C’è un libro di uno scrittore tedesco (che a solo pronunciarne il nome -Heinrich Böll – ti si impiccia, per sempre, la lingua al palato) in cui un triste clown prova a raccontare le contraddizioni e le ipocrisie del suo tempo.
L’analisi è disperata e disperante, ma è svolta con la maschera di chi solo può fare ridere il prossimo e – per ciò stesso – con l’attendibilità di chi mai potrà essere creduto.
Nessuno, ascoltando le sue parole, si chiede se l’opinione del clown può avere il giusto rilievo soprattutto allorché si parli del circo.
Vi chiederete il perché di questa premessa riferita al mondo circense e alla tristezza di chi ha il compito di far sorridere anche quando da ridere vi sarebbe ben poco.
Guardo la mia città e penso ad una delle frasi chiave di quel libro: “Vi sono dei limiti oltre i quali l’idiozia dovrebbe essere controllata…”
Sembra, questo, un paradosso in forma di aforisma e fa sorridere oltre misura (anche non indossando la maschera di un clown) se solo si pensa che se è impossibile contenere la follia ancor più difficile è limitare l’idiozia che, della pazzia, è la sorellina scema.
Vado, veloce, al punto di confluenza tra circo e demenza.
Incrocio di una strada pedonale del centro.
Monopattino di “mobilità comunale” con sopra tre minorenni.
Una donna attraversa con passeggino e due piccoli bambini.
Lo scontro.
I tre cadono rovinosamente per terra.
La donna riesce ad evitare il peggio per i suoi figli con un gesto così agile ed istintivo che sembra guidato da un angelo.
I tre risalgono sul monopattino e – con grida sguaiate – si allontanano.
Riflessione del clown:
“Siamo sicuri che l’idiozia sia quella dei tre minorenni alla guida del monopattino?”
Lorenzo Matassa