
C’era una volta… Chissà perché le favole debbano sempre iniziare con “c’era una volta”, e mai con: C’è!
Comunque ha poca importanza…. C’era una volta una Regina bellissima dal nome Giustizia. La storia vuole che in ogni epoca e in ogni parte del mondo allora conosciuto, venisse a lei dedicata una Dea.
Giustizia era la sposa di Re Diritto, e insieme regnavano con saggezza, rigore morale e grande onestà.
Come tutti i re e le regine, però, avevano bisogno della loro servitù: valletti, paggi, scudieri, camerieri, lacchè, cortigiani e maestri di palazzo, ai quali, secondo il ruolo venivano affidati incarichi di responsabilità.
Più grande diventava il loro regno, più avevano bisogno di chi amministrasse per loro conto e in loro nome. Accadde così che – con il passare dei secoli – l’imperitura coppia dovette avvalersi di tanti servi di Corte da superare per numero i servi della gleba che dovevano amministrare per conto dei regnanti.
Passavano gli anni, i decenni e i secoli, e la coppia regnante, seppure immortale, cominciò a cedere sotto il peso della vecchiaia.
Durante il loro plurimillenario regno, Diritto e Giustizia ebbero diversi figli. Purtroppo, ogni qualvolta si affacciava al mondo qualche loro degno erede, abili stregoni del castello facevano sì che si ammalasse. E laddove questo non accadeva, i più nobili cortigiani si riunivano e ne decretavano la morte violenta.
Nessuno di costoro voleva infatti perdere il potere di ammnistrare in proprio in nome dei regnanti, che spesso, essendo soli, non potevano accorgersi delle loro nefandezze.
Dai maestri di palazzo ai lacchè, ai cortigiani e ai camerieri, tutti facevano a gara per amministrare poteri e denari per proprio tornaconto.
Fu così che questi, pur di fare i propri comodi, nel tempo si videro costretti a garantire l’impunità non soltanto ai servi prebendari, ma anche a quelli casati.
Anche un lacchè, coinvolto nelle malefatte di palazzo, dovette assoldare un servo perchè coprisse le sue magagne.
Un servo senza ne arte e né parte, senza cultura, se non quella violenta del sangue – ovviamente quello di persone inermi e indifese -, ma a modo suo, seppure infimo servo di altri, così furbo da sapere approfittare del suo padroncino al quale spillava denari e favori.
L’uomo ebbe la fortuna di entrare nelle grazie anche di nobili cortigiani, ignari del fatto che il servo fosse espressione del potere del lacchè. Certo, non tutti ne erano inconsapevoli, i più furbi cortigiani fecero presto a mettersi a servizio del potente lacchè, aiutandolo a diventare Maestro di Palazzo.
Fù così che un bel giorno, o per meglio dire un brutto giorno, l’ignobile servo, entrato in uno dei palazzi della Regina Giustizia, consapevole del bisogno che l’ormai Maestro di Palazzo aveva di lui affinchè non raccontasse le sue malefatte, ebbe anche la tracotanza di narrare un episodio inedito che lo aveva visto ancora una volta sporcarsi le mani di sangue.
Se solo fosse stata presente la Regina Giustizia l’indegno servo, finanche impostore, sarebbe finito a penzolare dalla forca. Le cose invece andarono diversamente, e un giudice sordo fece finta di non aver sentito.
Giustizia e Diritto, intanto, da tempo si erano gravemente ammalati. Nessun medico pare riuscisse a curarli.
Il nostro servo, che servo era e servo rimaneva, preso da delirio di onnipotenza, rubò una gallina dinanzi al palazzo della Regina.
Prove e controprove potevano dimostrare quel piccolo reato – piccolo rispetto il curriculum del lestofante – che non poteva certo mandarlo sulla forca, ma un po’ di frustate e qualche giorno di gogna sarebbero stati comunque un’adeguata punizione.
Ma Gustizia e Diritto ormai non regnavano più da tempo, e il farabutto, si racconta, la fece franca ancora una volta.
Pare infatti che il furto della gallina venne rubricato nello schiaffo alla luna; un reato che non aveva commesso l’gnobile individuo, e che a differenza del furto di cui era accusato sarebbe finito comunque con un’ennesima assoluzione.
Come in tutte le favole, il finale è lieto: …e tutti vissero felici e contenti nel Regno di Diritto e Giustizia.
Tutti? Forse non proprio, ma valletti, paggi, scudieri, camerieri, lacchè, cortigiani e maestri di palazzo, che nel tempo avevano ben compreso da quale parte convenisse stare, certamente felici e contenti lo furono, acclamati anche dal popolo e dagli scrivani di palazzo che per i posteri, e per i secoli a venire, ne narrarono le eroiche gesta.
Di Giustizia e Diritto, da allora e fino ai giorni nostri, si perse ogni traccia. Sebbene immortali nell’ideale, vennero uccisi dalla corruzione e dagli interessi personali di chi era chiamato a servirli.
Quello che rimane di loro, lo raccontano i cimiteri, dove le tombe dei loro eredi, nonostante di degni ancora ce ne siano tanti, sembra vogliano essere da monito a chiunque pensi di calcarne le orme.
Gian J. Morici