
Lo so, avete letto il titolo di questo articolo e avete deciso che non ne continuerete la lettura.
Vi siete detti che questo redattore, perlomeno, deve essere uno che si diverte ad usare le parole per farne strumento di affermazione narcisistica o di gioco inutile.
Ebbene, portate pazienza (come diceva una vecchia pubblicità di Carosello…) e alla fine della lettura capirete quanto questo titolo sia giusto e quanto, quello che leggerete, possa interessare direttamente le vostre vite ed il futuro di tutti noi.
Proverò a rendere chiaro ciò che non lo è affatto e che, anzi, viene amplificato nella confusione generale governante le cose del nostro tanto amato Paese.
La Suprema Corte di Cassazione, nel pronunciarsi a Sezioni Unite nel caso di uno degli extracomunitari naufraghi e soccorsi dalla nave “Diciotti” (16 agosto 2018), rende un giudicato che obbliga il Governo italiano a risarcire il danno morale per illegittima costrizione della libertà del naufrago.
L’uomo (della cui identità non si ha neppure una certezza), per i supremi giudici, non doveva restare nella nave soccorritrice nemmeno un minuto in più del tempo necessario allo sbarco nel primo porto utile e, quindi, essere accolto da richiedente asilo quale era.
Lui – dobbiamo supporre – come gli altri 177 compagni di sventura.
Per dare motivazione a questa decisione, le Sezioni Unite scrivono un testo che solo pochi addetti (se non adepti…) possono comprendere.
Una grammatica e sintassi tecnica, a tratti esoterica, in cui tutti i temi fondamentali del Diritto (e dei diritti fondamentali…) vengono affrontati e risolti con la finale statuizione di condanna del Governo Italiano.
Per i Supremi Giudici la libertà di un essere umano – chiunque esso sia – non può essere limitata, nel nostro Paese, se non per atto motivato reso da un giudice nel rispetto della Costituzione e delle leggi.
Giusto. Anzi, più che giusto: sacrosanto.
Ma (c’è sempre un “ma” nelle questioni che riguardano gli umani…), avventurandosi nel rovescio del Diritto, l’estensore eccelso del provvedimento si inerpica nel labirinto estremo dell’INESIGIBILITÀ, arrancando tra i meandri imperscrutabili della “ragione più liquida”.
E qui, forse, si perde.
Lasciamo alle menti più illuminate la considerazione che il concetto di “inesigibilità”, nel Diritto Penale, ebbe un’origine ed un uso nella Germania nazista con la parola “nichtzumutbarkeit”.
Il termine fu tradotto in “inesigibilità”, ma in realtà significa “senza ragione” e molti – tra cui Nietzsche – vi trovarono “la possibilità dell’impossibile”.
Sappiamo tutti come andò a finire, facendo diventare tragicamente possibili le cose impossibili.
Però, qui il tema si complica ulteriormente perché – nell’ansia di spiegare l’inspiegabile e scambiando l’impossibile per il possibile – il Supremo Giudice pone un principio di assolutezza della libertà individuale (pagina 32, dal rigo 5 al rigo 8) con estensione e valore forse mai prima d’ora pronunciati.
Un’assolutezza che facilmente si potrebbe confondere con l’arbitrio.
Nel provvedimento si legge, testualmente, che nel bilanciamento degli interessi tra l’individuo e l’autorità statuale quest’ultima “è comunque destinata ad annullarsi ove la lesione attinga, come nella specie, diritti della persona inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela di compromesso”.
È qui che il Supremo Giudice delle leggi entra in un labirinto dal quale è davvero difficile uscire, siglando un principio di Diritto che nella quotidianità del Popolo Italiano spesso non trova applicazione.
Fino a che punto la libertà individuale si manifesta tale davanti all’imperativo dettato dalle leggi?
Strano a dirsi, ma quando si trattò del Covid sembra che la nomofilachia si espresse in modo diverso e “l’inesigibilità” fece “possibile l’impossibile” in senso diametralmente opposto…
Lorenzo Matassa