Ci sono casi in cui è difficile separare i fatti di mera cronaca giudiziaria dagli aspetti umani e dalle tante storture che inevitabilmente finiscono con il massacrare l’esistenza di un uomo e dei suoi affetti più cari. E questo, è uno di quei casi…
Ho conosciuto Antonio Vaccarino durante il periodo in cui seguivo il processo in corso a Caltanissetta, che vedeva imputato il latitante Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92.
È impossibile scrivere di Matteo Messina Denaro e non imbattersi nella figura di Svetonio, lo pseudonimo con il quale Vaccarino, collaborando con il Sisde per la cattura del latitante, intrattenne con quest’ultimo un contatto epistolare.
Incontrai l’ex sindaco di Castelvetrano, non facendomi molte illusioni su quello che avrebbe avuto da dirmi.
Vaccarino era pur sempre un ex detenuto che aveva scontato diversi anni di carcere a Pianosa con accuse gravissime per fatti di mafia, e se pur assolto dalle accuse di mafia, rimaneva l’ombra di una condanna per traffico di stupefacenti.
Quel giorno, nel suo ufficio a Castelvetrano, non mi colpì la gentilezza e la signorilità dell’ex sindaco di Castelvetrano.
So per esperienza che anche soggetti appartenenti o vicini a “cosa nostra”, si presentano come persone gentili, molto disponibili, a volte eccessivamente ossequiose.
No, quello che mi colpì fu il fatto che Vaccarino non volle raccontarmi la “sua verità” – alla quale comunque non avrei prestato molta fede – limitandosi a porgermi una corposa carpetta, accompagnandola con poche parole: “La prego di leggere tutto quello che contiene e solo dopo essersi fatto una sua idea, decida cosa vuol scrivere”.
Tornai a casa forse quasi maledicendo il momento in cui avevo contattato l’ex sindaco. Centinaia di pagine da leggere, e neppure due righe da scrivere.
Iniziai a leggere. Sentenze, verbali d’udienza, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, tutto provava come quell’uomo fosse stato ingiustamente accusato di aver fatto parte di “cosa nostra”. Iniziai a scrivere. Intervistai Vaccarino, che questa volta decise di raccontarmi il suo triste calvario.
Il castello accusatorio si basava sulle dichiarazioni di un presunto collaboratore di giustizia che nel tempo sarebbe stato smentito da sentenze e da altri collaboratori di giustizia – questi sì appartenenti a “cosa nostra” – che avrebbero demolito la figura di Vincenzo Calcara (questo il nome dell’accusatore di Vaccarino), di recente, al processo svoltosi a Caltanissetta e che ha portato alla condanna all’ergastolo di Matteo Messina Denaro, indicato come un “inquinatore di pozzi” e “collaboratore eterodiretto”.
Una figura, quella di questo ex collaboratore, che già oltre 20 anni fa era stata stigmatizzata in più di una sentenza: un soggetto estraneo all’organizzazione mafiosa, e proclive al mendacio.
Eppure, nonostante ciò, anche fino a pochi mesi fa, c’erano magistrati che per supportare le proprie accuse in danno di imputati – Vaccarino compreso – continuavano ad avvalersi delle sue propalazioni.
Nonostante tutto, rispetto la prima condanna di Vaccarino negli anni ’90, rimaneva un neo. Quella condanna per traffico di droga in merito alla quale non c’era nulla che dimostrasse il contrario di quello che i giudici avevano scritto nella sentenza.
Vaccarino poteva aver preso parte a un imponente traffico internazionale di droga, senza che “cosa nostra” c’entrasse nulla? Secondo i giudici, evidentemente, sì.
Nel corposo fascicolo che l’ex sindaco di Castelvetrano mi aveva consegnato, mancava qualche documento. Fu così che facendo delle ricerche, aiutato un po’ dalla fortuna e dalle indicazioni di uno dei suoi avvocati, entrai in possesso di altri atti giudiziari.
Per chiudere anche il capitolo dell’infamante carcerazione che aveva distrutto psicologicamente e fisicamente Vaccarino (a Pianosa aveva anche subito torture) sarebbe stato sufficiente valutare attentamente un solo passaggio che avrebbe dovuto portare a non dar eccessivo credito al “pentito” sulle cui dichiarazioni si era imperniato il processo: il corriere internazionale di droga – indicato e riconosciuto in aula da Calcara – era un cittadino turco con precedenti specifici, che dal processo che vide condannato Vaccarino per questo traffico, veniva assolto poichè per il periodo in cui veniva indicato dal “pentito” quale corriere, “il turco” si trovava in carcere in Turchia.
Inutile dilungarsi su altri aspetti emersi nel corso di diversi processi, che avrebbero permesso di riscrivere la storia del “pentito” e di quel processo per traffico di stupefacenti.
Le lunghe mani della giustizia, talvolta, non si formalizzano per gli errori e non sempre hanno bisogno di prove inconfutabili.
Vaccarino, si sarebbe portato per sempre addosso l’onta di quella condanna. E forse fu solo per questa ragione, per la sua determinazione nel volerla cancellare con una revisione del processo che gli restituisse la sua rispettabilità, che tornò in carcere.
Un nuovo arresto, una nuova condanna. Sei anni di carcere per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento con l’aggravante mafiosa, con il coinvolgimento nella vicenda di due carabinieri.
Secondo l’accusa – dalla quale scaturì il processo terminato con la sentenza di condanna emessa lo scorso 2 luglio dal Tribunale di Marsala – l’ex sindaco di Castelvetrano avrebbe rivelato a un condannato per mafia il contenuto di un’intercettazione ricevuta da un colonnello della D.I.A.
Per dovere di cronaca, va evidenziato come né l’uomo al quale Vaccarino avrebbe rivelato i contenuti dell’intercettazione, né i soggetti intercettati, erano indagati, e – particolare di non poco conto – i contenuti di quell’intercettazione apparivano del tutto insignificanti ai fini delle indagini sul latitante Matteo Messina Denaro.
Dura lex, sed lex! La legge è dura, ma è legge!
Non entriamo nel merito degli aspetti giudiziari della vicenda, se non per porre in evidenza come anche in questo nuovo procedimento penale l’accusa abbia ritenuto di dover supportare il castello accusatorio poggiandolo su “solidi pilastri”.
Alla luce di quanto emerso anche nel corso del processo a Matteo Messina Denaro a Caltanissetta, li si potrebbe paragonare ai pilastri del Ponte Morandi di Genova.
Infatti, molti degli atti prodotti dall’accusa, riguardavano le dichiarazioni del “pentito” Calcara. Datate di decenni, smentite dalla sentenza di assoluzione di Vaccarino per i fatti di mafia e da diversi collaboratori di giustizia.
Ma la storia giudiziaria, è storia giudiziaria, e spetta a giudici e avvocati stabilirne la verità.
La vicenda umana
La domanda è: in quale altro Paese un uomo che versava nelle condizioni in cui si trovava Vaccarino, sarebbe stato ritenuto in condizioni di salute tali da essere arrestato, portato in carcere e poi dichiarato compatibile con il regime carcerario?
Vaccarino, anziano e già affetto da gravi patologie cardiache, il giorno successivo alla sentenza di condanna – già detenuto in regime di custodia cautelare – viene trasportato urgentemente al pronto soccorso a causa di un forte dolore al torace.
Secondo i responsabili del servizio sanitario del penitenziario, il detenuto era in pericolo di vita.
Inizia il calvario
Ricoverato in prognosi riservata, viene sottoposto a coronarografia e intervento di angioplastica con impianto di stent medicato.
Dimesso qualche giorno dopo, riportato in cella, lo stesso giorno a causa di una fibrillazione atriale permanente e gravi crisi ipertensive, ne viene disposto nuovamente l’invio in ospedale.
L’ex sindaco di Castelvetrano, si abbandona alla sofferenza e rifiuta il secondo ricovero.
I legali di Antonio Vaccarino – Giovanna Angelo e Baldassare Lauria – i cui periti di parte avevano evidenziato l’incompatibilità del detenuto con il regime carcerario, chiedono più volte il differimento della pena per il loro assistito, le cui condizioni cliniche peggiorano giorno dopo giorno, mentre i periti nominati dal tribunale, continuano a ritenerle compatibili con il regime carcerario.
A nulla serve neppure la richiesta avanzata dalla difesa di un ricovero ospedaliero presso una struttura cardiologica, dettato anche dal fatto che gli stessi periti nominati dal tribunale ritengono sia necessario che il detenuto venga sottoposto a intervento di impianto di pacemaker, senza il quale, è in pericolo di vita.
Il giudice che lo ha condannato, e al quale vanno rivolte le istanze, nel sollecitare più volte la struttura penitenziaria affinchè si provveda a installare l’impianto di pacemaker al detenuto, continua a rigettare ogni richiesta della difesa.
Se provvede la struttura penitenziaria va bene, altrimenti anche senza pacemaker deve rimanere in cella.
A Vaccarino non rimane altro che attendere il ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado, per chiarire la propria posizione processuale, ma trascorsi i 90 giorni di tempo per il deposito della sentenza di condanna, mentre le sue condizioni di salute si aggravano, a causa della mole di lavoro il giudice chiede una proroga.
Nonostante le plurime richieste di revoca della misura custodiale in carcere presentate dai suoi difensori, e nonostante anche i Ctu nominati dal tribunale di Marsala evidenzino da mesi come senza l’installazione di un pacemaker Vaccarino rischi un improvviso blocco atrioventricolare, fin quando la sentenza non viene depositata deve rimanere in cella senza poter presentare appello e senza potersi rivolgere ad altri giudici per chiedere un differimento della pena.
A giudicare le sue condizioni di salute e la compatibilità con il regime carcerario, continueranno a essere chi lo ha condannato e i periti di sua fiducia.
A nulla serve neppure evidenziare come la situazione epidemiologica da coronavirus stia colpendo l’intera popolazione carceraria, e che l’avanzata età di Vaccarino e le gravi e molteplici patologie che lo affliggono non fanno altro che aumentare il rischio vita già ampiamente rilevato dai CTU e CTP.
Neppure quando nel mese di marzo la Uilpa Polizia penitenziaria esprime preoccupazione per l’incremento dei casi di Covid 19 all’interno dell’Istituto Penitenziario di Siano – dove Vaccarino è detenuto – si ritiene opportuno dare a quest’uomo la possibilità di ritornare a casa e curarsi.
Ancora una volta, dura lex, sed lex!
Ironia della sorte, il giorno successivo l’ennesimo rigetto di istanza di differimento della pena perché non fosse esposto al rischio di contagio da Covid-19, Vaccarino risulterà positivo.
Boia Covid
Dopo oltre un anno di carcere preventivo, l’ex sindaco di Castelvetrano nel penitenziario di Catanzaro, oltre ad accusare continue fibrillazioni atriali e gravi crisi ipertensive, ha contratto il Covid.
Passano i giorni, fin quando il detenuto Vaccarino viene trasferito in ospedale a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni cliniche.
Ricoverato in terapia sub intensiva, la Corte d’appello di Palermo, presieduta dalla giudice Adriana Piras, accoglie finalmente l’istanza urgente di concessione dei domiciliari presentata dai suoi difensori, rilevando che sono venute meno le esigenze cautelari.
“Il predetto (Vaccarino – ndr), nel reparto di terapia sub intensiva, non risponde alla terapia e risulta prossimo al ricovero in rianimazione” – si legge nell’ordinanza con la quale la Corte precisa di avere ricevuto la relazione medica dell’ospedale solo dopo molteplici sollecitazioni.
I domiciliari
Finalmente Vaccarino è ai domiciliari. Non sono quelli che poteva immaginare. Non c’è la moglie, non ci sono i figli. Attorno a lui soltanto medici e infermieri. È ai domiciliari sì, ma all’ospedale, nel reparto Covid.
Le sue giornate trascorrono sul letto, sottoposto a terapie e ossigeno ad alti flussi per far fronte all’insufficienza respiratoria.
Poi è la Niv, che per chi non lo sapesse è l’ultimo tentativo di ventilazione non invasiva per evitare l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica.
Passano i giorni, ed è necessaria la terapia intensiva, l’intubazione. E poi la fuga…
Il detenuto Vaccarino, tenuto in una struttura penitenziaria per oltre un anno nonostante le precarie condizioni di salute e l’età avanzata, il 19 maggio è riuscito a fuggire. Se ne è andato…
Si è sottratto a quella giustizia che lo aveva visto detenuto torturato a Pianosa per oltre sei anni; a quella giustizia che ha ritenuto di dover aspettare per quasi un anno che gli venisse installato un pacemaker senza il quale era in pericolo di vita, e che non gli venne mai installato; a quella giustizia che, evidentemente, non riteneva fosse a rischio di contrarre il Covid.
Vaccarino è fuggito, magari qualche giudice vorrà condannarlo per questa sua fuga? Un pm lo si può sempre trovare, qualcuno di quelli che sosterrà che il pericolo di fuga era reale, tant’è che il detenuto è evaso.
Eh no Vaccarino, questo non si fa.
Non si può sempre voler dimostrare qual è la verità. Non si possono contestare giudici, e periti, dimostrando che le cose stanno diversamente.
Passi il tentativo di revisione della condanna riportata negli anni ’90. Passi la sua collaborazione con il Sisde perché venisse catturato Matteo Messina Denaro. Passi anche l’ultima collaborazione, a seguito della quale è tornato in carcere, ma fuggire dentro una bara solo per dimostrare che il Covid in carcere c’era, che le sue patologie non le avrebbero permesso di sopravvivere, che se solo le avessero consentito di curarsi, anche ai domiciliari, oggi sarebbe ancora vivo, non è stata un’esagerazione?
O forse si è trattato soltanto dell’applicazione della pena inflitta a un presunto innocente (in Italia vale la presunzione di innocenza anche per chi è stato condannato in primo e in secondo grado, ma non ancora nel terzo, con sentenza definitiva, e Vaccarino non ha avuto neppure la possibilità di ricorrere in appello) la cui condanna non scritta in sentenza, era: “Fine pena mai!”
Giustizia è fatta!(?)
Gian J. Morici
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