Non è solo il mondo politico a reagire nervosamente alla notizia che l’ex pm, oggi senatore in quota m5s nonché componente della Commissione Antimafia, sarebbe stato ‘indirettamente’ intercettato mentre parlava con l’ex collega Gioacchino Natoli, il quale doveva comparire a deporre in commissione perché accusato di avere favorito la mafia.
La notizia data da ‘La Verità’, su un fatto che se risultasse vero sarebbe certamente molto grave (avere concordato con Natoli domande e risposte in Commissione Antimafia), viene cavalcata dai partiti di maggioranza che vorrebbero si chiudesse definitivamente il periodo delle stragi di mafia con una sentenza che porti alla condanna di ‘Cosa nostra’, individuando come unico movente per l’uccisione di Falcone e Borsellino il dossier mafia-appalti curato dai Ros del generale Mario Mori.
Quella che è certamente una concausa, ma che si vuol far passare come unica motivazione delle stragi.
Mafia e solo mafia dietro Capaci e via D’Amelio, per Damiano Aliprandi, giornalista del quotidiano ‘Il Dubbio’ che da sempre esclude interventi esterni a ‘Cosa nostra’, e guai a parlargli di possibili attività di parte dei servizi segreti.
Sulla stessa linea editoriale, Piero Sansonetti, ex direttore della testata ‘Il Dubbio’, che fa capo al Consiglio Nazionale Forense, fino al marzo del 2019.
Una testata giornalistica messa in discussione anche dagli avvocati.
Non si tratta della prima volta che Sansonetti nella qualità di direttore di una testata viene messo in discussione.
Accadde anche quando da direttore di “Calabria Ora” licenziò il giornalista Lucio Musolino che aveva il ‘vizio’ di scrivere di collusioni tra mafie e politica.
Ha sempre manifestato una particolare benevolenza verso i politici – in particolare taluni politici – a tal punto da costargli anche la condanna per diffamazione in danno dei magistrati Antonio Esposito, il giudice che presiedeva il collegio che nel 2013 rese definitiva la sentenza di condanna nei confronti di Silvio Berlusconi per frode fiscale, e Claudio D’Isa, giudice a latere, così come la condanna per la diffamazione in danno del magistrato Nino Di Matteo, quando in difesa dell’onorevole Ciriaco De Mita nel corso del processo “Stato-mafia” scrisse un articolo con il quale accusava il magistrato anche di avere “una così grande rozzezza” e “strabordante arroganza”.
Incidenti di percorso che accadono un po’ a tutti coloro che fanno informazione, senza però per questo spingerli a un muro contro muro con la magistratura in generale, quando non contro chi li aveva querelati.
È una questione di stile, di eleganza, ma anche di coerenza, non farne un fatto personale.
Gli ipergarantisti – i quali vorrebbero anche abolire il 41bis – sembra che sulla vicenda che riguarda Scarpinato lo siano un po’ meno.
Inoltre, per entrambi i bravi giornalisti – rispetto le stragi di mafia del 92/93 – pare esista una parola d’ordine: Servizi segreti no!
Non sempre però, visto che ‘servizi no’, e ‘servizi sì’, dipende dal caso.
E così il 7 agosto, “L’Unità” – giornale del quale Sansonetti è direttore – pubblicava un articolo a firma di Paolo Comi che narrava di come Gioacchino Natoli – dopo essere andato in pensione da magistrato -avrebbe lavorato anche al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’organismo alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri che si occupa di coordinare le attività dei Servizi segreti.
Il fatto grave – stando all’articolo – che proprio in quei giorni “a proposito delle indagini sulla morte di Paolo Borsellino, con il ruolo mai completamente chiarito da parte di apparati dello Stato nel depistaggio posto in essere dal falso pentito Vincenzo Scarantino, qualche dubbio sulla opportunità per la sua presenza negli uffici di piazza Dante non è del tutto infondato. Nelle indagini della Procura nissena sulla morte del magistrato siciliano avvenuta il 19 luglio del 1992, i pm sono da tempo convinti che un ruolo di primo piano nel depistaggio lo ebbe Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della squadra mobile di Palermo, poi promosso prefetto e quindi numero due del Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza (Cesis), l’antesignano del Dis”
E ora chi glielo dice ad Aliprandi e Sansonetti? O queste ipotesi valgono solo quando si parla di ex magistrati?
I conti che non tornano
Le intercettazioni delle conversazioni di un parlamentare sono vietate, e quando questi viene identificato nel corso dell’intercettazione di dell’utenza di un suo interlocutore, i pm dovrebbero interrompere le intercettazioni.
Scarpinato è stato intercettato trenta volte senza l’autorizzazione del Parlamento.
Perché le registrazioni non sono state interrotte?
Le suddette intercettazioni a rigore dovrebbero ad oggi essere coperte da segreto istruttorio.
Che uso ne potrà fare la procura di Caltanissetta, e in ogni caso, sarebbe quella di Caltanissetta la procura competente?
A rigore nessun uso, tranne quello mediatico già avvenuto.
Come ha fatto “La Verità” ad entrarne in possesso, così come lascia intendere l’articolo del giornale?
La risposta possibile sembra essere una sola: se le intercettazioni sono coperte da segreto istruttorio, negli uffici di competenza c’è stata una talpa.
Perché fare uscire la notizia ad orologeria?
Una delle ipotesi che avevamo avanzato da queste pagine – che non sono mai state ‘tenere’ con una certa magistratura, da Pignatone a Scarpinato e altri – visto che non sarebbe possibile utilizzarle in sede giudiziaria, l’utilizzo strumentale in ambito politico, tanto da avere già suscitato reazioni sia nella maggioranza – che chiede le dimissioni di Scarpinato – che nel Pd e nel M5s scesi in campo in sua difesa.
Rimarrebbe la gravità di una fuga di notizie, che dovrebbe comunque essere oggetto di indagini.
Ma esistono anche scenari peggiori.
Dopo un lungo periodo di silenzi da quando il generale Mario Mori ha dichiarato lui stesso di essere indagato dalla Procura di Firenze per i reati di “strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico”, per gli attentati di stampo mafioso di Firenze, Milano e Roma relativi al 1993, la vicenda Scarpinato ha dato la stura agli attacchi nei confronti di quei magistrati che avevano imbastito il processo Stato-mafia, un’accusa che così formulata non avevamo mai condiviso.
La vicenda Scarpinato, però, va ad ‘innestarsi’ nel contesto delle indagini fiorentine, in quello della Commissione Antimafia, e nelle attività d’indagine condotte dalla Procura di Caltanissetta in merito alla strage di via D’Amelio.
Certamente la fuga di notizie in merito alle intercettazioni che riguardano Scarpinato spinge favorevolmente in direzione di mafia-appalti escludendo eventuali altre cause e il coinvolgimento di attori diversi da ‘Cosa nostra’, nonostante l’articolo di Paolo Comi sul giornale di cui Sansonetti è editore, legando il nome ‘servizi’ all’ex pm Natoli, quasi a gettare ombre, ammetteva, a proposito delle indagini sulla morte di Paolo Borsellino, il ruolo mai completamente chiarito da parte di apparati dello Stato nel depistaggio posto in essere dal falso pentito Vincenzo Scarantino.
A Caltanissetta le indagini sul ruolo di parte di apparati dello Stato non si sono mai concluse e sono sempre in via di sviluppo.
E se la fuga di notizie fosse funzionale a giochi che vanno al di là dell’aspetto politico?
C’è un nesso tra le indagini di Caltanissetta, quelle della Commissione Antimafia, quelle della Procura di Firenze e la fuga di notizie sulle intercettazioni che riguardano Scarpinato?
Cosa ci si deve aspettare adesso?
Forse l’azione politica che va oltre le richieste di maggioranza, magari espedendo il tentativo di coinvolgere il M5s per mettere in fuorigioco Scarpinato.
La presunta fuga di notizie poteva avvenire solo in ambito giudiziario o da parte di chi magari per ragioni professionali nello stesso ne sia venuto a conoscenza.
Solo individuando chi ha dato la notizia a “La Verità” si potrebbe capire quale sia l’obiettivo che si è voluto – o si vorrebbe – raggiungere.
Gian J. Morici