ovvero vita e opere dell’uomo fattosi Giustizia e Verità assolute…

Chissà quante notti insonni avranno trascorso Massimo Giletti ed Antonio Ingroia per dare alla luce la loro ultima creatura letteraria.
Il titolo “Traditi” – lapidario e plurale – li accomuna nell’idea di essere stati ingannati, raggirati e offesi da un sistema in cui la Verità è una meta impossibile da raggiungere.
Potrebbe essere la scoperta dell’acqua calda se è vero che la nostra civiltà cristiana ha, come simbolo, un supporto ligneo sul quale fu crocifisso colui che proprio Verità e Giustizia cercava.
L’apoteosi dell’impossibile lotta – nel soliloquio a due voci – si trasforma in qualcosa di biblico in cui il ciclope del male, in forma di un’Idra dalle mille teste, vince sul tanto valoroso quanto sfortunato magistrato.
Ma quella lotta, durata più della guerra dei trent’anni, consegna al lettore l’idea che l’eroismo umano esiste ed ha avuto il suo uomo da ammirare come i “suoi maestri” martiri che lo hanno preceduto.
Per chi conosce dall’interno alcune tra le dinamiche giudiziarie ricostruite dal solitario ed incompreso eroe della giurisdizione, un moto di ilarità sorge spontaneo.
Ad esempio, allorché assume che la nomina all’interno della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo avvenisse secondo criteri di puro merito distinto e non con la tessera di Magistratura Democratica ben spillata sulla toga.
L’enfasi agiografica, però, nel corso del racconto si infrange contro la sua stessa verità storica e diventa il più grande assist a favore della separazione delle carriere.
Non era sicuramente nelle intenzioni degli autori fare propaganda elettorale con questo libro, ma – almeno su questo scenario – ci sono pienamente riusciti.
Basterà leggere questo passaggio per capire quale voto dovrà esprimersi al prossimo referendum.
Lì dentro c’è tutto quello che la magistratura non dovrà più essere…
Massimo Giletti:
“Domanda secca: perché ha lasciato la magistratura?
Antonio Ingroia:
A domanda secca non esiste, in questo caso, una risposta secca.
Le motivazioni sono tante.
La prima riguarda soprattutto la progressiva disaffezione che ho provato verso i miei stessi colleghi, soprattutto verso i colleghi sui quali più contavo, dei quali più mi fidavo, gli esponenti della mia stessa corrente giudiziaria.
Alla fine, sono rimasto stritolato anch’io dal correntismo giudiziario, benché da magistrato fossi un convinto assertore della necessità delle correnti e dell’associazionismo.
Ma con il tempo mi ha preso un progressivo senso di straniamento che mi ha indotto a lasciare la magistratura…”
Lorenzo Matassa