Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l’impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione… Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere.
Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto. A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale. È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all’esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile.
La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere.
Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni.
Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi DEVE essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne.
Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita. Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere:
“Il vero amore non è ne fisico ne romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…”
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare.
Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia.
Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio…
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DA COSA NASCE LA VIOLENZA SULLE DONNE…
“Lottare per la Giustizia è un nobile ideale.
Lottare contro una ingiustizia conosciuta è preciso dovere civile…”
(Pietro Calamandrei)
Da più di cinque anni mi occupo, a tempo pieno, del “Codice Rosso”.
Forse non tutti sanno cosa sia e cosa esattamente un giudice possa fare in questo scenario.
Cercherò di essere chiaro e sintetico al tempo stesso.
Dal 9 agosto 2019 il nostro Paese ha reso applicative delle norme che cercano di arginare il sempre più cruento contesto che riguarda “le vittime di violenze domestiche e di genere”.
La Legge deve il suo nome alla misura che prevede una specie di corsia preferenziale (chiamiamola atecnicamente: veloce) per le denunce e le indagini relative a casi di violenza contro donne e minori.
Se un accostamento può essere fatto, si tratta di un qualcosa che ricorda il pronto soccorso per i pazienti per i quali si imponga un intervento immediato.
Se si attiva il “Codice Rosso”, gli inquirenti devono agire con estrema tempestività (entro tre giorni dalla notizia di reato).
Le indagini devono essere svolte, con priorità su ogni altra, da una polizia giudiziaria competente e specializzata.
I reati contestabili (maltrattamenti, stalking, violenza sessuale e non solo) sono stati aggravati.
Altri nuovi reati possono essere oggetto di contestazione: sfregio al volto, illecita diffusione di immagini pornografiche, costrizione al matrimonio e violazione del provvedimento di allontanamento con arresto immediato.
Per la prima volta, in Italia, si introduceva l’allontanamento con bracciale elettronico.
Con quell’arnese applicato alla caviglia l’avvicinamento alla vittima è segnalato alla centrale e da lì la possibilità di un tempestivo intervento della polizia giudiziaria (essendo la violazione prevista come reato punibile fino a tre anni di reclusione).
Comprendo che la sintesi che ho fatto potrebbe sollevare più di una domanda, ma non è questo il tema di adesso.
Anche perché i lettori più accorti si saranno chiesti come mai io possa occuparmi di “Codice Rosso” da cinque anni se è vero – come è vero – che solo nell’agosto 2019 la norma è entrata in vigore…
Ecco, sta in questo la prima stranezza del contesto del quale parliamo.
L’Italia si è accorta che le “violenze domestiche e di genere” esistevano solo nel 2019 allorchè il fenomeno era socialmente esploso già da qualche decennio.
Anzi, con un certo dolore della memoria, ricordo di avere trattato fascicoli di violenze inaudite ai danni di donne e bambini fin dal mio primo incarico di Giudice Istruttore (correva l’anno 1987).
E allora come mai, solo adesso, il “femminicidio” ha assurto all’importanza giudiziaria connotata dal colore del sangue?
Bella domanda questa.
Difficile rispondervi.
Mi viene da pensare che un fenomeno si afferma agli occhi di una collettività quando fuoriesce dal silenzio in cui è avvolto.
Come in molte altre realtà di un Paese in cui la Verità riesce ad imporsi solo dopo che il popolo ne prende coscienza.
Ma questa è una risposta generica che non risolve i vostri dubbi.
Una parte della Verità sta nella circostanza che della violenza ci si fa vergogna.
E la vergogna – come fosse la sporcizia di una casa – è più facile metterla sotto il tappeto che rimuoverla facendo sì che dalla casa esca per sempre.
Ecco, se una metafora delle cose può essere posta in questo scenario, essa ha questa attinenza da pulizia domestica.
Il Paese, consapevolmente, ha scelto di fare entrare la civiltà e il Diritto dentro le case e aiutare il silenzio a farsi grido.
Vi sembrerà una trasposizione enfatica delle cose, ma è l’unica che davvero racconta il perchè del “Codice Rosso”…
Adesso, però, dovrò trovare un epilogo a questo articolo e al suo problematico titolo.
Se la violenza sui soggetti deboli vi è sempre stata (e pessimisticamente sempre vi sarà…) a ragione del fatto che essa è l’esito ed il frutto dell’ignoranza che governano il mondo, la regola che deve essere imposta ragiona di cultura.
Occorre illuminare le menti dei deboli e dei derelitti con le parole che il grande giurista Pietro Calamandrei ci ha lasciato.
Si deve spiegare loro che la lotta contro l’ingiustizia è un nobile ideale.
Ma lottare contro una ingiustizia subita e conosciuta è un preciso dovere civile.
Ecco… da questa consapevolezza e questa reazione personale al male deve muoversi il nuovo scenario.
Immaginate un popolo consapevole di questa necessità.
Un preciso dovere civile moltiplicato per milioni di persone.
Una forza inarrestabile per consolidare la Giustizia di un Paese…
Lorenzo Matassa