Chi ha passato il mezzo secolo, specie se ha vissuto nel meridione, difficilmente non avrà visto un tatuaggio simile ai cinque punti della faccia di un dado, posti tra il pollice e l’indice di una mano.
Il tatuaggio è un metodo di comunicazione, e quei cinque punti stanno a indicare che la persona che se li è fatti tatuare è stata in carcere.
Una lacrima sotto l’occhio, rappresentava un evento luttuoso, sia che lo avesse procurato, sia che lo avesse subito.
Cranio e pugnale erano simboli che spesso indicavano una volontà o una capacità di vendetta.
Messaggi usati anche da piccoli criminali per incutere timore e rispetto.
Ben diverso è il significato delle allegorie e figure arcaiche adoperate dalle mafie, il più delle volte comprensibili soltanto a chi ne fa parte.
Se il ‘baccaglio’ (linguaggio delle organizzazioni mafiose) è già difficile di per sé da comprendere, anche da parte di chi chiamato a contrastare il fenomeno, ancor più difficile è la comprensione dei simboli, dei riti e dei richiami religiosi che specie nelle mafie che più di altre hanno mantenuto gli aspetti tradizionali – come nel caso della ‘Ndrangheta – rappresentano un linguaggio criptato che introduce a una dimensione di sacralità difficile da distinguere da quello che potrebbe essere utilizzato da un qualsiasi credente.
A spiegare a Giovanni Falcone il linguaggio parlato dai mafiosi, era stato Tommaso Buscetta che raccontò come l’uomo d’onore parlasse poco e lasciasse al suo interlocutore il comprendere anche il non detto.
Poi i tempi cambiano e tra pizzini e appunti le nuove leve ci hanno lasciato inedite testimonianze di messaggi e codici sempre più leggibili, fino ad arrivare ai nostri giorni all’uso dei social media, nonostante ancora ci sia chi si serve del tatuaggio non facendo mistero della propria appartenenza.
Nel tatuaggio, così come sui social, subito dopo le immagini che ritraggono i momenti di una relazione amorosa, vengono quelli dei richiami ad aspetti religiosi, dei quali avevamo già accennato in questo articolo.
Quello che comunemente viene definito ‘gergo’ delle mafie, un po’ come per alcuni dialetti andrebbe forse rivisto, in quanto la complessità della sua forma, l’unione e la mescolanza del parlato e del simbolico delle mafie, nonché la valenza sociale che ne deriva, hanno finito con il crearne una nuova lingua settoriale.
Al di là degli aspetti semantici, seppur meritevoli di studi e approfondimenti, vediamo di capire riti e i simboli della comunicazione utilizzati da una delle mafie che più delle altre ha preservato quasi intatta la propria simbologia: la ‘Ndrangheta.
Dalla comunanza con ‘Cosa nostra’ rispetto il rito dell’affiliazione con la ‘punciuta’ o la mescolanza del sangue, il bruciare la santina, il giuramento e i soprannomi, da cui possiamo trarre la comunione tra le varie organizzazioni mafiose – i cui appartenenti nella loro quotidianità incarnano i principi ideologici e culturali riconducibili alla leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso – le origini comuni di ‘Cosa Nostra’, ‘Ndrangheta e Camorra.
Seppur le radici risultano comuni, anche per i lemmi in uso nel baccaglio che già in epoca remota utilizzavano le tre diverse consorterie, ‘Cosa nostra’ fino a pochi decenni fa tramandava solo oralmente i propri codici, che di conseguenza erano più facilmente soggetti a manipolazioni e interpretazioni.
La ‘Ndrangheta, viceversa, ha sempre mantenuta quasi intatta la codificazione e la sacralità dell’appartenenza, riportata anche in diversi codici scritti, nonostante me fosse fatto divieto.
Ai termini mafioso, camorrista e ‘ndranghetista, per moltissimo tempo venne attribuita una connotazione positiva, simbolo di coraggio e onore.
La criminalizzazione delle organizzazioni mafiose – specie a seguito di eclatanti fatti di sangue – ha portato le mafie a cambiare le proprie strategie.
Se ‘Cosa nostra’ dopo il periodo stragista di Totò Riina ha deciso di inabissarsi, diversa è stata la scelta della ‘Ndrangheta che – forte della sua impenetrabilità e la difficoltà di lettura dei suoi ‘segni’ – ha rafforzato il legame tradizionale con il simbolismo religioso per creare un legame mistico tra i suoi membri e una diversa accettazione da parte della popolazione, facendo ancor più propri i principi della massoneria.
Se infatti il battesimo o l’attribuzione della dote prima avveniva citando i vecchi antenati, i tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, di recente il giuramento comprende il rinnegare la società di Sgarro e qualsiasi altra organizzazione, e si conclude nel nome di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora.
«Buon vespero e santa sera ai santisti! Giustappunto in questa santa sera, nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna, formo la catena! Nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, con parole d’umiltà formo la santa società».
Queste le parole pronunciate durante il rituale di conferimento della dote della Santa a Giovanni Buttà.
Ecco che parole o immagini simboliche come la luna o l’albero (nel caso della ‘Ndrangheta l’Albero della Scienza) assumono un significato particolare.
Come riconoscere un affiliato o una ‘foglia’, ovvero chi pur non essendo affiliato supporta l’organizzazione?
Partiamo dal giuramento dell’affiliato.
L’affiliato è chiamato a giurare nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, a bruciare l’immagine sacra (il più delle volte San Michele Arcangelo) e compie atti di devozione alla Madonna e al Santo patrono del proprio paese.
È compito delle ‘foglie’ anche quello di divulgare un’immagine di sacralità dell’organizzazione che non viene mai citata, ma la cui simbologia si può riscontrare nei messaggi diffusi.
Con l’avvento di internet e i social network, si assiste sempre più spesso alla pubblicazione di post apparentemente innocui, che in realtà talvolta celano il messaggio che le ‘ndrine vogliono diffondere.
Ecco dunque che durante determinati periodi che coincidono con i momenti di affiliazione o di consegna di nuove doti (gradi), aumentano i messaggi di ringraziamento o le richieste di protezione a Gesù, alla Madonna o altri Santi.
Segnali talvolta di difficile lettura, specie allorquando coincidono con festività religiose, come nel caso di un Santo patrono del luogo, o il 25 dicembre, data di nascita e santizzazione del primo Santista (come da giuramento).
Meno difficile dovrebbe invece apparire l’invocazione ad alcune Madonne e Santi i cui luoghi di culto si trovano in altre regioni o Stati.
Un ruolo ancor più particolare rispetto la ‘foglia’, è quello della Sorella D’Omertà.
Donne che pur non avendo prestato giuramento di fedeltà alla ‘Ndrangheta, hanno il dovere di essere fedele al proprio uomo a prescindere che sia uomo d’onore o che per rapporto famigliare o altro sia ‘vicino’ a una ‘ndrina.
La Sorella D’Omertà, riconosciuta come tale, ha il compito di veicolare messaggi, mantenere contatti e – in taluni casi – assistere i latitanti.
È compito dunque di queste donne mantenere uniti soggetti che fanno parte di una locale, se non della stessa ‘ndrina, o di altre con le quali è necessario stabilire e mantenere rapporti.
Questo avviene anche sui social, grazie alla facilità con cui si possono avere contatti privati, ma anche tramite la diffusione di post apparentemente innocui (come i passi di un Vangelo) ma che in realtà contengono messaggi criptati leggibili ad altri ‘ndranghetisti.
Talvolta è sufficiente guardare nell’ambito delle amicizie di un utente, per accorgersi di come la maggior parte delle sue ‘amicizie’ virtuali condivida e rimandi gli stessi messaggi, siano essi allegorici o meno, mostrando una devozione non comune neppure per il popolo di credenti osservanti.
Paradossalmente, accade che utenti ‘dispensatori’ di cristianesimo e legalità siano palesemente in contatto con soggetti i cui nomi sono legati a famiglie vicine alle ‘ndrine, quando non addirittura soggetti già attinti da pregiudizio che mostrano segni (ciondoli o altro) di appartenenza o simpatia per organizzazioni malavitose anche di altri Paesi, come nel caso della mafia albanese.
Una criminalità che oggi costituisce l’espressione più pericolosa nello scenario delle criminalità straniere presenti in Italia, rappresentando spesso i terminali e i gestori locali di traffici organizzati su scala internazionale di armi, stupefacenti ed esseri umani, nonché dedita al riciclaggio allo sfruttamento della prostituzione, al contrabbando e ai sequestri di persona.
Purtroppo, quello utilizzato da ‘foglie’ e Sorelle D’Omertà, è un linguaggio di difficile comprensione anche per chi chiamato a contrastare il fenomeno mafioso.
Soltanto un’attenta analisi dei messaggi, e l’ambito delle amicizie alle quali sono rivolti, possono aiutare a comprendere la funzione di ‘foglie’ e Sorelle D’Omertà, la cui opera in favore all’organizzazione criminale sfugge talvolta anche ai più attenti investigatori.
Gian J. Morici