A un anno dall’arresto di Matteo Messina Denaro, Fanpage.it dedica ampio spazio all’Operazione Tramonto che mise fine alla lunga latitanza del boss.
Quasi lo stesso lasso di tempo da quando la criminalista Katia Sartori, su incarico della moglie di Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano, effettuò una perizia calligrafica con lo studio e la comparazione di diversi documenti inviati da Matteo Messina Denaro alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai Lo Piccolo, smentendo le tesi complottiste che volevano fossero altri a scrivere i pizzini del boss.
Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, era entrato in contatto epistolare con il boss castelvetranese.
Nello scambio di pizzini tra i due, l’allora superlatitante impose a Vaccarino il nome di Svetonio, scegliendo per sé stesso lo pseudonimo di Alessio.
Ne parliamo con la Dottoressa Sartori:
- Come nacque l’operazione Alessio/Svetonio?
- Antonio Vaccarino era nato a Corleone ma aveva vissuto a lungo a Castelvetrano, dove, oltre a svolgere la propria professione di insegnante, si era dedicato anche all’attività politica, arrivando a ricoprire prestigiose cariche all’interno della Democrazia Cristiana.
Fu anche eletto sindaco di Castelvetrano, paese che come ormai noto, ha un’altissima infiltrazione mafiosa.
D’accordo col SISDE, Vaccarino, grazie all’intercessione del Dott. Alfonso Tumbarello, lo stesso medico che oggi sappiamo, aver preso in cura proprio lo stesso super latitante, riesce ad incontrare il fratello del boss Salvatore Messina Denaro che oltretutto Vaccarino ben conosceva in quanto era stato un suo alunno.
È così che mesi dopo, Vaccarino riuscì ad entrare in contatto con il latitante e ben presto, in completa sinergia con il SISDE, riuscì a guadagnarsi la fiducia di Matteo che gli impose il nome di Svetonio, scegliendo per sé stesso lo pseudonimo di Alessio.
Si intavolarono così ben tre anni di corrispondenza, di “pizzini”, puntualmente analizzati dalla Direzione del Sisde di Mario Mori, per arrivare alla cattura del boss o alla sua resa. L’idea probabilmente, non era solo quella di scovare il superlatitante e tracciare dettagliatamente l’intero organigramma di Cosa Nostra, ma di scoprire prima e neutralizzare poi, tutta la rete di fiancheggiatori che ne garantivano la latitanza, e colpire soprattutto gli affari. Gli ingenti interessi economici di cui parla persino Totò Riina intercettato in carcere, riferendosi agli appalti e all’eolico.
La Direzione del SISDE diventa “Svetonio” perché i pizzini tra Vaccarino e Alessio vengono infatti trasmessi al SISDE. La squadra che è all’opera è la stessa che consegnò a Falcone la prima grande inchiesta sul rapporto mafia-appalti, la stessa alla quale anche Paolo Borsellino si era rivolto, chiedendo se ci fosse la disponibilità a proseguire quelle indagini.
Un piano quindi ben congegnato, una strategia investigativa ben distinta, che avrebbe portato ben presto a mappare le famiglie di Cosa Nostra, a conoscerne l’influenza nelle varie province siciliane e ad individuare i loro interessi nell’ambito degli affari economici che gestivano.
Una parte di quel metodo che poi, come ben sappiamo non andò a buon fine in terra siciliana, ma che fu riproposto dalla stessa squadra a Napoli e che portò a grandissimi risultati investigativi.
- Come si interruppe l’operazione Alessio/Svetonio?
- Quando la Polizia di Stato, coordinata dal dott. Renato Cortese, arrestò Bernardo Provenzano nel 2006, ritrovò all’interno del covo tantissimi “pizzini” che anziché essere distrutti, bruciati com’era raccomandato fare, erano stati conservati dal boss corleonese.
Tra questi, vi erano quelli scritti da un certo “Alessio”, i quali contenevano dei riferimenti ad un certo “VAC”. La magistratura, che analizzò subito il contenuto di tutti gli scritti sequestrati, non ci mise molto a capire che “VAC” altri non era che il Prof. Antonio Vaccarino.
Quando il Sisde, nel 2007, trasferì alla magistratura l’intero carteggio tra il super latitante e Antonio Vaccarino, qualcuno rese nota l’operazione Svetonio-Servizi segreti alla stampa, bruciando di fatto l’intera operazione e anni d’indagine. Di questa rivelazione alla stampa, del perché si volle bruciare l’intera operazione, nessuno ha mai indagato.
Dopo il cumulo di false accuse nei confronti di Vaccarino, evidentemente allo scopo di spostare l’asse di attenzione dai veri mafiosi che avevano voluto le stragi, si bruciava così la possibilità di catturare il boss, il quale, conosciute le reali intenzioni, nel novembre del 2007, anziché un pizzino a firma di Alessio, gli faceva recapitare una lettera firmata M. Messina Denaro: “Ha buttato la sua famiglia in un inferno – scrisse il boss – La sua illustre persona fa già parte del mio testamento.
Quella fuga di notizie ha di fatto concesso un notevole vantaggio a Matteo Messina Denaro ed ha esposto allo stesso tempo pubblicamente, Vaccarino e la sua famiglia alle ritorsioni del latitante. Eppure, non è difficile rappresentare chi poteva avere quel tipo di informazione da rivelare alla stampa ma ad oggi, nessuno ha mai avuto il coraggio di alzare quel velo.
- Quindi Matteo Messina Denaro poteva essere arrestato prima?
- E perché no? Oltre all’operazione promossa dal Sisde e poi “bruciata”, vale la pena ricordare le pen drive e le apparecchiature informatiche sottratte dall’ufficio della Dott.ssa Principato. Anni e anni di indagini su Matteo Messina Denaro andate in fumo.
Magistrati e personale di polizia giudiziaria indagati, processati e poi sempre assolti. Dopo queste assoluzioni, nessuna indagine incardinata volta ad individuare chi avrebbe potuto aggirarsi tranquillamente nei corridoi della Procura, sottraendo indisturbato tutto quel materiale. Eppure, se solo ci fosse la volontà di farlo, non sarebbe così poi tanto difficile: Perché di certo, non stiamo parlando di semplici picciotti ma forse, di qualche picciotto “travestito” da persona perbene.
E adesso che, il dossier Mafia-Appalti ha acquisito una certa attenzione, (dossier redatto da quegli stessi uomini che organizzarono l’operazione Alessio/Svetonio), potrebbe essere l’occasione giusta, per poter finalmente attribuire delle eventuali responsabilità, che hanno di fatto concesso un enorme vantaggio al super latitante e provocato, non solo un’ondata di delegittimazione nei confronti della famiglia del prof. Vaccarino ma anche di averla estremamente esposta ad eventuali ritorsioni.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che Vaccarino, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006, quando venne sentito in merito alla sua corrispondenza con l’allora latitante – concordata con il SISDE – indicò in Alfonso Tumbarello, il medico di Castelvetrano, l’uomo che aveva fatto da tramite a un incontro con il fratello di Matteo Messina Denaro.
È giunto il momento di fare davvero chiarezza.
Come diceva Armando Palmeri, del quale sono stata prima della sua morte consulente tecnico, per capire esattamente tutto ciò che è successo, bisogna usare la tecnica del gambero: Partire dai fatti e dalla situazione di oggi, per comprendere ciò che è successo prima e soprattutto perché.
- Lei fa riferimento all’ex collaboratore di giustizia deceduto pochi giorni prima di essere sentito a Caltanissetta, dove avrebbe dovuto raccontare di presunti incontri tra uomini dei servizi segreti italiani e uomini di “cosa nostra”, in merito a un piano sovversivo che avrebbe stravolto il sistema democratico del paese? Quindi, in parte vengono elogiate alcune attività dei servizi, mentre per altre si avanzano seri dubbi sul loro operato?
- La storia è fatta di uomini, momenti e attività diverse. Non si possono beatificare e incensare tutte le operazioni, tutti gli uomini e tutti i periodi delle attività dagli stessi svolte. Fin qui parliamo dell’operazione Alessio-Svetonio, poi avremo modo di trattare altri aspetti, alcuni inediti, che vedono coinvolti appartenenti alle istituzioni, che gettano oscure ombre sull’operato di uomini dei servizi di sicurezza…
- Torniamo allora ai pizzini… Perché sono così importanti i pizzini per i boss di Cosa Nostra?
- Quando si è latitanti e ci si deve nascondere, non è facile comunicare con l’esterno, con i picciotti o con la famiglia. Dare direttive, verificare fatti e circostanze è estremamente complicato, perché per garantire una buona latitanza, non bisogna solo limitare in un certo senso la propria libertà ma non bisogna lasciare alcuna traccia di sé.
L’unico modo che si ha, l’unico modo sicuro per poter comunicare, riuscendo a non esporsi troppo è proprio attraverso l’utilizzo dei pizzini che passati, di mano in mano, rigorosamente tramite persone di fiducia, arrivano a destinazione.
Scritti su carta anonima, anche di poche righe, rigorosamente in stampatello.
La scelta dello stile del carattere utilizzato nei pizzini non è per nulla casuale.
Il corsivo è uno stile di scrittura molto più personale rispetto allo stampatello, perché offre segni grafici distintivi. In questo modo, non utilizzando il corsivo, si evita di essere potenzialmente riconoscibili. Inoltre, l’utilizzo dello stampatello e’ essenziale, affinché’ il messaggio recapitato, risulti il più chiaro e comprensibile possibile all’interlocutore.
Il corsivo, infatti, se dotati di una pessima calligrafia, risulta difficile da decifrare. Per questo, la scelta è di scrivere i pizzini in stampatello. Messaggi chiari, impossibili da non comprendere.
- Cosa scriveva Matteo Messina Denaro nei pizzini?
- Con Vaccarino i temi trattati erano quelli concernenti la filosofia, la religione, gli affetti familiari e questi temi venivano dettagliatamente trattati con aumentato interesse da parte di Matteo Messina Denaro. Aveva il bisogno inappagato di conoscere ed abbracciare sua figlia Lorenza, ed è proprio per questa “apertura emotiva e interiore” da parte del latitante che Vaccarino, aveva creduto davvero nella possibilità di riuscire a stanarlo.
Matteo nel carteggio appariva sfiduciato e pessimista. Non aveva più alcuna fiducia nei Politici, diffidava degli stessi suoi presunti protettori di comodo. Li definiva “Opportunisti dei tempi grassi e disertori nelle avversità”. Al tempo stesso però, traspariva da parte sua l’idea di essere dalla parte giusta. Di aver combattuto lo stato per una giusta causa.
Si parlava anche di affari ed è per questo che insisto sul sostenere che la volontà del Sisde, fosse anche quella di individuare e tracciare, gli affari economici gestiti dal boss di Castelvetrano e non solo. Affari che come ben sappiamo, in questi anni, sono stati fiorenti e hanno permesso alla criminalità organizzata di continuare a delinquere sottotraccia, diventando al tempo stesso, delle potenze economiche. Falcone diceva sempre “follow the money”. L’operazione Alessio/Svetonio sono convinta che avesse come obiettivo preciso, anche questo.
Terminiamo qui questa prima parte dell’intervista. Nella seconda parte, affronteremo con la Dottoressa Katia Sartori l’importanza e gli aspetti tecnici della perizia dalla stessa redatta, riservandoci poi di approfondire gli aspetti relativi alle oscure attività di uomini appartenenti ai servizi segreti italiani, secondo quanto appreso dalla criminalista nel corso delle lunghe conversazioni dalla stessa intrattenute con l’ex collaboratore di giustizia Armando Palmeri.
Gjm
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Katia Sartori è anche l’autrice di un viaggio lungo 100 pagine per raccontare Matteo Messina Denaro.
Dalle origini alla sua morte, passando per le stragi, l’incredibile latitanza e il suo arresto.
Matteo nudo e crudo, senza gossip e fronzoli.
Un analisi dettagliata del suo primo interrogatorio con un intero capitolo dedicato all’operazione “Alessio/Svetonio”.
Disponibile nella versione online a soli 3 euro, come “Edizione speciale” della rivista scientifica “Criminologicamente” a cura dell’ Associazione Nazionale Formatori, Criminologi e Criminalisti
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