
È questo il titolo di un articolo di ieri (5 giugno 2025) a firma di Davide Milosa, pubblicato dal Fatto Quotidiano, che riassume come la storia della Squadra Fiore inizia da cinque scatti fatti col cellulare dall’hacker Sam Calamucci, nel febbraio 2024 a Roma, durante un incontro al quale prendono parte l’imprenditore romano Lorenzo Sbraccia, l’ex superpoliziotto Carmine Gallo e l’hacker Sam Calamucci.
Una vicenda complessa e delicata, che vede descritta la “Squadra Fiore” viene descritta come un presunto servizio segreto parallelo, ma anche – oltre ad appartenenti alle forze dell’ordine – anche quello di ex appartenenti ai nostri servizi di sicurezza, a quelli israeliani e dipendenti dell’ambasciata americana, nonché una società a stelle e strisce che forniva copertura. Ma di società americane, a vario titolo, ne compare ben più di una.
Del resto non c’è sa meravigliarsi se i servizi segreti di mezzo mondo avevano interessi in quel mondo ambiguo rappresentato dal gruppo della Squadra Fiore, dai cui atti d’indagine emerge l’ipotetico impatto che le attività del gruppo avrebbe potuto avere su figure di rilievo; basti pensare all’utilizzo dei molteplici strumenti d’intercettazione nelle disponibilità del gruppo, come quella che vide impiegato Carmine Gallo e altri nel monitoraggio anche del “Head of Structured Finance” per l’Italia di “JP Morgan, il colosso dei servizi finanziari che è una delle quattro banche più grandi degli Stati Uniti.
E di collegamenti con gli americani non fanno mistero De Marzio Vincenzo e Calamucci Nunzio Samuele, quando Calamucci fa riferimento a un gruppo su Roma che lavora per le grandi aziende e sono solo Carabinieri, e De Marzio lo avvisa che il 50% di questi sono operativi per gli americani.
Migliaia di pagine d’inchiesta, dalle quali emergono anche storie di omicidi, ovviamente tutti da provare, legati a risvolti economici o di potere, tipici dei contesti di spionaggio o di servizi paralleli.
Un mondo variegato e pericoloso, nel quale pochi giornalisti hanno il coraggio di addentrarsi (come nel caso di Fabrizio Gatti), quando, nelle migliore delle ipotesi, il rischio è quello di essere screditati.
Un metodo che ricorda la sentenza del Tribunale di Cagliari, del 28/10/2024, che vide coinvolti appartenenti al gruppo Facebook “Bruzzone & Co.”, i quali, muovendosi all’unisono, su più siti online e piattaforme, screditavano la criminologa sarda Elisabetta Sionis, anche con profili fake e con condotte reiterate di minacce e molestie.
Metodi – a esclusione delle minacce – applicati costantemente da giornalisti, blogger, gruppi social e singoli profili, che è veramente difficile non immaginare collegati tra loro al solo fine di “neutralizzare” chiunque si metta di traverso a interessi che vanno ben al di là di quella manovalanza che è rappresentata dalla cosiddetta “criminalità organizzata”.
Purtroppo in tale contesto, non meno danno fanno soggetti molto originali, che pur perorando altre piste oltre quelle mafiose che portarono alle stragi del ’92 e del ’93, offrono ai gruppuscoli di cui sopra un assist inatteso per ridicolizzare ogni possibile coinvolgimento di appartenenti ad apparati istituzionali, anche stranieri, nelle torbide vicende di quegli anni.
Non si può affermare che dietro tutte le stragi italiane ci sarebbe la Cia, senza fare alcun riferimento concreto, ma ancor peggio evidenziare che “vicino al Bar Doney, dove Spatuzza incontra Graviano “gioioso” dopo l’incontro con Berlusconi e Dell’Utri, non si registra solo la vicinanza dell’hotel Majestic (dove in quei giorni si teneva la convention per l’ormai prossima Forza Italia), ma anche dell’ambasciata americana. “Graviano, vestito a festa, gira l’angolo e va all’ambasciata per cercare garanzie. Si dovevano colpire centinaia di carabinieri all’Olimpico. Sarebbe stata una strage terribile”.
Quello che spero volesse essere solo un aspetto figurato dell’approccio di Graviano con i presunti incontri con i servizi segreti americani, si trasforma in un bel boomerang nelle mani di chi vuol screditare chiunque, in maniera seria, intenda far luce sui rapporti tra il mondo politico, quello imprenditoriale e quello mafioso con apparati di sicurezza italiani e non.
La “barzelletta” di Graviano vestito a festa che si reca all’ambasciata statunitense, viene dapprima strumentalizzata sui social per essere poi riportata su qualche blog, con l’obiettivo di ridicolizzare chiunque faccia la benché minima considerazione sull’operato di appartenenti a servizi segreti, a partire da quei giornalisti che lavorano seriamente accanto, purtroppo, a un soggetto così tanto originale.
Premesso che la Cia, anche allorquando non avesse utilizzato un emissario per un contatto con un mafioso, non avrebbe mai fatto un incontro presso l’ambasciata americana, mi devo chiedere da quali fonti il nostro giornalista, famoso per le stimmate e i suoi contatti ultraterreni con marziani e Madonne, abbia attinto notizie tanto esplosive.
A volte fa più danno il fuoco amico di quanto non ne faccia un’intera divisione di artiglieria nemica…
Gian J. Morici