
Nessun riscontro e gravi dubbi di credibilità per l’ex killer dei Santapaola. Una narrazione, quella di Avola, che era già stata ritenuta dai PM della Procura, guidata all’epoca da Gabriele Paci, un ennesimo tentativo d’insabbiamento delle indagini sull’omicidio di Paolo Borsellino.
Il racconto del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, contenuto nel libro “Nient’altro che la verità” di Michele Santoro, infine, non ha convinto gli inquirenti di Caltanissetta, culminando nell’archiviazione dell’inchiesta sulle stragi di Capaci e via D’Amelio a carico di alcuni boss catanesi.
Maurizio Avola, collaboratore di giustizia, era tornato al centro dell’attenzione mediatica per le sue dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio del 1992, in cui morì il giudice Paolo Borsellino, scatenando una forte controversia, ponendo l’accento soprattutto sulla sua insistenza nel negare il coinvolgimento di mandanti esterni a Cosa Nostra.
Avola aveva ammesso la sua personale partecipazione all’attentato e aveva fatto i nomi di altri esecutori, tra cui Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Aldo Ercolano, escludendo la presenza di soggetti esterni nella fase preparatoria della strage, affermando che la persona sconosciuta avvistata da Gaspare Spatuzza nel garage dell’autobomba era lui stesso o Ercolano.
La sua versione era stata divulgata anche tramite un’intervista rilasciata nel 2021 a Michele Santoro – che aveva poi pubblicato il libro – suscitando la reazione delll’allora capo della Direzione distrettuale antimafia (DDA) nissena, Gabriele Paci, che aveva smentito i fatti narrati ed espresso un giudizio fortemente negativo sulla credibilità di Avola, evidenziando come la pubblicazione del libro e le interviste avessero compromesso l’esito di future indagini.
Secondo i magistrati di Caltanissetta i sospetti sulla totale falsità del narrato erano forti. L’ex killer dei Santapaola, che dopo quasi trent’anni si era autoaccusato della strage di via D’Amelio, descrivendosi come l’uomo sconosciuto avvistato da Gaspare Spatuzza nel garage e sostenendo di aver comunicato a Giuseppe Graviano il momento esatto dell’esplosione, tendeva con le sue rivelazioni a “riempire tutti i buchi” della ricostruzione della strage.
In particolare, i PM ritenevano che Avola mirasse specificamente a coprire quei dettagli non conosciuti dal pentito Gaspare Spatuzza riguardo a possibili presenze esterne a Cosa nostra nelle fasi organizzative ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio.
Per i PM, il racconto dell’ex mafioso di Catania sembrava ideato appositamente per risolvere tutti i misteri della strage, con il risultato di bocciare definitivamente qualsiasi ipotesi di responsabilità esterne alla mafia. L’effetto cercato era, in sostanza, quello di addebitare la responsabilità delle stragi esclusivamente a Cosa Nostra.
Nonostante la magistratura nissena di Paci ne avesse evidenziato il potenziale scopo depistatorio, volto a escludere altre piste, una specifica corrente di pensiero ha sempre teso ad attribuire la responsabilità delle stragi solo a ‘Cosa nostra’, scagionando possibili mandanti esterni per dare spazio unicamente agli interessi mafiosi legati all’indagine mafia-appalti condotta dai Ros del generale Mario Mori.
La linea dell’allora Procura di Paci, è stata pienamente accolta dal GIP di Caltanissetta, Santi Bologna, che ha disposto l’archiviazione del procedimento a carico dei boss catanesi Aldo Ercolano, Marcello D’Agata ed Eugenio Galea.
Il GIP ha infatti evidenziato una serie di elementi che incidono negativamente sulla credibilità di Avola, dalla scelta di parlare dopo ben 25 anni e la successiva fuoriuscita dal programma di protezione a causa della commissione di reati, alle contraddizioni sul luogo.
Secondo gli inquirenti, mentre Avola sosteneva di essere a Palermo per l’attentato, era in realtà a Catania con un braccio ingessato (che lui ha poi definito una falsa ingessatura).
Il GIP ha contestato punto per punto la ricostruzione di Avola, rilevando in alcuni punti una palese contraddittorietà e definendo il suo racconto totalmente privo di riscontri su elementi chiave, come il furto di un furgone per un “piano B” e le modalità dell’attentato.
Gian J. Morici