Se anche dati apparentemente insignificanti, quali le esternazioni in una conversazione privata, i messaggi sui social, il commento ad un fatto, diventano oggetto di attenta analisi di servizi segreti come la CIA, provate a immaginare quali interessi si muovono dietro l’acquisizione e la cessione di dati sensibili e notizie riservate.
La banda dei dossier
In quest’ultimo periodo il panorama politico e mediatico italiano è stato scosso dall’inchiesta su un presunto network di individui e organizzazioni coinvolte nella raccolta e nella distribuzione di informazioni riservate: i cosiddetti dossieraggi.
Un’indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, che vede coinvolti in particolare l’ex super poliziotto Carmine Gallo e Enrico Pazzali, titolare dell’agenzia di investigazioni Equalize, centrale dell’attività di dossieraggio illegale, oltre ad altre aziende e diverse decine di persone indagate.
Numerosissime le operazioni di accessi abusivi a banche dati dello Stato, condotte da Nunzio Samuele Calamucci, l’hacker che ha infiltrato la società che aveva creato il nuovo database del Viminale e ne gestiva la manutenzione, riuscendo ad acquisire le informazioni del sistema del ministero dell’Interno.
Per conto di chi lavoravano le cyber-spie?
Le due le ipotesi.
Secondo il gip di Milano, Fabrizio Filice, la banda vendeva le notizie – e le false notizie – a clienti interessati, con il solo fine dell’arricchimento personale, mentre per il pm antimafia Francesco De Tommasi le attività svolte da questa centrale operativa di spionaggio avrebbero avuto anche finalità eversive con appoggi molto in alto.
Una vicenda complessa che si adombra del coinvolgimento di servizi segreti anche stranieri.
L’elaborazione e la diffusione di dossier, talvolta, manipolati per creare una narrazione più dannosa, sono pratiche non nuove, utilizzate per screditare avversari politici, figure pubbliche e giornalisti, le cui implicazioni rappresentano una seria minaccia per l’intera società e per la tenuta della democrazia, a prescindere dal fatto che il fine della vendita delle informazioni sia o meno di carattere eversivo.
Se infatti in ambito commerciale le informazioni possono essere utilizzate per ottenere vantaggi economici manipolando i mercati in danno di aziende e del libero mercato, è nel contesto politico che le operazioni di dossieraggio assumono una veste più significativa su come possono incidere sugli equilibri di potere, influenzando l’opinione pubblica a tal punto da determinare la nascita o la caduta di un governo, con ripercussioni non soltanto di carattere nazionale.
Le informazioni sono da sempre considerate una preziosa risorsa, ma lo sono a maggior ragione in una società digitale e interconnessa rispetto la quale l’importanza di un’informazione diventa determinante anche in ambito geopolitico assumendo un alto valore strategico.
Tra le tecniche più efficaci per carpire le informazioni, le operazioni di hackeraggio rappresentano lo strumento più in uso per target specifici, come politici o dirigenti, per ottenere accesso alle loro email, documenti sensibili e account social.
Acquisire materiale compromettente – o creare falsi contenuti realistici – per incriminare o discreditare bersagli politici, sono tra le armi più usate per ricattare o danneggiare l’immagine pubblica di un soggetto, influenzando gli esiti di una campagna elettorale o mettendo in crisi un’azienda.
Per meglio comprendere il valore dell’informazione, è sufficiente ricordare le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 2016 e il caso di Hillary Clinton, con la presunta interferenza attribuita a gruppi russi nella diffusione di email compromettenti del Comitato Nazionale Democratico (DNC), che pregiudicò l’elezione della Clinton a presidente degli Stati Uniti.
Nell’era digitale la raccolta di informazioni sensibili, la manipolazione di dati e la diffusione mirata di notizie, a volte arriva persino a sostituirsi alle operazioni militari tradizionali nel ribaltare governi invisi a questa o quella potenza, indebolendo l’economia di un paese o alimentando lo stato di malessere della popolazione, tanto da indurre a rivolte, come nel caso delle cosiddette “Primavere arabe”.
Non è dunque difficile comprendere come le crisi politiche, le elezioni e la formazione di nuovi governi diventino obiettivi privilegiati di quanti raccolgono informazioni compromettenti allo scopo di ricattare soggetti politici o distruggere la loro reputazione.
Si tratta soltanto di cyber-spie che vendono al migliore offerente?
In questi contesti, in particolare, emerge il ruolo di servizi segreti nazionali e stranieri, interessati alla raccolta e alla cessione di informazioni a governi, aziende o media, nell’ambito di una guerra informativa volta a proteggere gli interessi nazionali o ad interferire indebitamente nelle politiche e negli interessi di altri paesi.
Il confine tra difesa e attacco si fa sempre più sfumato.
È evidente che queste centrali di spionaggio devono avvalersi di soggetti di provata esperienza in diversi settori, da quello investigativo a quello tecnico-informatico, così come di contatti e canali per la vendita delle informazioni illecitamente carpite.
Persino le informazioni su sistemi di videosorveglianza delle nostre principali città fanno gola a servizi stranieri, come il caso dei due imprenditori brianzoli, residenti in Lombardia, pagati dall’intelligence russa per mappare Roma e Milano.
Diventa sempre più difficile comprendere quali siano gli attori nel mondo dello spionaggio e del cyberspionaggio, poiché anche gruppi che operano per proprio conto, e solo a fini di arricchimento personale, hanno interlocutori interessati all’acquisizione di notizie tra i quali non possono essere esclusi servizi segreti che hanno interessi a modificare l’assetto democratico di un paese.
Fino a che punto si può parlare di soggetti che acquisiscono e vendono informazioni come se si trattasse di prodotti da supermercato?
Chi sono gli acquirenti di questo genere di informazioni?
Questo potremo saperlo soltanto quando sarà chiusa questa inchiesta.
La storia però ci insegna che il mondo dello spionaggio ha mille sfaccettature, non facilmente distinguibili l’una dall’altra.
Al mondo dell’intelligence – o dello spionaggio, che dir si voglia – oltre le agenzie di intelligence ufficiali, appartengono anche quelle parallele non ufficialmente riconosciute dai governi che si avvalgono del loro operato.
Società di intelligence privata che spesso operano per conto di governi che considerano i loro agenti, autentici “throwaway”, negando ogni eventuale appartenenza o contatto con strutture ufficiali.
È in questa zona grigia che diventa più facile avere contatti con operatori di strutture di altri paesi, spesso anche tramite il mondo del Dark Web dove il mercato dell’informazione è in continua evoluzione e diventa più facile fare il doppio gioco anche ai fini dell’arricchimento personale.
Ma è sempre così?
No, talvolta anche la cessione di informazioni o false informazioni rientra nelle attività predisposte da servizi ufficiali che si avvalgono di strutture parallele in modo che i governi ai quali appartengono non debbano esporsi nel caso in cui si dovessero scoprire operazioni illecite.
In questo contesto, il ruolo della stampa è cruciale, prestandosi – consapevolmente o inconsapevolmente – a far da megafono a operazioni di dossieraggio talvolta anche false.
Se le informazioni sono potere, dovremo iniziare a chiederci a chi fanno comodo le informazioni contenute nei dossieraggi e quali i canali utilizzati dalle cyber-spie per raggiungere i clienti-target.
Chi sono i facilitatori nell’acquisizione delle informazioni e nella cessione delle stesse?
Realmente poche persone, per quanto abili, sono da sole riuscite a violare sistemi statali che avrebbero dovuto godere della massima protezione, trafugando centinaia di migliaia di file?
Gian J. Morici