Circa 14 anni fa dalle pagine ci chiedevamo che fine avessero fatto le associazioni di categoria, ponendoci la domanda in merito a cosa ne fosse stato del loro ruolo fondamentale..
Gli anni passano e nulla cambia, o se cambia, cambia in peggio.
C’è chi si ricicla, chi fa il salto di qualità e chi pensa alle poltrone.
Il tutto finisce con il ridursi alla gestione di centri di potere.
Sembra di trovarsi dinanzi la brutta copia di coloro che hanno controparti nei tavoli di trattativa.
Stessi comportamenti, stessa arroganza.
Un sistema di privilegi e privilegiati che nasce e cresce sul sudore degli altri.
Dobbiamo rassegnarci, come per quello che riguarda la classe politica del passato, che messa a confronto di quella degli ultimi decenni – con le dovute eccezioni – non possiamo che prendere atto di come al peggio non c’è mai fine.
Belle parole in difesa di lavoratori, pensionati e interessi di categoria, restano chiacchiere da bar e passerelle giornalistiche.
La verità è quella che si è permesso che si arrivasse alle rappresentanze di categoria come mestiere, i cui veri interessi sono i tavoli delle trattative, le carriere, le poltrone.
Le associazioni di categoria servono ancora?
Forse sì.
Quello che non serve, e che anzi è deleterio, è la gestione da parte di chi ritiene di essere entrato a far parte di un centro di potere che lo eleva al di sopra degli altri e che finisce con lo screditare il ruolo associativo alimentando la sfiducia da parte degli iscritti che non si sentono più rappresentati.
Quando circa quattordici anni fa scrissi un articolo denunciando questi fatti che riguardavano i sindacati nella provincia di Agrigento, diedi la stura a una serie di violenti attacchi contro la mia persona, che ben presto videro scendere in campo anche i vertici regionali di alcune sigle.
Fu un errore quello loro, poiché in breve tempo, grazie ai commenti e alle informazioni acquisite, portammo alla luce parentopoli, scandali nella formazione e tante altre vicende che approdarono anche nelle aule giudiziarie.
Anni durante i quali in pochi si aveva il coraggio di scrivere.
Ma tra riciclati, nuove promesse e chi si attacca alle poltrone senza forse averne titolo, oggi come allora, è necessario tornare a scriverne.
Ed è necessario tornare a scriverne partendo da quello che fu il luogo d’origine: la città di Agrigento!
Chi dovrebbe rappresentare una categoria?
Ovviamente, chiamati a rappresentare una categoria, dovrebbero esserne coloro che ne fanno parte.
Forse altrove, ma non ad Agrigento.
È questo il caso della Confartigianato, organizzazione chiamata a rappresentare artigiani e piccole imprese.
Un ruolo svolto egregiamente, e per tantissimi anni dai vertici locali, fin quando qualcosa non è cambiata.
Cosa ne è dell’associazione che per tanti anni trovava spazio e riconoscimento all’interno delle istituzioni?
Stando a quanto si sente in giro, non è rimasto quasi più nulla.
Anzi, pare proprio che ai vertici dell’associazione si siano insediati soggetti che non appartengono neppure alla categoria, che non possiedono una partita Iva, e che sono dunque avulsi al mondo delle aziende che dovrebbero rappresentare.
È questo il caso di Gianofrio Pagliarulo, attuale presidente di Confartigianato Agrigento, che non risulta essere titolare, né rappresentare, alcuna impresa da almeno due anni.
Perché dunque un’azienda dovrebbe associarsi con un’associazione i cui vertici sono estranei a quel mondo che dovrebbero rappresentare?
Ovvio dunque, che tali discrasie non possono che portare a un clima di sfiducia da parte degli iscritti ed a un loro allontanamento.
Nei prossimi giorni, cercheremo di capire meglio cosa sta succedendo, e se è questa la via che intendono percorrere i vertici nazionali e regionali dell’associazione.
Gian J. Morici