Al di sopra di ogni regola, al di sopra di tutto, talmente autoreferenziale da non rispettare “neppure le regole che dà a se stessa”: è ancora una casta, ma stavolta di giudici, quella nel mirino di Sergio Rizzo nel volume “Potere assoluto”, la sua ultima inchiesta in libreria con Solferino dal 3 febbraio, in cui racconta fatti e misfatti dei consiglieri di Stato. Non più politici quindi, come nel celebre libro firmato nel 2007 con Gian Antonio Stella (La casta, appunto): lo sguardo del giornalista ora si posa su un esiguo, ma fortissimo gruppo di magistrati della giustizia amministrativa: in poco più di 250 pagine, facendo nomi e cognomi, descrivendo minuziosamente alcuni fatti degli ultimi anni (fino a quelli più recenti, con i riferimenti alle grane giudiziarie del giudice Luca Palamara e dell’avvocato Piero Amara e al “caso Frattini”, recentemente nominato presidente del Consiglio di Stato), ma scavando anche nel passato lontano, Rizzo tocca gli “intoccabili”, i giudici di Palazzo Spada. In Italia ce ne sono un centinaio, per lo più sconosciuti all’opinione pubblica, eppure sono loro, spiega l’autore, a tenere stretto nelle proprie mani un autentico “potere assoluto”. Già nelle prime pagine, il giornalista chiarisce bene i confini di questo potere: i consiglieri infatti hanno per legge il compito di esprimere pareri e suggerimenti, talvolta vincolanti, sulle iniziative del governo, emettono sentenze su ogni causa che contrapponga la società civile alla pubblica amministrazione, controllano i grandi appalti e gli affari delle imprese private e di Stato, possono invalidare i risultati di un concorso pubblico, far decadere un presidente di Regione, cancellare la nomina di un procuratore della Repubblica. Ma i consiglieri hanno anche la possibilità di assumere incarichi diversi da quelli giudiziari: e quindi finiscono nei ministeri come capi di gabinetto, diventando perfino più “importanti” dei ministri stessi (“nel governo di Mario Draghi ce ne sono undici: il 10 per cento dell’intero Consiglio di Stato”, specifica l’autore) o a regolare la giustizia sportiva (il libro si apre proprio con il racconto del caso legato alla partita Juventus-Napoli dell’ottobre 2020).
“Non si può pensare che ci sia un nucleo di potere così denso ma così importante per il Paese: se non si avrà il coraggio di toccare questa roba, l’Italia non cambierà mai”, dice in un’intervista all’ANSA Rizzo, che sottolinea quanto per questi giudici non sia “una questione di soldi, ma di potere e di prestigio”. Non è certo quadro confortante quello delineato nel libro: sembra che in Italia ci sia un sistema opaco fatto di conflitti di interessi, trame occulte, rapporti “troppo” confidenziali, sentenze che non sono “cristalline”. Tutti sparlano dei politici, ma questa casta sembra addirittura peggiore: è davvero impossibile da fermare? “La magistratura è un potere indipendente, e questo principio di fondo è sano, ed è una: eppure i giudici del consiglio di Stato si ritengono al di sopra di essa”, afferma l’autore, “Negli incarichi extra giudiziali i consiglieri fanno come vogliono. Hanno in mano tutte le sentenze economiche, intervengono nei ricorsi alle autorità amministrative. Per non parlare della corruzione e del potere di interferire nelle decisioni del Csm. Sono davvero le figure più potenti del Paese”. A parlarne però sono in pochi: l’opinione pubblica resta indifferente o forse rassegnata di fronte a notizie su questo tema. “Sulla politica si dice tutto, mentre su questo nessuno dice niente perché passa tutto sottotraccia. Questa casta è fuori dallo scrutinio pubblico perché è una cosa troppo tecnica, noiosa. Ma il potere è tutto lì”, prosegue Rizzo, “anche per un giornalista occuparsi di un tema così spinoso è faticoso e difficile, e significa andare a rompere le scatole a questi giudici”. Quale potrebbe essere la strada per invertire la rotta? “Intanto bisogna cominciare a regolamentare gli incarichi. Chi fa il magistrato deve fare quello, le altre cose si fanno quando si va in pensione”, aggiunge, “la magistratura è una, gli incarichi devono essere fatti tutti allo stesso modo, come accade nella magistratura ordinaria che è quella prevalente e che ha una serie di divieti.
“Poi ovviamente ci vuole un codice etico”, prosegue Rizzo, e rilancia la proposta di Luciano Violante, di cui parla a fine libro, quella “di un’Alta corte di giustizia indipendente.
Chissà magari a comporla potrebbero essere i senatori a vita, che non sono ricattabili, sono autorevoli e sono figure terze.
Solo quando i giudici non avranno più il potere di giudicare se stessi allora si potrà renderli ancora più liberi e indipendenti, ossia togliendo dal tavolo il problema del conflitto di interessi, che è un problema in tutta la magistratura ma al Consiglio di Stato di più”. (ANSA).
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