
A esprimere forti critiche nei confronti dell’operato dell’attuale Commissione parlamentare antimafia presieduta da Chiara Colosimo., in un’intervista rilasciata a “Il Foglio”, è stato il giurista Giovanni Fiandaca, professore emerito di Diritto penale all’Università di Palermo, che ha denunciato una “sovrapposizione di indagini in corso” e una vera e propria “invasione di ‘terreni che non le competono'”.
In particolare, Fiandaca ha evidenziato come la Commissione stia conducendo indagini sulla strage di via D’Amelio, un ambito che, a suo dire, spetterebbe esclusivamente ai pubblici ministeri. Questa condotta renderebbe la Commissione uno “strumento di confusiva sovrapposizione rispetto al lavoro della magistratura”.
Una posizione netta a tal punto da sostenere, senza se e senza ma, che questa commissione andrebbe chiusa.
Al di là delle valutazioni tecnico-giuridiche espresse da Fiandaca, rispetto le quali non si può non essere d’accordo; al di là della presunta ingerenza da parte del generale Mario Mori, di tentare di influenzare l’orientamento della Commissione rispetto il movente della strage di via D’Amelio individuandolo nel dossier mafia-appalti, permangono dubbi sul modus operandi della suddetta Commissione rispetto la reale ricerca della verità, a prescindere che abbia competenza o meno nel condurre una propria indagine.
Assunto questo ruolo di super-procura o procura parallela, la Commissione oggi, per una questione di ricerca della verità, di necessità di trasparenza e di cognizione dei fatti, dovrebbe desecretare l’audizione del tenente colonnello Carmelo Canale del 1997
Il confronto tra le diverse dichiarazioni, rese in momenti storici differenti e con un ricordo presumibilmente più o meno vivido degli eventi, sarebbe infatti fondamentale per comprendere l’evoluzione della narrazione di Canale e per valutare appieno la sua attendibilità e la coerenza delle sue testimonianze nel corso del tempo, se realmente questa Commissione vuole arrivare a una verità più completa sulle stragi.
La desecretazione di quegli atti, si configura come un atto doveroso per diverse ragioni.
In primo luogo, le dichiarazioni rilasciate in quell’anno sono temporalmente più vicine agli eventi delle stragi del 1992, e in particolare a quella di Via D’Amelio. Questo significa che la memoria dei fatti da parte di Canale era presumibilmente più vivida e meno soggetta a distorsioni o reinterpretazioni successive. La vicinanza temporale potrebbe aver consentito una narrazione più spontanea e aderente agli accadimenti.
In secondo luogo, emerge la possibilità di una mancanza di coincidenza tra le dichiarazioni del 1997 e quelle più recenti rese dallo stesso Canale in Commissione Antimafia. Se le ultime tendono ad accreditare la pista mafia-appalti come movente della strage di Via D’Amelio, le precedenti potrebbero offrire prospettive differenti o arricchire il quadro investigativo con elementi non ancora pienamente considerati. Questa discrepanza potenziale rende indispensabile un confronto diretto tra le diverse versioni per valutarne la coerenza e l’attendibilità.
In tal senso, è fondamentale richiamare quanto dichiarato da Canale stesso durante l’udienza del 22 febbraio 2011 del processo Mori-Obinu. In quella sede, egli precisò che l’argomento dell’incontro tra il Borsellino e i ROS, individuato in mafia-appalti, era una sua deduzione. Ancora più significativo è il passaggio in cui Canale afferma che Borsellino era convinto dell’esistenza di più di una causa per le stragi.
Perché Canale non ha voluto venissero desecretate le sue dichiarazioni del ’97, preferendo essere riaudito in Commissione, dove ipoteticamente avrebbe potuto dite tutto e il contrario di tutto ciò che aveva detto in precedenza?
Nel ’97, in Commissione antimafia, parlò del dossier mafia-appalti?
Disse che Borsellino avrebbe voluto arrestare il procuratore Giammanco (cosa che in ogni caso non avrebbe potuto fare)?
Presidente Colosimo, in questa nuova veste della Commissione divenuta strumento di indagini, faccia desecretare quell’audizione, perché non ci siano dubbi in merito a ciò che disse il tenente colonnello Canale, che potrebbe essere ben diverso da quanto rassegnato nel corso della sua ultima ri-audizione.
Quale è il timore suo e del tenente colonnello nel desecretare quegli atti?
Gian J. Morici