Secondo uno studio condotto insieme all’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani rendere gratuita la mensa scolastica per il 10% dei bambini delle primarie, a partire dai più deprivati, comporterebbe una spesa di bilancio di circa 243 milioni che salirebbe a circa 2,4 miliardi se si volesse assicurare il servizio gratuito a tutte le bambine e i bambini della scuola primaria. È prioritario riconoscere la mensa come un servizio essenziale anche per contrastare la povertà assoluta e l’abbandono scolastico, che riguardano rispettivamente il 13,4% e l’11,5% dei minori del nostro Paese
“Come primo passo, chiediamo di istituire un Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola e di aumentare le risorse a sostegno del Fondo di solidarietà comunale per garantire un pasto sano al giorno a scuola, a partire dai bambini in condizione di povertà estrema”
In Italia poco più di un bambino su due (55,2% degli alunni della scuola primaria) ha accesso alla mensa scolastica, con differenze territoriali molto rilevanti: si passa infatti dai valori compresi tra il 6% e l’8% nelle province di Palermo, Ragusa e Siracusa, al 96% di Firenze. Sono cinque Regioni del Sud a registrare le percentuali più basse di alunni che usufruiscono del servizio di refezione scolastica: l’11,2% in Sicilia, seguito dal 16,9% in Puglia, il 21,3% in Campania, il 25,3% in Calabria e il 27,4% in Molise. Liguria (86,5%), Toscana (82,7%) e Piemonte (79,4%) sono invece le Regioni più virtuose[1]. Eppure, rendere gratuita la mensa scolastica comporterebbe una spesa di Bilancio che oscilla tra i 243 milioni di euro l’anno e i 2,4 miliardi circa, a seconda che il servizio sia offerto gratuitamente al 10% degli studenti delle scuole primarie o alla totalità[2].
È quanto emerge dal policy paper di Save the Children e dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani “Mense scolastiche: un servizio essenziale per ridurre le disuguaglianze”, diffuso oggi in occasione di un evento di presentazione alla Camera dei Deputati, a cui hanno partecipato Giusy D’Alconzo, Responsabile Relazioni Istituzionali e Advocacy di Save the Children, Antonella Inverno, Responsabile Ricerca, Dati e Politiche di Save the Children, Gilberto Turati, Vice Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani Università Cattolica del Sacro Cuore, Adriana Bizzarri, Responsabile Scuola di Cittadinanzattiva, l’on. Irene Manzi (Responsabile Scuola del Partito Democratico e membro della Commissione Cultura), l’on. Marco Perissa (Vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie e Segretario della Commissione Cultura – Fratelli d’Italia), Claudia Pratelli, Assessora Scuola, Formazione e Lavoro del Comune di Roma e Raffaela Milano, Direttrice Programmi e Advocacy Italia-Europa di Save the Children.
Il servizio mensa nelle scuole è essenziale per garantire agli studenti, soprattutto quelli in condizioni di maggior bisogno, il consumo di almeno un pasto sano ed equilibrato al giorno, come previsto dal Piano di azione nazionale per l’attuazione della Garanzia europea per l’Infanzia. In Italia nel 2022 il 13,4% dei minori (pari a circa 1,27 milioni), con un picco del 15,9% nel Mezzogiorno, viveva in condizioni di povertà assoluta[3] e quelli che si trovano in condizioni di povertà estrema (con meno di 2,15 dollari al giorno) sono l’1,7% secondo recenti stime della Banca Mondiale e dell’Unicef[4]. Inoltre, il 27% dei minori nel nostro Paese è in sovrappeso o obeso (con valori che superano il 20% in molte regioni del Sud) e un bambino su 20 vive in povertà alimentare, cioè senza un pasto proteico al giorno[5].
Secondo i dati del dossier, infine, due alunni della scuola primaria su cinque nel nostro Paese (40%) beneficiano del tempo pieno [6], con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%) le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%).
Il tempo pieno – la cui estensione è legata alla dotazione di mense nelle scuole – è uno strumento fondamentale per combattere la dispersione scolastica e comporta un aumento dell’offerta formativa che genera benefici sia per gli studenti, accrescendone le possibilità di risultati scolastici migliori, sia per i genitori, con effetti positivi in particolare sull’occupazione femminile. In Italia, il tasso di abbandono scolastico è all’11,5%, con le percentuali più alte in Sicilia (18,8%), Campania (16,1%) e Sardegna (14,7%), mentre la media europea si attesta al 9,6%[7]. La dispersione implicita, sebbene diminuita dal 9,8% del 2021 all’8,7% del 2023, mostra ancora valori superiori a quelli registrati prima della pandemia[8].
A fronte di questi dati, sono ancora troppo pochi le bambine e i bambini che in Italia usufruiscono di mensa e tempo pieno a scuola e con forti discontinuità territoriali che rischiano di penalizzare intere aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno.
Il policy paper contiene quindi una stima di quanto costerebbe rendere gratuita la mensa scolastica per gli alunni della scuola primaria, formulata partendo dall’attuale frequenza del servizio nei diversi Comuni e dai costi rilevati dall’ultimo report di Cittadinanzattiva[9]. Offrire il servizio gratuitamente al 10% degli alunni delle scuole primarie comporterebbe una spesa di bilancio a livello nazionale di circa 243 milioni di euro l’anno, di 486 milioni circa per il 20%, 730 milioni circa per il 30%, poco più 1,2 miliardi per la metà dei bambini, mentre fornire la mensa gratuita a tutti gli alunni delle primarie avrebbe un costo di circa 2,4 miliardi.
“Il PNRR prevede un investimento significativo per il potenziamento del tempo pieno, ma se non si crea una sinergia con le risorse statali, da solo non basta a colmare il ritardo del nostro Paese. Per questo chiediamo un investimento per garantire a tutti gli alunni della scuola primaria l’accesso al servizio mensa, uno strumento efficace per contrastare la povertà minorile, ancora in aumento quest’anno, e anche per combattere la dispersione scolastica, proprio attraverso l’estensione del tempo pieno– dichiara Antonella Inverno, Responsabile Ricerca, Dati e Politiche di Save the Children –La refezione scolastica va riconosciuta per quello che è, un servizio pubblico essenziale, per il quale occorre stabilire uno specifico LEP (livello essenziale di prestazione). Un primo passo in questa direzione può essere l’istituzione di un Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola”.
Il PNRR, che prevede uno stanziamento complessivo di circa 31 miliardi di euro per Istruzione e ricerca, investe 960 milioni per l’estensione del tempo pieno a scuola. Seicento milioni in particolare sono dedicati alla costruzione di nuove mense o alla riqualificazione di quelle esistenti, con l’obiettivo di 1.000 locali e spazi nuovi o riqualificati da destinare a mense.
Dalle graduatorie definitive pubblicate dal Ministero dell’Istruzione e del Merito risulta che, complessivamente, sono stati finanziati 1052 interventi. Per il 52% si tratta di nuove costruzioni di mense, il 27% riguarda interventi di riqualificazione, riconversione e messa in sicurezza e il restante 21% riguarda la demolizione, ricostruzione e ampliamento di strutture esistenti. Il 50% degli interventi finanziati è localizzato nel Mezzogiorno, a cui è andato il 41% circa dei quasi 455 milioni di euro stanziati per i progetti ammessi[10].
Tuttavia, non è possibile stimare quanti saranno i bambini e le bambine a poter beneficiare di questo investimento, visti anche i costi che i Comuni e le famiglie devono sostenere perché i minori possano usufruirne.
Per questo, Save the Children evidenzia la necessità di rendere l’offerta di un pasto sano al giorno un servizio pubblico essenziale per il quale stabilire uno specifico LEP (livello essenziale delle prestazioni), in accordo con quanto previsto dal Piano di azione nazionale per l’attuazione della Garanzia Infanzia; come primo passo, istituire un “Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola”, con una dotazione di 2 milioni di euro per il 2024, 2,5 milioni per il 2025 e 3 milioni a partire dal 2026, da destinare ai Comuni che utilizzano una quota di bilancio per consentire l’accesso alla mensa agli studenti della scuola primaria appartenenti a famiglie che, a causa di condizioni oggettive di impoverimento, non riescono a provvedere al pagamento delle rette; aumentare le risorse destinate al Fondo di solidarietà comunale di 45 milioni di euro per il 2024 (per garantire, tenuto conto dell’inflazione stimata, l’accesso gratuito all’1,7% della popolazione scolastica delle scuole primarie), 107 milioni nel 2025 (accesso gratuito per il 4% della popolazione scolastica delle scuole primarie), 219 milioni nel 2026 (accesso gratuito per l’8% della popolazione scolastica delle scuole primarie) e progressivamente ogni anno fino a raggiungere la cifra di 1,48 miliardi nel 2030 (per garantire l’accesso gratuito al 50% degli alunni delle scuole primarie). Infine, l’organizzazione ritiene necessario garantire soglie di esenzione, tariffe minime e massime uniformi su tutto il territorio nazionale da applicare a tutte le famiglie – residenti e non – secondo il principio di contribuzione progressiva sulla base dell’ISEE.