Giorni fa avevo scritto un articolo dal titolo “Pecunia non olet! Su cosa indagava Paolo Borsellino?”, accennando all’interesse del giudice anche sul traffico di rifiuti pericolosi o radioattivi, e alle dichiarazioni rese da Leonardo Messina, ex uomo di fiducia di Giuseppe “Piddu” Madonia (rappresentante mafioso della provincia di Caltanissetta), che dopo la strage di Capaci cominciò a collaborare con la giustizia rendendo dichiarazioni a Paolo Borsellino.
A seguito dell’attentato di via D’Amelio e della scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, spesso si è avanzata l’ipotesi che il giudice avesse scritto degli incontri – l’ultimo dei quali avvenuto due giorni prima della strage – con il pentito Gaspare Mutolo, che avrebbe narrato di collusioni istituzionali non verbalizzate.
Delle dichiarazioni di Leonardo Messina, nessuno ne fa cenno, nonostante anche queste fossero avvenute nel periodo compreso tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.
Leonardo Messina non era un personaggio di poco conto.
La sua famiglia d’origine era storicamente una famiglia di mafia.
Grazie alla sua collaborazione si arrivò all’emissione di oltre 200 mandati di cattura eseguiti in varie regioni d’Italia, oltre che alla cattura di “Piddu” Madonia, considerato uno tra i più potenti e sanguinari boss mafiosi di Cosa Nostra.
Messina, durante l’incontro con Paolo Borsellino – avvenuto il 30 giugno del 1992 – fece delle rivelazioni in merito a un presunto traffico di rifiuti, in particolare narrando dello smaltimento di scorie nucleari all’interno della miniera Pasquasia- al confine fra Enna e Caltanissetta, dove aveva lavorato – che chiuse immediatamente dopo la strage di via D’Amelio, appena otto giorni dopo la morte del giudice.
Fu anche il primo collaboratore di giustizia a parlare di Giulio Andreotti quale referente politico di Cosa Nostra.
Fatti per i quali Andreotti venne processato senza però riportare condanna alcuna, in quanto assolto dalle accuse per i fatti successivi al 1980, mentre per quelli per i quali era accusato di aver commesso precedentemente a quella data – seppure ritenuto colpevole di partecipazione ad associazione per delinquere (Cosa nostra) – venne dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione.
Un ruolo e uno spessore criminale notevoli, quelli di Leonardo Messina, che lo portarono ad essere a conoscenza di fenomeni locali come la “Stidda”, contrapposta a Cosa Nostra nella Sicilia meridionale (fu il primo a parlarne), ma anche di affari che vedevano coinvolti imprenditori e mafiosi, come il sistema di spartizione degli appalti pubblici, il cosiddetto “tavolino” o “sistema Siino”.
Tutti fatti sanciti dalle tante sentenze di condanna pronunciate da più tribunali.
Purtroppo la stessa cosa non avvenne per altre propalazioni del collaborante – il quale rese anche dichiarazioni relative alla Massoneria deviata – che nel corso di una sua audizione in Commissione Antimafia raccontò dei suoi rapporti con agenti del SISDE e dell’esistenza di accordi tra Cosa Nostra e forze politiche che miravano a destabilizzare il sistema democratico del paese.
Mafia-appalti. Dove c’è denaro c’è mafia, corruzione e collusioni.
Eppure oggi ho l’impressione che ci si sia fermati a quel luglio del ’92 quando morì il giudice Borsellino che avrebbe voluto proseguire quell’indagine avviata per volontà di Giovanni Falcone.
Ma era solo questo mafia-appalti?
Fu solo questo tassello – importantissimo, per carità – a determinare l’uccisione dei due giudici?
Può essere che Cosa Nostra e le altre mafie non fossero interessate al business dei rifiuti che stando ai soli reati accertati ammonterebbe a diversi miliardi di euro l’anno?
Aveva ragione Leonardo Messina nel sostenere che la miniera di Pasquasia era stata utilizzata per smaltire rifiuti nucleari?
Quel che è certo, che apparve quantomeno strana la chiusura improvvisa di una miniera che rendeva l’80 per cento della produzione di sali potassici dell’Italkali, che era la terza fornitrice mondiale della materia.
Prima delle dichiarazioni di Leonardo Messina, l’Ente nazionale per l’energia atomica aveva fatto dei sondaggi scavando una profonda galleria che venne poi sigillata.
Ancora una volta, a parlarne è Leonardo Messina, il quale sostiene che proprio durante quel periodo uomini del Sisde avrebbero cercato contatti per stoccare all’interno di quei cunicoli materiale bellico.
Vero o non vero che sia, sta di fatto che l’incidenza di patologie tumorali in quella zona della Sicilia, in pochi mesi aumentò del 20% raggiungendo picchi di gran lunga superiori alle aree più inquinate del nostro paese.
Un dato che non sfuggì all’oncologo Maurizio Cammarata, e che portò anche qualche semplice cittadino a cercare di capire cosa nascondessero le viscere della miniera.
Il dato rilevato utilizzando contatori geiger acquistati in rete, fu agghiacciante
Nonostante gli strumenti utilizzati all’epoca non fossero quelli di ultima generazione che conosciamo, e i cui sensori avrebbero potuto dare valori inferiori – specie all’aperto – all’attività del fondo naturale, nell’area della miniera la radioattività era pari a quella rilevata in zone interessate da precedenti esperimenti nucleari.
La voce si sparge, la gente inizia a parlare di troppe morti per patologie tumorali e iniziano così le attività d’indagine da parte della procura di Caltanissetta, guidata da Giovanni Tinebra, che dureranno per circa sei anni, trascorsi i quali, nel 2003, verrà tutto archiviato.
Dopo la strage di via D’Amelio, le dichiarazioni di Leonardo Messina verranno messe in discussione, rendendo impossibile ricostruire e trovare riscontri a ciò che realmente il pentito disse a Paolo Borsellino.
Otto giorni dopo la strage, la miniera rimane abbandonata, senza alcuna guardiania e aperta a qualunque incursione.
Soltanto quattro anni dopo gli ingressi al sottosuolo verranno saldati.
Indagini, commissioni parlamentari, sequestri delle aree interessate, non hanno mai chiarito i misteri di Pasquasia, visto che mancarono i riscontri obiettivi alla presenza di materiali radioattivi.
La stessa galleria, scavata dall’Enea, non fu infatti mai ispezionata, poiché le tonnellate di cemento con le quali era stata chiusa hanno posto una pietra tombale sul suo contenuto.
Solo leggende metropolitane?
Di traffici di rifiuti e di armi, non fu solo Leonardo Messina a parlarne.
Anche il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori ne narrò nel corso delle sue propalazioni, e non fu l’unico neppure lui, poiché pure Carmine Schiavone, boss dei Casalesi, rese dichiarazioni su un traffico di rifiuti che non riguardava solo l’Italia, ma che venivano comunque smaltiti grazie a un sistema unico dalla Sicilia alla Campania.
Molti di coloro i quali vennero a conoscenza, o si interessarono dei presunti traffici, sono ormai morti.
È morto Paolo Borsellino, che ne aveva appreso da Leonardo Messina; è morto l’avvocato Fragalà, che proprio su Pasquasia aveva presentato da deputato un’interrogazione parlamentare, e per il cui omicidio nel marzo di quest’anno la Cassazione ha confermato la condanna di uomini di Cosa Nostra, ritenendo che il movente sia stato il voler punire un legale che aveva la tendenza a far collaborare con la giustizia i suoi clienti; è morto Mauro Rostagno, il giornalista scomodo che sui rifiuti stava conducendo un’inchiesta giornalistica; è morto il Maresciallo Antonino Lombardo, interessato anche lui alle cave presenti nel suo territorio.
Più di recente, è morto per cause naturali – almeno così pare – un altro collaboratore che qualcosa diceva di sapere di traffici tra Cosa Nostra e Camorra, nonché di strani rapporti tra uomini dei servizi di sicurezza ed esponenti di famiglie mafiose.
L’inchiesta giornalistica della trasmissione ‘Far West’ di Salvo Sottile, in onda su Rai 3, lega con un filo sottile la strage di via D’Amelio e gli interessi di Cosa Nostra al mondo delle cave.
Lo fa con le cave di marmo delle Alpi Apuane e le società riconducibili ai fratelli Buscemi, a Totò Riina e alla Calcestruzzi di Raul Gardini.
Uno strano mondo, però, quello siciliano, dove gli interessi di Cosa Nostra sembrano migrare oltre lo stretto di Messina, e non in casa propria.
Un mondo destinato a rimanere avvolto dalle nebbie, nel quale si muovono anche soggetti esterni al mondo della mafia, dell’imprenditoria e della politica.
Negli anni continua ad allungarsi la catena delle morti dovute a patologie tumorali nelle zone interessate da questi insediamenti in Sicilia, ma forse anche quella di strane morti che riguardano chi diceva di sapere di queste presenze esterne e degli incontri prodromici alle stragi.
La borsa di Paolo Borsellino, oltre la famosa agenda rossa e il fascicolo di Gaspare Mutolo, non conteneva nulla rispetto le dichiarazioni di un pentito che pareva saperla lunga, e che solo pochi giorni prima aveva rilasciato al giudice ucciso dichiarazioni in merito ai traffici di rifiuti radioattivi, agli interessi di mafia e all’intervento di soggetti esterni?
E se anche è vero che il detto vuole che tutte le strade portino a Roma, talvolta qualcuna porta anche alla Svizzera…
Gian J. Morici