di Agostino Spataro
1… A mio parere, per acquisire 8 miliardi (mld) di metri cubi di metano per coprire il fabbisogno italiano e- si dice- per diversificarne le fonti di approvvigionamento, non è necessario costruire un rigassificatore, altamente inquinante e pericoloso, come quello programmato a Porto Empedocle. Basterebbe incrementare l’importazione equivalente di gas dall’Algeria e/o dalla Libia la cui situazione interna prima o poi sarà normalizzata. Oppure- cosa più saggia e lungimirante- investire adeguatamente nelle energie pulite, alternative (eolico, solare, biomasse, ecc), come richiede l’Unione Europea in base ai programmi, già delineati e di prossima attuazione, della cd. “transizione ecologica”.
Aggiungo che il costo del gas importato via nave é di gran lunga maggiore (come stiamo vedendo con l’import proveniente dagli Usa) di quello del gas trasportato via “tubo”. Tutto ciò con gravi ripercussioni sul costo finale dei prodotti, sull’aumento dei prezzi al consumo, dell’inflazione, ecc, ecc.
Ma non voglio farla lunga. A riguardo, esiste un’ampia e seria documentazione che i signori decisori farebbero bene a consultare prima di concedere licenze e autorizzazioni tanto al chilo.
2… Parlo da abitante nel territorio interessato all’insediamento del rigassificatore che considero dannoso per l’ambiente marino, per la qualità dell’aria, per la salute e l’incolumità dei cittadini che vivono a Porto Empedocle e nella sue immediate vicinanze.
Parlo da ex deputato nazionale del PCI che sul finire degli anni ’70 del secolo trascorso, si occupò con successo (unitamente ad alcuni deputati della DC e del PSI) del progetto di realizzazione del metanodotto dell’Eni: Algeria, Tunisia (Sicilia) Italia. Come gruppo parlamentare del PCI proponemmo, addirittura, la realizzazione di un metanodotto che dalla Nigeria, attraversando diversi Paesi subsahariani, giungesse sulla costa algerina per connetterlo con gli impianti destinati all’esportazione verso l’Italia e l’Europa. Ma il ministro del commercio estero, Enrico Manca, non trovò fattibile questa nostra idea. Anche per la Nigeria c’erano le navi metaniere!
Su tali questioni, qui semplicemente accennate, posso fornire un’ampia documentazione parlamentare, libraria, giornalistica e qualche opinione anche di natura riservata.
Insomma, sembra che fra tubo e navi il conflitto continua.
Anche allora ci scontrammo con la caparbia (e oscura) volontà di abbandonare il progetto del metanodotto in favore del trasporto con navi metaniere. E’ inutile dire che tale opzione tagliava fuori dai benefici del metano la Sicilia e l’intero Mezzogiorno continentale: le metaniere sarebbero approdate a Livorno e pertanto il gas sarebbe stato messo a disposizione delle regioni del centro nord italiano.
La nostra fu, dunque, una battaglia meridionalista mirata a unificare il Paese anche dal punto di vista energetico.
La nostra iniziativa si rese necessaria per far superare talune difficoltà procedurali determinate, soprattutto, dal la pretesa eccessiva del governo tunisino, che indussero ENI ad abbandonare il progetto del metanodotto (Algeria-Italia) e di aderire alla richiesta fomentata da interessi, anche privati, per trasportare le quantità contrattate con navi metaniere.
3… Di fronte a tale decisione, un gruppo di deputati siciliani (Pci, Dc, Psi) decidemmo di dare battaglia per bloccare l’opzione via nave e ripristinare il negoziato per il “tubo”. Oltre ai dibattiti, assai accesi, alla Camera dei Deputati, incoraggiammo ogni contatto fra Italia, Algeria e Tunisia, svolgendo, in sintonia con gli ambasciatori a Roma, una vera azione diplomatica mirata a stimolare, appoggiare quanti nel governo e nella stessa ENI erano favorevoli al progetto di metanodotto.
Come è noto, il gasdotto si fece e attraversa quasi l’intero territorio nazionale italiano (da Mazara del Vallo a Minerbio (Bo) e oggi trasporta circa 31 miliardi di metri cubi/anno di metano.
Questo grandioso risultato fu reso possibile dal clima di cooperazione pacifica e di fiducia, basata sull’idea dell’interdipendenza economica fra i Paesi del Mediterraneo, che segnò per un lungo periodo il sistema di relazioni fra l’Italia della cd. “Prima Repubblica” e gli Stati arabi liberatisi dalle catene del colonialismo e del neocolonialismo. Oggi, tali rapporti si sono deteriorati, sono stati sacrificati sull’altare delle nuove spartizioni delle risorse (energetiche e d’altra natura), della diffidenza e dell’interventismo militare. La Libia è l’emblema più doloroso di tale, pericolosa svolta negativa: la guerra alla Libia è stata anche una guerra all’Italia, ai suoi legittimi interessi economici e commerciali, ai suoi buoni rapporti politici e culturali. Purtroppo, a questa guerra contro l’Italia prese parte anche quell’Italia recalcitrante di Berlusconi.