo coinvolgimento, che il bastone con cui questi aveva colpito il fratello del giornalista e poliziotto sarebbe invece servito al malavitoso per difendersi da un pericoloso cane che gli era stato aizzato dallo stesso Antonello De Pierro. In realtà si trattava di un cucciolo di 6 mesi di vita, uscito dal cancello dell’abitazione per giocherellare, come qualsiasi cucciolo di quell’età, ma è difficile anche solo immaginare una sua pericolosità. A ricevere le grottesche affermazioni furono i carabinieri di Casal Palocco, a cui fu presentata la denuncia e querela. L’informativa di P.G. che fu redatta a firma dell’allora comandante Giuseppe Liguori non faceva alcun riferimento alla caratura criminale di Spada, il quale fu indicato come teste a conforto delle accuse mosse nei confronti della famiglia De Pierro, evidentemente assunte come attendibili, e non furono citati nemmeno i dati anagrafici del boss di Ostia. Seguì un rinvio a giudizio nei confronti di coloro i quali avevano subito l’aggressione, diventati processualmente imputati, e il procedimento fu ascritto alla competenza decisionale del Giudice di Pace. Non fece registrare alcuna istruttoria dibattimentale e fu risucchiato dalle sabbie mobili della prescrizione. Ciò bastò al dott. Tiziano Vetro, allora direttore della V Zona della Polizia di Frontiera di Fiumicino, titolare della potestà disciplinare del De Pierro poliziotto, per avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti, credendo pertanto, pur in assenza di alcuna evidenza processuale, alle affermazioni di chi aveva accompagnato sotto casa sua, con la propria autovettura, Armando Spada, il quale nella circostanza minacciò di morte e aggredì il poliziotto e suo fratello, peraltro coadiuvato, come risulta dagli atti processuali, proprio da uno degli accompagnatori, circostanza assolutamente e sorprendentemente ignorata da chi aveva avviato l’azione disciplinare. La richiesta sanzionatoria fu individuata in quella estrema della destituzione, derubricata poi in fase di processo disciplinare in deplorazione, un po’ troppo per chi nei fatti di specie era stato purtroppo la vittima, a meno che non si voglia davvero credere che un boss mafioso del rango di Armando Spada possa realmente spaventarsi di fronte a una persona perbene come Antonello De Pierro tanto da farsi nascondere in macchina e un cucciolo di 6 mesi possa essere aizzato per aggredire chi è stato costretto a difendersi addirittura con un bastone, che con un’artata mistificazione fattuale ha cambiato il suo reale utilizzo nella circostanza, ossia essere servito per colpire Pino De Pierro, fratello di Antonello. Una compromissione carrieristica inaccettabile è seguita al provvedimento firmato dall’allora capo della Polizia Franco Gabielli, con il blocco di ogni progressione di anzianità e l’esclusione da un rilevante concorso interno. Un pregiudizio irreparabile per lui e per i corpi collettivi, che ha deciso di denunciare in ogni sede e in ogni legittimo modo possibili. Il primo luogo pubblico scelto per lanciare urbi et orbi il suo grido di dolore e la sua battaglia di civiltà è stato proprio il Viminale, da dove, ancorché da tempo De Pierro denunci questa vicenda paradossale, continua a giungere un silenzio assordante e desolante. Il preavviso di manifestazione, che indicava un numero molto ristretto di partecipanti, inviato via Pec alla questura di Roma indicava come luogo per manifestare piazza del Viminale, ma questa non è stata concessa. La proposta dell’Ufficio di Gabinetto per permettere al numero uno dell’Italia dei Diritti – De Pierro di esercitare il suo diritto inviolabile, codificato dall’art. 17 della Carta Costituzionale, è stata dirottata su piazza dell’Esquilino, scelta che ha inevitabilmente coartato la produzione degli effetti sperati da chi ha deciso di portare ovunque la sua protesta, parlando alla coscienza collettiva per sensibilizzare ogni cittadino italiano su quanto accaduto tra le file della Polizia di Stato, sperando d’incassare una solidarietà pressoché unanime a fronte dell’assurdità della vicenda e conseguentemente sensibilizzare chi ne detiene la potestà affinché si convinca dell’opportunità di rivisitare in autotutela decisoria il paradossale provvedimento. Peraltro presso l’Ufficio di Gabinetto, dove De Pierro è stato invitato a recarsi, gli è stato chiesto di firmare un nuovo preavviso con richiesta ex novo di piazza dell’Esquilino, ma da nessuna parte è registrato il diniego di piazza del Viminale, che comunque aveva indicato nella Pec inviata altresì a un nutrito gruppo di figure istituzionali, tra cui il Capo dello Stato,, il presidente del Consiglio dei Ministri, i presidenti di Camera e Senato e il ministro dell’Interno. Proprio alla luce di ciò, al fine di poter soddisfare compiutamente l’interesse perseguito, con l’obiettivo di trasmetterlo all’opinione pubblica, in quanto ritenuto meritevole di attenzione, questi ha deciso per il futuro, in cui è proiettata la previsione a oltranza di un’infinità di altre iniziative simili, di non organizzare una manifestazione collettiva, ma squisitamente individuale, con la presenza delle sole persone necessarie alle esigenze tecniche legate alla protesta, e pertanto difficilmente superiore a 5, tanto da annullare ab origine, tenuto conto comunque dell’indiscussa pacificità del sit-in, ogni comprovato motivo “di sicurezza o di incolumità pubblica“, come recita la codifica costituzionale e fugare ogni timore da parte di chi è chiamato a valutare in merito, riponendovi la piena fiducia, avendo già sottolineato in più occasioni l’encomiabile professionalità tenuta comunque nella congiuntura dal personale dell’Ufficio di Gabinetto.
Una manifestazione che, ancorché sia stato inevitabilmente compresso il suo obiettivo, ha fatto registrare una buona performance, con De Pierro che ha parlato per circa 45 minuti a una folla di curiosi, che ha recepito perfettamente il messaggio lanciato esprimendo piena solidarietà e applaudendo a più riprese. Una protesta in cui è stato affiancato da vari esponenti del movimento da lui presieduto a iniziare dal segretario provinciale di Roma e responsabile nazionale per la Politica Interna Carlo Spinelli, consigliere uscente e candidato sindaco a Capranica Prenestina sotto il simbolo dell’Italia dei Diritti – De Pierro, il quale ha preso la parola esprimendo piena solidarietà al suo presidente tra gli applausi scroscianti dei presenti. Per proseguire con i vice segretari provinciali romani Marco Zoppini, già candidato a sindaco di Palestrina e attualmente capolista nelle imminenti elezioni a Castel San Pietro Romano, e Irene Pastore, candidata a sindaca di Sambuci, e con il responsabile per il V Municipio di Roma Giancarlo Villani.
Tanti i punti toccati durante l’articolato intervento. Oltre a ripercorrere in apertura le tappe dell’intera vicenda il presidente dell’IdD si è poi soffermato sul grottesco provvedimento adottato nei suoi confronti dalla Polizia di Stato, definita, senza riuscire a tradire l’emozione, orgogliosamente come una grande famiglia, sottolineando inizialmente il pregiudizio concretizzatosi a suo discapito per poi porre decisamente l’accento sul danno incommensurabile arrecato alla stessa Polizia di Stato e a tutto il tessuto sociale, alla luce altresì alle conseguenze correlate che l’hanno allontanato dal servizio nel momento di maggiore efficienza fisica. Infatti negli ultimi 8 anni ha lavorato per una manciata di mesi e dal 2019 a oggi è stato costantemente assente dal servizio, pur essendo regolarmente retribuito. Peraltro, essendo stato giudicato non idoneo al servizio dalla Commissione di II Istanza, valutazione sempre rispedita al mittente dall’interessato e altresì ribaltata da un parere pro-veritate di autorevoli esponenti della scienza medica, avrebbe potuto scegliere di essere posto in quiescenza in giovane età, un’ipotesi scartata immediatamente in quanto giudicata immorale alla luce del fatto che a tanti viene chiesto di lavorare fino a 67-68 anni. Invece ha scelto di rimanere nei ruoli optando per il transito nei ruoli civili, circostanza che lo vede ancora in aspettativa speciale, col risultato che da quel maledetto 7 dicembre 2016, giorno in cui gli fu notificato l’avvio dell’illogico procedimento disciplinare, con cui gli si contestava di aver aggredito chi aveva accompagnato in macchina il boss Spada, senza nemmeno prendere in considerazione il fatto che lo stesso Spada e uno degli accompagnatori erano stati rinviati a giudizio con l’accusa di aver aggredito i fratelli De Pierro, in pratica non ha mai lavorato, rimanendo a casa a spese dei contribuenti. Il poliziotto giornalista ha gridato a gran voce che questa non è solo la sua protesta, ma quella di tutti gli uomini in divisa, affinché fatti del genere non accadano più, facendo riferimento altresì ai numerosi suicidi e affermando che in molti al suo posto avrebbero chiuso i conti con la vita. Molti colleghi, interdetti di fronte alla sua vicenda, gli avrebbero confessato che forse loro si sarebbero suicidati. Ha poi rincarato la dose considerando che a suo avviso alla base di molti suicidi ci sono provvedimenti disciplinari ingiusti e che quando ci si trova di fronte a un suicidio di un uomo o una donna in divisa bisognerebbe indagare la loro storia lavorativa e disciplinare. Ha poi espresso, visibilmente commosso, soddisfazione per il fatto che quotidianamente incassa la solidarietà di tanti colleghi, anche quando si trova in giro per l’Italia per impegni politici. Ha dichiarato che spesso alcuni uomini delle forze dell’ordine lo fermano per esprimergli la loro vicinanza, segno che la sua incredibile storia sta circolando e sta scandalizzando quanti abbiano la sensibilità necessaria per comprendere la gravità di quanto accaduto. Poi alzando il tono della voce e indicando con l’indice il Ministero dell’Interno ha lamentato che solo i vertici della Polizia di Stato continuano a ignorare il suo grido di dolore e la sua richiesta di giustizia. A meno che qualcuno non abbia il coraggio di dichiarare che è giusto perseguire disciplinarmente un poliziotto vittima di un’aggressione mafiosa, per cui sono stati rinviati a giudizio il boss aggressore e chi l’ha accompagnato in macchina. E se chi di competenza crede che non sia giusto allora abbia la bontà, come è giusto che sia, di dichiarare l’assurdità di quanto accaduto e restituisca la dignità di poliziotto a chi nell’episodio è stato la vittima, sanando una situazione dannosa per l’interessato, per la Polizia di Stato e per tutta la collettività. Sarebbe certo una delle più belle pagine di giustizia della storia italica. Ma il silenzio non è accettabile. Poi ha altresì rivolto la sua critica ai sindacati di Polizia, che in una così grave circostanza hanno sempre taciuto, nella speranza che si risveglino dal torpore in cui sono caduti in afferenza alla vicenda in questione ed espletino l’attribuzione mansionale conferita loro dall’ordinamento giuridico, ossia sindacare l’operato dell’amministrazione, individuata nella fattispecie in quella della Polizia di Stato. Perché dall’articolata concione pronunciata all’Esquilino è emersa una sola certezza. Il poliziotto, giornalista e capo politico del movimento Italia dei Diritti-De Pierro non si fermerà nella sua battaglia e ha già annunciato una lunga serie di altri sit-in a oltranza davanti a numerosi siti istituzionali, sedi di organi di stampa e così via, individuando le prossime tappe nella questura di Roma e nell’Aeroporto Internazionale di Fiumicino, dove tutto è nato, arrivando anche, qualora si rendesse necessario, a mettere in atto uno sciopero della fame e altre estreme forme di protesta, puntando a squarciare quell’inspiegabile e inaccettabile muro di silenzio che finora si è registrato nell’intera gerarchia di vertice della Polizia di Stato, nonché nella rappresentanza politica a questa collegata e sovraordinata. Quel vertice gerarchico e quella rappresentanza politica che si sono invece immediatamente esposti per mostrare i muscoli istituzionali in occasione della nota testata rifilata al giornalista Daniele Piervincenzi da parte del boss Roberto Spada, nelle persone dell’allora Capo della Polizia Gabrielli, il quale solo un paio di mesi prima aveva firmato il procedimento disciplinare contro Antonello De Pierro, aggredito da un altro esponente di rango del clan, Armando, cugino di Roberto, e dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, il quale subito l’evento criminoso ai danni di Piervincenzi disse che a Ostia non c’erano zone franche. Una cosa davvero singolare se si pensa che invece all’Infernetto, in via Peio, sempre nel X Municipio, la zona franca c’era stata, con protagonista Armando Spada, talmente franca che la Polizia di Stato aveva sanzionato la vittima, poliziotto e giornalista, e chi l’aveva aggredito l’aveva fatta appunto “franca”. Quei vertici politici del Viminale che sono invece tornati a farsi sentire in modo roboante dopo la recente aggressione contro una maestra a opera di una donna del medesimo clan, questa volta tramite la voce del ministro Matteo Piantedosi, il quale con solerzia ha fatto sapere che “lo Stato si farà sentire“. Chissà se lo stesso ministro rifletterà sul fatto che forse nella circostanza che ha visto vittima il poliziotto, giornalista e politico Antonello De Pierro, minacciato e aggredito dal boss Spada, il Viminale non solo è non si è fatto sentire, ma ha pure perseguito disciplinarmente De Pierro poliziotto, proprio tramite un ufficio facente parte integrante del ministero da lui medesimo capeggiato. Una cosa che già farebbe ridere così se non fosse invece, purtroppo, estremamente tragica.