
Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello di Antonio Dal Cin, finanziere esposto all’amianto durante il servizio, confermando il risarcimento ridotto stabilito in primo grado e dichiarando irricevibile l’appello incidentale del Ministero. Un verdetto che solleva interrogativi sulla tutela delle Vittime del Dovere
Una battaglia persa contro la burocrazia
Antonio Dal Cin, finanziere in congedo per riforma, ha dedicato la sua vita al servizio dello Stato, ma l’unica ricompensa ottenuta è stata una lunga e frustrante battaglia legale. Dopo aver contratto asbestosi pleurica e altre patologie a causa dell’esposizione all’amianto durante il servizio nella Guardia di Finanza, ha chiesto giustizia. Tuttavia, la sentenza del Consiglio di Stato (NRG 2285/2022, Sezione II, depositata il 17 marzo 2025) ha chiuso ogni possibilità di riconoscimento pieno del suo diritto al risarcimento.
Il verdetto è chiaro: l’appello principale viene respinto, mentre quello incidentale del Ministero dell’Economia e delle Finanze è dichiarato irricevibile per tardività. Ma il cuore della questione non è solo una questione formale, bensì una più profonda: come può un servitore dello Stato, riconosciuto Vittima del Dovere (equiparato a Vittima del terrorismo, ruolo d’onore del corpo della Guardia di Finanza, servizio in altre Forze Armate dello Stato) vedersi negata la giustizia?
Il valore di una vita: 20.671 euro
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio aveva già ridimensionato il risarcimento di Dal Cin, riconoscendogli una somma di 20.671 euro per il danno biologico, calcolata secondo le tabelle di Milano. Il Consiglio di Stato ha confermato questa cifra, rigettando ogni richiesta di aumento e ogni contestazione sulla sua esiguità.
Non solo: il finanziere aveva chiesto anche il riconoscimento del danno morale ed esistenziale, oltre a una revisione del grado di invalidità (che riteneva ben superiore al 10% assegnatogli dal consulente tecnico d’ufficio), ma la Corte ha negato ogni possibilità di riconsiderazione. Tutto già deciso, tutto già quantificato, tutto già archiviato.
Ma una vita spezzata dallo Stato, sacrificata per il dovere, può valere una cifra così irrisoria?
Le memorie difensive depositate in ritardo: un errore fatale?
Un altro elemento cruciale della sentenza riguarda il ritardo nel deposito delle memorie difensive da parte di Dal Cin. Il Consiglio di Stato, applicando rigorosamente l’articolo 73 del Codice del Processo Amministrativo, ha dichiarato inammissibili i documenti* presentati il 2 e il 9 gennaio 2025, in quanto il termine ultimo per il deposito era scaduto il 31 dicembre 2024.
«Non vi è motivo di ritenere che la produzione sia risultata estremamente difficile», scrive il giudice, escludendo ogni possibilità di accettazione tardiva. Un dettaglio tecnico, certo, ma che ha impedito all’appellante di far valere pienamente il suo diritto alla difesa.
Se quegli atti fossero stati depositati nei termini, l’esito sarebbe stato diverso? Forse no. Ma è innegabile che la rigidità burocratica abbia giocato un ruolo determinante nella chiusura definitiva di questa vicenda.
Uno Stato che volta le spalle ai suoi servitori
La vicenda di Antonio Dal Cin non è un caso isolato. Troppi appartenenti alle Forze dell’Ordine, delle Forze Armate e della Pubblica Sicurezza, esposti a sostanze pericolose o a condizioni di lavoro estreme, si trovano a combattere non solo contro la malattia, ma anche contro un sistema giuridico freddo e impenetrabile.
Lo Stato, che avrebbe dovuto proteggere i suoi uomini, li abbandona quando diventano un problema da gestire. Eppure, la Costituzione Italiana e il Codice Civile (art. 2087) impongono la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Principi sacrosanti che, nella realtà, sembrano spesso essere solo parole vuote.
Un appello che va oltre la giustizia terrena
«Io, uomo dello Stato, ho chiesto scusa a mia moglie e ai miei figli per averli illusi di aver creduto nella giustizia terrena» ha dichiarato Dal Cin. Parole amare, che rivelano tutta la delusione di chi ha servito fedelmente le istituzioni e si è trovato tradito proprio da esse.
«Confido nella giustizia Divina, sicuro che al cospetto di Dio sarò giudicato come Vittima del Dovere e il mio sacrificio non sarà ritenuto vano».
Un sistema che nega il riconoscimento della sofferenza, che minimizza gli effetti devastanti dell’amianto, che quantifica il sacrificio in poche migliaia di euro e che si arrocca dietro cavilli procedurali per respingere un’ultima richiesta di aiuto, non è uno Stato giusto. È uno Stato che ha dimenticato il valore della dignità umana.
Resta solo una domanda: fino a quando?
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* Documenti appellante deposito 2/1/25; memoria 9/1/25
Memoria di replica 21/2/25
Altro 28/2/25
Ritenuti non eccepibili perché la decadenza dei Termini era 31/12/2024