Si è tenuta ieri, presso l’aula del V piano di Palazzo San Macuto, l’audizione in Commissione antimafia del tenente colonnello in congedo Carmelo Canale, considerato il braccio destro del giudice Paolo Borsellino.
L’intervento era atteso dopo che la volontà espressa dalla presidente della Commissione antimafia, Chiara Colosimo, di desecretare la sua precedente audizione, resa il 3 settembre 1997 in Commissione antimafia, aveva ricevuto il netto rifiuto da parte dell’ex ufficiale dei Carabinieri: «Non desecretate la mia audizione, piuttosto vengo a deporre in Antimafia».
Una testimonianza che doveva essere rilevante nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.
Al centro delle dichiarazioni di Canale l’indagine condotta dai Ros di Mario Mori su mafia e appalti, e la sfiducia che Borsellino nutriva per alcuni colleghi della procura di Palermo.
In particolare nei confronti dell’allora procuratore Giammanco.
Una lunghissima narrazione anche di fatti insignificanti – oltre quelli già noti – come nel caso di una discussione che Borsellino avrebbe avuto pochi giorni prima di morire con l’allora procuratore di Caltanissetta Salvatore Celesti.
Un’animata discussione della quale l’ex carabiniere non conosce i contenuti. Quindi? Il nulla.
Il dato più interessante – da verificare – al netto di aneddoti e deduzioni del dichiarante, riguarda l’indagine in materia di appalti che Canale con Borsellino aveva svolto a Pantelleria nel ’91.
Una grossa indagine che riguardava appalti per oltre cento miliardi di vecchie lire che vedeva coinvolti Siino, la Rizzani de Eccher, Filippo Salamone, Rosario Cascio con la Edil Costruzioni e gli Spezia .
Un’indagine che l’allora capitano Giuseppe De Donno, con un collega, portarono a Borsellino, il quale – secondo il narrato di Canale – inviò un verbale alla procura di Palermo che venne dalla stessa respinto.
Canale narra anche dell’episodio che vide contrapposto Borsellino a Giammanco quando i carabinieri erano stati delegati a sviluppare le indagini che avevano portato da Marsala a Palermo (“che li gestiva in maniera egregia il dottor Lo Voi, collaborato dal dottor Natoli” – dichiara Canale, ricordando che gestivano il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara) e Giammanco impose a Borsellino che nelle indagini doveva prendere parte la Polizia di Stato.
Si fece un accordo sostiene l’ex ufficiale – sponsorizzato dal capo della polizia, Parisi, secondo il quale i riscontri, limitatamente alla Sicilia, erano affidati alla sezione anticrimine di Palermo (Carabinieri), mentre per il resto d’Italia se ne doveva occupare la Polizia di Stato.
Canale ci tiene a sottolineare che il collaboratore di giustizia Calcara lo avevano portato loro – i carabinieri – e che quella imposizione era ‘una cosa gratuita’.
Un collaboratore definito “pentito eterodiretto ed inquinatore di pozzi” dall’allora procuratore di Caltanissetta, Gabriele Paci nel corso del processo a Matteo Messina Denaro per le stragi, che aveva anche denunciato l’avvocato Fabio Trizzino, difensore legale dei figli del giudice Borsellino, “reo” di averlo diffidato “dall’utilizzare strumentalmente qualunque riferimento alla vedova e ai figli del giudice Borsellino a sostegno di qualunque sua iniziativa”.
Altra ‘perla’ del mondo dei collaboratori, citata da Canale, il pentito Rosario Spatola del quale il giudice Borsellino parlò nel corso di una sua audizione davanti al Csm il 10 dicembre del 1991, citando le due collaboratrici, Filippello e Grimaldi, anche queste gestite dai carabinieri di Carmelo Canale.
Qui la deposizione di Paolo Borsellino al Csm nel 1991
Nel corso della sua audizione l’ex carabiniere ha risposto anche alle domande del senatore Scarpinato che ha chiesto se ricordasse quando sentito come testimone all’udienza del 6 maggio 2013 nel processo Borsellino quater, aveva riferito che Borsellino gli aveva chiesto di organizzare un incontro riservato alla caserma Carini con il capitano De Donno, perché alcuni colleghi magistrati avevano detto che forse era lui l’autore di un esposto anonimo su cui Borsellino stava indagando; e se ricordasse di avere detto, prima alla procura di Caltanissetta, in un verbale del 13 novembre 2012, e poi all’udienza del 6 maggio 2013 nel Borsellino quater, che prima di avere letto l’esposto di cui si sospettava fosse autore De Donno, Borsellino non aveva mai manifestato alcun interesse per l’indagine mafia appalti e per incontrare De Donno.
“E l’ho detto io?”, chiede Canale, aggiungendo che evidentemente ha preso “una cantonata ma no di quelle piene… io ho preso un palo ma non me ne sono accorto…è molto probabile che io abbia detto queste cose…”
Canale narra dunque dei primi arresti di Paolo Borsellino quando arriva a Marsala nel 1986; della vicenda degli appalti a Pantelleria e dell’incontro tra Borsellino, De Donno e Mori alla caserma Carini.
Ala domanda della presidente se Borsellino gli disse di cosa parlarono alla caserma Carini risponde:
- Canale: No, mi dispiace… io su questo punto…
- Presidente Colosimo: Trattava…comunque girava intorno alla questione degli appalti…
- Canale: C’erano di mezzo dei sostituti (procuratori) che parlavano male… buttavano fango su De Donno… sulla questione che De Donno avrebbe fatto un anonimo…
L’ex ufficiale infatti, aveva più volte dichiarato di non sapere nulla in merito agli argomenti di quell’incontro.
Di non averne mai saputo nulla neppure dopo l’incontro, in quanto né chiese e ne Borsellino gli disse niente.
Nel tentativo di ricondurre l’incontro alla Carini con la vicenda mafia/appalti, la presidente pone una domanda, quasi a suggerire la risposta:
- Colosimo: Però l’anonimo aveva a che fare con gli appalti…
- Canale: E certamente sì…
- Colosimo: Quindi il collegamento è questo comunque…
- Canale, il dottor Borsellino, quando c’è la riunione del 14 luglio chiese spiegazione non già del famoso rapporto mafia/appalti, perché lui voleva intervenire attraverso il lavoro che avevamo fatto a Pantelleria, che avevamo i dati certi degli arresti, voleva intervenire perché c’era quel verbale che era… no interessante, di più…
- Chi si aspettava che Canale facesse i nomi dei due magistrati, che non aveva indicato nel corso dell’audizione del ’97, è certamente rimasto deluso.
Così come coloro che avevano accolto con gioia l’intenzione della Colosimo di desecretare quell’audizione, una volontà stroncata dal tenente colonnello con il suo aut aut, per poi presentarsi in Commissione a narrare fatti già conosciuti ma arricchiti questa volta dalle battute spiritose dell’ex ufficiale – che hanno in taluni momenti creato un’atmosfera poco rispettosa della sacralità del luogo e dell’argomento trattato, suscitando grasse risate da parte dei membri della Commissione – e dai tanti aneddoti narrati sugli aspetti della vita privata del giudice e dei suoi familiari.
- Proprio sulle cose che sa su Borsellino – conclude la presidente Colosimo – lei in una sua deposizione dice che Falcone, una volta arrivato alla procura nazionale antimafia, avrebbe voluto mettere su uno staff che riprendesse quello che aveva fatto il generale De Donno e si occupasse di mafia/appalti, e dice anche che è poco ma sicuro che Borsellino pensava che tra le cause della morte di Falcone ci potesse essere anche mafia/appalti… Questa è una sua deduzione o Borsellino glielo disse?
- Canale: No, Borsellino ne parlava…noi parlavamo di stu… mafia/appalti. Tra l’altro dopo questa questione del famoso incontro alla caserma Carini, ne abbiamo parlato diverse volte […] è un ricordo certo e assoluto di quello che diceva Paolo Borsellino, ma io mi ricordo ancora una volta, mi dispiace se non mi sono fatto capire, lui legava mafia/appalti alla questione nostra, perché io volevo andare fino in fondo… noi avevamo centinaia di miliardi a Pantelleria…
- Colosimo: Io la voglio ringraziare, la mando… da sua moglie…
- Canale: Mi pareva che mi mandava a tipo…
Con tutto rispetto colonnello Canale, ma chi avrebbe potuto, nonostante nulla abbia aggiunto a quanto si sapeva già?
Rimane il fatto che nonostante Canale non abbia dichiarato che l’incontro alla Carini, tra Borsellino e i Ros fosse finalizzato a parlare di mafia/appalti; che nonostante l’ex ufficiale proprio sul dossier mafia/appalti non abbia aggiunto nulla a quanto già risaputo, se non ritrattare quanto dichiarato in udienza il 6 maggio 2013 nel Borsellino quater, dicendo che Borsellino non aveva mai manifestato alcun interesse per l’indagine mafia appalti, definendo quella dichiarazione “una cantonata ma no di quelle piene… io ho preso un palo ma non me ne sono accorto…”, ci sarà chi sosterrà che Canale ha confermato che fu mafia/appalti il movente unico delle stragi del ’92.
Purtroppo non è stato reso possibile un confronto tra le dichiarazioni di ieri in Commissione e quelle del ’97, impedendo così di porre domande in merito da parte dei membri della Commissione.
Nonostante ciò, la lunghissima audizione di Canale vale la pena di ascoltarla per rendersi conto di come certi giornalisti riescano a mistificare le notizie.
“Per conto di chi?”, avrebbe detto Giulio Andreotti, fedele al suo “a pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”.
Tra una cantonata e l’altra, tra un palo e una ritrattazione, la verità l’abbiamo sepolta con le vittime di quelle stragi.
Ma la verità, interessa ancora a qualcuno?
Se ancora interessa a qualcuno, riavvolgiamo il nastro e ripartiamo daccapo.
Ripartiamo dalla desecretazione di tutti gli atti di quel periodo perché non sia resa possibile la rivisitazione di quanto dichiarato dai testi in precedenza senza che nessuno – sconoscendo le precedenti dichiarazioni – possa muovere alcuna obiezione così come avverrebbe normalmente in una qualsiasi aula di tribunale.
Gian J. Morici