Trenta anni fa moriva don Pino Puglisi.
Gaspare Spatuzza simula una rapina, strappandogli il borsello dalle mani e gridando: “Padre, questa è una rapina!”.
Don Pino lo guarda sorridendo e risponde: “Me lo aspettavo!”.
È a quel punto che Salvatore Grigoli con una pistola 7,65 gli spara alla nuca.
Perchè? Perché uccidere un prete?
La risposta sta tutta nelle parole pronunciate da Totò Riina, quando disse “Quel prete pensi alle Messe”, e i killer inviati da Giuseppe e Filippo Graviano, i boss di Brancaccio, eseguirono quella condanna a morte.
Già, Padre Pino Puglisi, ‘3P’, come amorevolmente lo chiamavano i tanti ragazzi che quotidianamente sottraeva alle grinfie della mafia, non si limitava a dire Messa, aiutava i giovani nella ricerca di nuove prospettive che li sottraessero al potere della mafia; portava avanti ogni iniziativa utile a restituire dignità, decoro e speranze a quel quartiere dove uomini come i Graviano reclutavano fin da ragazzi quelli che avrebbero trasformato in incalliti criminali, rapinatori, spacciatori, esattori, killer.
Progetti, idee, battaglie per aprire nuove scuole, dare ai giovani luoghi di ritrovo dove potere praticare lo sport, la realizzazione del Centro ‘Padre Nostro’, che forse fu l’atto finale per la sua condanna a morte.
Oggi, al GR di Rai Radio 1, è stato ricordato il trentennale dell’omicidio di ‘3P’, “il parroco di Brancaccio, quartiere difficile di Palermo, ucciso dalla mafia nel giorno del suo 56esimo compleanno, beatificato da Papa Francesco nel 2013.
Sottrarre i giovani a ‘Cosa nostra’ fu per tutta la vita la sua missione, terminata tragicamente a colpi di pistola davanti la sua abitazione, la sera del 15 settembre 1993.
Maria Cristina Cusumano, inviata del GR1, racconta di un prete di frontiera, semplice nell’azione, eppure faceva paura a ‘Cosa nostra’ dato che la cupola ne decretò la morte.
Oggi la sua Palermo, il suo quartiere Brancaccio, lo ricordano con una messa solenne in cattedrale.
Ieri sera una fiaccolata.
Ascoltiamo il ricordo di chi lo ha conosciuto:
“Mi manca parecchio. Pino non parlava molto… è un tipo che sapeva ascoltare… Gli bastava guardarti negli occhi per leggerti nel cuore e capire quello che tu volevi dirgli. Sognava la legalità, la fratellanza, le scuole… e un poco alla volta per questo desiderio si sta attuando. Sono 30 anni dalla sua uccisione, e come si vede un po’ di gente c’è, quindi la figura di Pino non è stata dimenticata…”
Lorenzo Matassa è stato un pubblico ministero che ha portato all’individuazione di mandanti ed esecutori dell’omicidio di Don Pino Puglisi.
Questa l’intervista rilasciata al microfono della giornalista di Rai Radio 1, Rita Pedditzi:
“Sicuramente è stato il peggiore affare che ‘Cosa nostra’ ha potuto porre in essere, perché uccidere un prete inerme… Posso dirle che quella decisione comunque era parte di una strategia più ampia e che ha riguardato anche le stragi di Roma, Firenze, Milano…”
La chiesa di Palermo sapeva che era stato minacciato?
“Certo che lo sapeva, perché don Pino aveva sette giorni prima cercò, appunto, di mettersi al rapporto con il Cardinale Pappalardo e non fu ricevuto… anche questa è un’altra cosa che negli atti processuali si evidenziò…”
Cosa Ricorda di quella notte?
“Fuori dalla porta, dove don Pino era stato trasportato, c’erano duemila persone… Un inserviente mi disse che Sua Eminenza, il Cardinale Pappalardo, voleva parlarmi, e io capii subito che non riusciva a guardare il corpo di don Pino… Si allontanava, come se ne avesse paura in qualche modo… Mi si avvicinò e disse: ‘Il popolo della Chiesa di Palermo vuole il suo Martire… domani mattina… alle nove… il corpo deve essere in Cattedrale…’
Dico,’ scusi per lei il problema è portare il cadavere di don Pino in Cattedrale o dargli verità e giustizia del suo assassinio?’
A distanza di trent’anni mi chiedo se veramente questo caso abbia avuto la sua giustizia.
Io penso che ancora tanta verità cerca…”
Una richiesta di verità e giustizia che – ancora una volta – emerge dalle parole di Matassa, riportate da LIVESICILIA in questo articolo-denuncia.
“Insomma scrive Lorenzo Matassa –, che bisogno c’era di ammazzare un uomo pio che dava da mangiare agli affamati e da bere agli assetati in uno dei quartieri più poveri di Palermo? Già… perché ucciderlo? Don Pino aveva compreso il suo destino di solitudine e di abbandono già allorché la chiesa di Palermo (una delle più ricche d’Italia…) gli aveva negato il prestito per costruire il centro di aiuto ai poveri ‘Padre Nostro’. Aveva dovuto fare un mutuo che pagava con il suo stipendio di professore di religione.”
Il popolo della Chiesa, così come lo aveva chiamato il Cardinale Pappalardo, aveva avuto il suo martire.
Che sia stato anche questo un modo per provare a sconfiggere la mafia?
gjm