
Il programma Rai condotto da Sigfrido Ranucci sembra non correre alcun rischio – quantomeno sotto il profilo penale – nel continuare la narrazione di fatti e misfatti totalmente inventati.
Neppure se gli stessi finiscono con il depistare indagini su latitanti e fatti di mafia.
È questa la conclusione che si può trarre dall’archiviazione dell’esposto presentato dalla vedova di Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che nei primi anni del 2000, nel corso di un’operazione condotta col Sisde di Mario Mori, ha intrattenuto contatti epistolari con l’allora latitante Matteo Messina Denaro per permetterne la cattura.
La corrispondenza tra Vaccarino, con lo pseudonimo di Svetonio, e Matteo Messina Denaro, con quello di Alessio, nel tempo ha dato adito a ricostruzioni degne delle migliori teorie complottiste.
Non ai livelli di QAnon che annunciò l’imminente arresto di Hillary Clinton nel 2017 (mai verificatosi), o di quelli che vedono nei leader mondiali una razza superiore, forse aliena, che riesce a controllare il mondo, bensì più all’italiana, con gli immancabili servizi segreti deviati protagonisti di una tresca dagli oscuri contorni.
A dare la stura al più classico dei complotti, una perizia calligrafica richiesta dalla procura di Palermo di allora, con la quale si escludeva che l’autore dei pizzini firmati Alessio fosse Matteo Messina Denaro.
A cavalcare l’onda – nulla di più normale in un paese ammalato di complottismo -, la trasmissione di Rai3 Report del 24 maggio 2021, con un’intervista condotta da Paolo Mondani a un anonimo ripreso di spalle che con la voce contraffatta afferma di sapere chi fosse l’uomo che scriveva i pizzini al posto del latitante: un carabiniere suo amico, impiegato in banca e sotto copertura dei servizi segreti.
Quella che oggi appare non solo come una bufala pazzesca, e non certamente un servizio giornalistico mandato in onda da un’emittente pubblica nazionale, ma anche – se a seguito dell’esposto presentato si fosse accertato che a scrivere nel corso di tutti questi anni era veramente Matteo Messina Denaro – come un bel favore reso – certamente inconsapevolmente da parte dei giornalisti – a un latitante che in passato stava molto attento a non lasciare tracce di sè, chiedendo ai suoi contatti di bruciare gli scritti dopo averli letti.
Il rinvenimento di un pizzino, infatti, avrebbe potuto spostare le attenzioni dal boss in direzione di un fantomatico “amanuense”.
Un anonimo, come l’anonimo era l’intervistato dal programma di Ranucci.
A seguito dell’arresto di Matteo Messina Denaro, grazie al rinvenimento di nuovi pizzini pubblicati e messi a confronto anche da altre testate giornalistiche (come nel caso di questo articolo a firma di Egidio Morici), è apparso evidente – anche all’occhio di un profano – che l’autore delle missive – sia quella di trenta anni fa scritta alla sua ex, che quelle più recenti inviate alla sorella, a boss di “cosa nostra” e a Vaccarino – era sempre lo stesso.

A far luce sul “misterioso” – quanto inesistente – amanuense, in servizio (non deviato, per carità) 24 ore su 24 da trent’anni a questa parte per scrivere pizzini a boss, famigliari e forse anche la lista della spesa, la perizia di 237 pagine redatta dalla criminalista Katia Sartori, esperta in scienze forensi, su incarico della moglie dell’ex sindaco di Castelvetrano.
Una perizia che ha ribaltato l’esito di quella che all’epoca aveva chiesto la procura di Palermo, “a seguito delle cui conclusioni – scriveva Damiano Aliprandi in un suo articolo con il quale si chiede chi ha infangato l’operazione condotta da Mario Mori –la moglie dell’ex sindaco di Castelvetrano ha presentato un esposto per fugare ogni dubbio in merito a chi scrivesse al marito, ponendo fine all’azione di discredito in suo danno, ma anche in danno del Sisde diretto allora dal generale Mario Mori”.
L’esposto, presentato il 3 maggio 2023, il 22 dello stesso mese è stato oggetto di richiesta di archiviazione da parte della procura di Palermo che non ha individuato spunti d’indagine, all’infuori della lettera di minacce scritta da Matteo Messina Denaro a Vaccarino il 15 novembre 2007, il cui reato sarebbe comunque prescritto da tempo.

Secondo quanto scritto dal pm nella richiesta di archiviazione, il delitto sarebbe stato commesso mediante la spedizione della missiva redatta da un soggetto che solo all’esito delle recenti acquisizioni documentali conseguite alla cattura di Matteo Messina Denaro potrebbe identificarsi nel capomafia castelvetranese, e solo grazie alla comparazione dei numerosi reperti sequestrati presso i covi del boss (trattandosi peraltro di analisi ancora in corso di svolgimento) si potrà eventualmente affermare su solide basi fattuali che la missiva in questione sia stata effettivamente redatta dall’ex primula rossa castelvetranese.
Il magistrato scrive inoltre che in base agli accertamenti peritali effettuati nel corso di diversi processi numerosi pizzini sequestrati nei covi di latitanti erano ideologicamente riconducibili alla volontà del Messina Denaro, ma era stato accertato che tali scritti non erano stati vergati personalmente dallo stesso, così come gli accertamenti peritali a suo tempo eseguiti hanno escluso la riconducibilità alla mano dell’allora latitante per quelli inviati a Vaccarino, dovendosi dunque ritenere la missiva redatta e sottoscritta da fonte anonima.
“Soltanto oggi – si legge nella richiesta di archiviazione –, grazie ai numerosi sequestri di materiale grafologico sicuramente riconducibile alla “mano” di Matteo Messina Denaro, tale situazione di incertezza potrebbe essere superata; e tuttavia ogni accertamento in tal senso si rivelerebbe del tutto inutile giacché, come si è detto, il reato per cui si procede è senza dubbio estinto per prescrizione in epoca peraltro assai risalente”
Dura lex, sed lex, avrebbero detto i giuristi romani dell’epoca dell’imperatore Giustiniano I.
Tant’è, e forse per conoscere chi fosse il vero autore dei pizzini – nonostante lo si veda ad occhio nudo e lo confermi la perizia redatta dalla criminalista Katia Sartori – servirà ancora del tempo.
Report – seppure pare non intervistare più anonimi “suggeritori” che narrano di carabinieri-banchieri-007 che scrivevano i pizzini – potrà ancora propinare ai propri ignari telespettatori bufale e fake news pur di aumentare l’audience del programma, senza incorrere in conseguenze penali.
Che poi le suddette bufale finiscano con il depistare possibili indagini in corso, è un fatto del tutto marginale.
La legge (art. 656 c.p.) prevede infatti che commette reato chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico.
Evidentemente l’ordine pubblico non è “turbato” dalle continue illazioni sull’operato delle forze dell’ordine e altre istituzioni; né tantomeno la legge prevede che commette reato chi “depista” le indagini inventando false notizie e intervistando anonimi liberi di raccontare ciò che vogliono senza che nessuno accerti la veridicità dei fatti narrati.
“Perché un uomo, mantenendo l’anonimato, si è prestato a dichiarare una falsità usando una trasmissione del servizio pubblico in prima serata? Il pensiero non può non andare a qualcosa che ha a che fare con una forma di depistaggio vero e proprio. Chi è questo anonimo e perché ha testimoniato un evento falso, creando l’ennesima versione complottista che – di fatto – infanga indirettamente Mario Mori e anche Antonio Vaccarino perché partecipe di questa inesistente macchinazione?” – si chiedeva Aliprandi nel suo articolo.
Forse non lo sapremo mai.
Tranne che Report non decida di proporre querela a seguito di questo articolo sulle bufale propinate ai telespettatori (potrebbe però finire come un processo con un ex pentito, il quale confessò in aula anche un omicidio per il quale non era mai stato indagato), dandoci modo di chiamare a testimoniare l’anonimo intervistato, al quale sarebbero tante le domande che vorremmo porre.
Ma Ranucci non è l’ex pentito di cui sopra, e si guarderà bene dal farlo…
Gian J. Morici